Alberto Vianello C.Marango omelia 1 settembre

Letture: Sir 3,17-20.28-29; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14 Prendere l'ultimo posto di Gesù e assumere la sua gratuità nel donare 1 Stare al proprio posto nella vita e fare posto agli altri; umiltà e accoglienza gratuita: è un po' la sintesi dell'insegnamento di Gesù nel brano evangelico di questa domenica. Innanzitutto bisogna dire che è Gesù il vero umile ed è Gesù colui che accoglie senza chiedere alcun contraccambio: e, in Gesù, Dio. Infatti, in tutta la sua vita terrena, Gesù, il Figlio di Dio, non ha ricercato mai alcun onore, riconoscimento, plauso. Ha scelto l'ultimo posto, quello dello schiavo, e lì ha voluto rimanere fino alle estreme conseguenze: quelle della condanna da schiavo (la croce). Gesù ha dato il privilegio (i primi posti) ai poveri e piccoli, ai malati e i deboli, ai lontani e agli esclusi dalla religione. Poi Gesù non ha preteso alcunché dalla gente in termini di riconoscimento, onore e debito. Ha sempre dato gratuitamente in modo sovrabbondante, esprimendo così il vero amore, quello che dà unilateralmente e non è fatto dipendere dal contraccambio. Rivolgendosi poi alla vita di ciascuno, il testo mette in guardia dal protagonismo, dalla pretesa e dalla esibizione di se stessi. Tu non pretendere di valere ed essere superiore agli altri: se no, è facile che la vita si incarichi di farti scende all'ultimo gradino dei valori, umiliandoti davanti a tutti. È meglio prendersi l'ultimo posto: quello è sicuro, perché nessuno te lo togli, in quanto nessuno vi ambisce. Se avrai una coscienza seria del tuo limite, ci penseranno gli altri a farti capire che tu invece vali, per loro e per te stesso, e sarei considerato, perché affidabile. Ma, attenzione, non andare a prenderti l'ultimo posto solo come "tattica": così vedono come sono umile e mi daranno onore, come mi spetta. Quanto è diffuso questo atteggiamento! Quante affermazioni di non valere o valere poco si ascoltano (soprattutto nella Chiesa)! E poi, alla prima occasione o discussione, si tira fuori tutto il proprio senso di superiorità e affermazione di sé sugli altri. L'umiltà è stare al proprio posto, essendo fedeli il compito affidato: senza tatticismi e senza tristi rassegnazioni (che nascondono una non vera accettazione). L'umiltà vera, cioè, consiste nella giusta valutazione di se stessi, nel non ambire a cose troppo grandi, nell'aderire alla realtà non fuggendola né in alto né in basso. La fedeltà a se stessi è espressione autentica della propria fede: «Non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio (letteralmente: nella moderazione), ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato» (Rm 12,3). Dunque non è questione di "galateo comportamentale", di buona educazione, ma di fede: riconoscersi piccoli così da essere come il Signore Gesù ed essere privilegiati, come tali, da Lui. Nella seconda parte del brano non si tratta più di essere invitati, ma di fare gli inviti a un banchetto. Ci sono altre due feste raccontate poco dopo nel Vangelo di Luca. Quella del padre che accoglie gratuitamente e con onore il figlio andato lontano a sperperare tutto. Banchetto al quale il figlio maggiore si rifiuta di partecipare (cfr. Lc 15,20-32). E quello del pubblico peccatore Zaccheo quando accoglie Gesù che voleva proprio fermarsi a casa sua. Anche qui con grande scandalo e rifiuto dei benpensanti religiosi (cfr. Lc 19,1-10). Se sono questi i banchetti che il Signore ama, è chiaro che per una loro buona riuscita, non devi invitare quelli che ti corrispondono e poi ti invitano a loro volta, ma quelli che «non hanno da ricambiarti: poveri, storpi, zoppi, ciechi». C'è festa solo dove c'è gratuità. C'è festa solo dove l'onore è dato a quelli che non hanno onore. Anche in questo caso ci vuole la fede per vivere tale carità: «Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». C'è un riconoscimento grande (cioè in Dio) e vitalmente eterno (la risurrezione di giusti) al semplice atto di carità di dare dignità a un povero, non dandogli solo qualcosa, ma ponendolo al cuore di una celebrazione di vita come un banchetto, quando ve lo si fa partecipare. Un tale gesto di partecipazione di vita vale, per Dio, più di tutto: lo commuove e lo spinge a impegnarsi, per te, per la vita eterna. Perché sempre, nel povero, è accolto il Signore stesso (cfr. Mt 25,31-46). Perché tutto verrà meno, anche le cose più grandi nella sacralità e nella santità, ma resteranno le più piccole fatte nella carità e nella gratuità (cfr. 1Cor 13,8-10). Perché sono le uniche fatte veramente nel Signore. Alberto Vianello

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