Comunità Marango(Protagonisti del proprio futuro)Alberto Vianello

Letture: Am 8,4-7; 1Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
Protagonisti del proprio futuro
1
Accortezza nel vivere il proprio tempo e distacco dalle ricchezze: è ciò che Gesù raccomanda nel Vangelo di questa domenica.
Egli racconta la parabola che parla di un amministratore disonesto il quale viene licenziato. Per garantirsi un futuro, egli escogita di ingannare, per l'ultima volta, il suo padrone, facendo carte false e diminuendo così il credito dell'uomo ricco per assicurarsi il favore dei suoi debitori.
Dice Gesù: «Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza». Non è un giudizio sul suo comportamento: che può essere visto solo come una frode (lo chiama, infatti, «disonesto»!). Vengono, invece, messi in evidenza la sua accortezza, il suo pronto "saper fare". Nel poco tempo che aveva a disposizione, questo
amministratore è stato capace di garantirsi il futuro.
È un esempio dell'atteggiamento che il credente deve avere in attesa della venuta finale del Signore. Nel nostro testo italiano si usa il termine «scaltrezza», ma che, mi pare, porta con sé una venatura un po' negativa: astuzia, furbizia... Il termine letterale usato parla di una «sensibilità» per i tempi e i luoghi: chi sa stare al mondo, non con furbizia, ma con avvedutezza, accortezza, capacità di leggere la realtà più essenziale della vita.
È l'atteggiamento di chi sa innanzitutto prendere atto della situazione che cambia («Il mio padrone mi toglie l'amministrazione»), poi della propria incapacità e dei propri limiti («Zappare, non ne ho forza; mendicare, mi vergogno»). Infine sa di non poter contare su altri, ma di dover farsi protagonista del proprio futuro. E qui sta proprio il cuore dell'insegnamento per i credenti: sapersi fare protagonisti del proprio futuro.
Il nostro futuro è Dio e il suo Regno: è il fine e il compimento della nostra vita, ciò che ne dà senso e direzione. Questo futuro ce lo procura solo Dio, non il nostro sforzo, né le nostre opere: è solo grazia, dono gratuito.
Eppure è il nostro futuro. Il rischio è che lo consideriamo un regalo così grande e sproporzionato alla nostra realtà, che lo teniamo lì: sigillato, intoccabile, non commisurato a noi. Eppure è l'unico futuro che ci attende: perché ciò che abbiamo davanti non sarà né la conseguenza del nostro peccato né il frutto della nostra conversione, ma solo la grazia del Signore in Gesù Cristo e nella sua opera di solidarietà con noi che ci rende, a nostra volta, solidali con Dio.
Dunque si tratta di essere svegli, accorti, pronti a cogliere le occasioni di ogni giorno, nelle quali ci "procuriamo" il nostro futuro aprendoci ad esso, lasciando che diventi protagonista del nostro oggi. Per esempio: ogni atto di carità o di misericordia non evitato o dilazionato, ma compiuto invece con prontezza, con «scaltrezza» di vita, è segno di apertura al nostro futuro per il quale Signore si è impegnato totalmente e definitivamente.
Nella seconda parte del Vangelo, Gesù raccomanda di essere avvertiti nel rapporto con le ricchezze. L'assioma che sta alla base è quello che conclude il brano: «Non potete servire Dio e la ricchezza». La ricchezza è «mammona»: dalla radice ‘aman, che significa «credere». Siamo degli illusi se pensiamo che della ricchezza si possa solo usufruire, come un utensile, con un vero distacco da essa: nel denaro, infatti, «si crede» (vedi le dinamiche del mercato, che sono date dalla «fiducia»). Per questo la ricchezza è del tutto alternativa a Dio.
L'unico uso possibile di essa è sapersene privare vivendo la carità verso chi si trova nel bisogno, che è prediletto da Dio: «Fatevi amici con la ricchezza disonesta (in quanto egoista se trattenuta), perché, quando questa verrà a mancare, essi (i poveri) vi accolgano nelle dimore eterne». Solo chi sa far dono di ciò che ha e di ciò che è («fedele in cose di poco»), con interesse totale verso l'altro, potrà cogliere come dono il futuro che Dio promette e per il quale si compromette («fedeli in cose importanti»).
Alberto Vianello

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