Padre Paolo Berti, “Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”

II Domenica del T. Q.                 
Mc 9,2-10 
“Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”

Omelia 

A Dio si deve tutto. Questo il principio che condusse Abramo ad obbedire alla richiesta di Dio di sacrificargli il figlio. Abramo, tuttavia, non fu un ottuso esecutore di una bizzarria divina, di un
ordine di un dio contraddittorio. Abramo conosceva Dio; il Dio che lo aveva chiamato dalla terra di Ur, che gli aveva dato tante prove della sua vicinanza, il Dio unico creatore del cielo e della terra, il Dio amante della vita. Obbedì perché a Dio si deve tutto, ma obbedì nella fede in un Dio bontà, che non muta la parola data, e che perciò gli avrebbe ridato Isacco risorgendolo subito da morte (Cf. Eb 11,19). Non si deve credere che la cosa fu facile. La prova è prova. L'umano nella prova geme, vuole affermare le sue ragioni, presentare le sue letture degli eventi. Proviamo a pensarle le voci della carne che si affollarono nelle mente di Abramo: Dio non era in fondo diverso dagli dei che aveva lasciato, anche lui chiedeva sacrifici umani. Doveva uccidere, altrimenti non avrebbe avuto protezione da Dio, sarebbe stato colpito. Dio gli avrebbe dato poi altri figli. Voci della carne, non ascoltate da Abramo. La sua fede, messa a durissima prova, non vacillò. Era pronto a stendere la mano su Isacco, ma nella certezza che Dio glielo avrebbe risuscitato dai morti, perché Dio è Dio della vita e non della morte, e Dio non è un dio beffardo che muta la sua parola.
Abramo sperimentò l'angoscia di accingersi a sacrificare il proprio figlio, il figlio della promessa, nella ferma fede che Dio gli avrebbe donato la discendenza promessa; ma Dio fermò la mano di Abramo. L'ariete che Abramo vide e immolò segnò il ritorno ai sacrifici consueti accetti a Dio, ma quei sacrifici, Abramo li percepì ormai del tutto insufficienti. La prova purificò il cuore di Abramo: Isacco era suo figlio, ma innanzitutto era di Dio, perché realizzasse un disegno di Dio e non per un disegno di Abramo. Non per un disegno d'uomo, che proietta nel figlio le proprie ambizioni di grandezza, di successo.
Abramo non trasmise a Isacco proprie prospettive, trasmise quelle di Dio. Non si ebbe così un popolo legato all'antenato fondatore, si ebbe il popolo di Dio.
Dio chiede tutto, ma è capace di dare tutto. Sarà Dio a sacrificare il proprio Figlio, non sottraendolo alla morte di croce. Ed è per questo sacrificio del Figlio che le promesse fatte ad Abramo si sono adempiute. Dio chiede tutto, e lo può perché ha donato tutto: suo Figlio. “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”, ci dice san Paolo.
Dunque, fratelli e sorelle, dobbiamo dare tutto di noi a Dio, darlo nel momento della prova, certi della vittoria contro ogni avversario.
Dio è forza, sicurezza, vittoria. Nessuno può vincere chi è in Cristo: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?”. Chi potrà vincerci, dice Paolo (Rm 8,35): “Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (...) Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”.
La prova che Abramo visse lo condusse a vedere il giorno di Cristo (Gv 8,56): “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia”. Noi, fratelli e sorelle, abbiamo visto con la fede quel giorno, e crediamo che (Gv 3,16) “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.
I monti sono una costante nella storia dell'incontro tra Dio e gli uomini. Abramo salì su di un monte per il sacrificio di Isacco (2Cr 3,1); Mosè salì su di un monte, il Sinai, per ricevere le tavole della legge (Es 24,12s); Elia salì sull'Oreb - altro nome del Sinai - per trovare forza, luce da Dio (1Re 19,8s); Gesù salì su di un monte per proclamare le beatitudini, e passò una notte a pregare su di un monte; poi condusse i discepoli sul monte Tabor dove si trasfigurò di fronte a loro.
L'uomo sente sempre il fascino dei monti. C'è una salita da fare per guadagnar la sommità, c'è sulla sommità un senso di vicinanza a Dio.
Pietro, Giacomo, Giovanni, furono condotti su di un alto monte. Non videro tenebre, fulmini come Mosè sul Sinai, videro risplendere Cristo, Luce del mondo. Il sole splendeva, ma la Luce del mondo splendeva ancor di più. Dio disse il primo giorno: “Sia la luce”; quella luce rimase, condizione prima per vedere le cose e per dare vita. Ma il buio del peccato oscurò l'altra Luce: Dio. Ed ecco che la Luce risplende in Cristo all'interno della storia, e il sole non regge al confronto. Il sole illumina le cose, le strade, ma la Luce illumina i cuori e fa vedere le vie di Dio. Senza Cristo il mondo sarebbe nelle tenebre anche sotto il sole: Il mondo non sarebbe capace di vedere Dio, né di vedere la vera identità dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio. E dico anche di vedere le cose. Le cose non sono percepite nella loro bellezza, nella loro potenza, nella loro missione d'amore per l'uomo se non c'è la Luce. Chi nega Dio non vede, anche se possiede una vista perfetta.
Noi, fratelli e sorelle vediamo perché abbiamo accolto la Luce, ma tuttavia non vediamo ancora pienamente. Solo in cielo dove vedremo Dio così come è, vedremo pienamente, perfettamente. Pietro, Giacomo e Giovanni, credettero di essere giunti a vedere tutto; ma una nube luminosa li avvolse, a significare che ancora dinanzi a loro c'era un velo. Ancora non vedevano tutto, ancora dovevano ascoltare: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. Dovevano ascoltare attentamente altre parole, altre parole non solo espresse col labbro, ma con parole di un vocabolario senza parole: dovevano ascoltare la parola della croce.
Ascoltiamola la parola del sacrificio di Cristo. Abramo di fronte al figlio tremante e angosciato la intese, anche se da molto lontano. Noi conosciamo quella parola, la dobbiamo ascoltare, fare nostra, viverla.
I discepoli, abbiamo ascoltato, si domandarono cosa volesse dire “risuscitare dai morti”. Noi lo sappiamo. Vuol dire essere stato prima tra i morti. Vuol dire aver vinto la morte.
La morte non può più farci paura. Di fronte alla morte la fede sostiene. Chi fa vacillare la sua fede di fronte alla morte cade nel buio, poiché la fede ci dice che la morte non è più la vincitrice, ma è stata vinta dalla risurrezione.
“Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli”, dice il salmo. "Preziosa la morte dei suoi fedeli" perché unita a quella di Cristo, e cede sconfitta di fronte alla risurrezione. La risurrezione segna la liberazione dell'uomo dalla paura della morte. Per chi è vivo in Cristo, infatti, la morte è una porta che conduce all'eternità. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.


Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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