Monastero Marango Alberto Vianello domenica 15 sett.

Letture: Es 32,7-11.13-14; 1Tm 1,12-17; Lc 15,1-32

La casa della festa

Gesù rivela la grande misericordia di Dio per l'uomo narrando tre parabole, nelle quali, al centro, c'è la lunga e meticolosa ricerca della pecora perduta, della moneta smarrita, e l'attesa amante e non giudicante per il figlio perduto e per quello divorato dall'amarezza.
Dunque, al centro c'è il cuore di un pastore, di una donna di casa e di un padre. Se non si coglie questo cuore saremo sempre dalla parte della legge e della ragione, che non si spiegano la gioia per una sola rispetto alle novantanove «che non hanno bisogno di conversione», che non si spiegano tanto impegno per una moneta da nulla, e non si spiegano l'attesa paterna di chi non vuole essere figlio.
Perché per Dio vale ciò che non vale agli occhi degli uomini. Soprattutto per Dio vale chi ha bisogno di conversione, non chi non ne ha bisogno. Invece noi guardiamo con ammirazione chi fa opere di conversione, e guardiamo con censura chi invece è lontano da Dio. Dio ha un unico e indefettibile obiettivo: recuperare l'uomo dalle sue disperazioni e dalle sue miserie.

Anche la prima Lettura fornisce questa alternativa, presentata da Dio a Mosé come una prova, che deve orientare verso chi ha bisogno di conversione, altrimenti non si può sperimentare veramente Dio, che è solo e tutto misericordia (cfr. Es 34,5-9).
Infatti Dio dice a Mosé: «Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro (il popolo peccatore) e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosé è l'uomo che Dio ha scelto come guida e gli aveva appena donato le tavole della legge divina. Il popolo d'Israele, invece, si era dato all'idolatria, mettendosi ad adorare il vitello d'oro. È logico, "sano", pensare di ripartire dall'unico fedele, Mosé, per farsi un popolo che veramente adori l'unico Dio. Ed è altrettanto logico pensare di lasciar perdere quel popolo che, non nella prova, bensì nel dono, non sa essere fedele al proprio Dio.
Invece Mosé sa cogliere il cuore di Dio, al di là della giustizia religiosa. Prega Dio perché risparmi il popolo, e di quella povera gente peccatrice faccia «una grande nazione». Questa è veramente la preghiera secondo il cuore di Dio: cuore che vuole ricuperare, non distruggere; che vuole far cose nuove e vive dall'immondizia del peccato, non dalle perfezioni della legge.

Un elemento presente in tutte e tre le parabole è la casa come luogo dove far festa.
Il pastore che ha ritrovato la pecora perduta, «Va' a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: "Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora"». È la stessa gioia che c'è in cielo, rivela Gesù, per uno solo che si converte.
Così la donna che ha perduto la monetina. La casa è il luogo della perdita, della ricerca caparbia (accende la lampada, spazza tutta la casa, cerca con tanta cura e interesse: tutto per una monetina da niente) e poi della convocazione delle amiche e vicine perché si rallegrino con lei per il ritrovamento.
La casa, nella terza parabola, drammaticamente è il luogo da cui il figlio minore si allontana e a cui ritorna solo per fame, ed è il luogo nel quale il figlio maggiore si rifiuta di entrare quando sa della festa per il fratello ritornato. In casa si abita da figli (non da schiavi: «Io ti servono tanti anni») quando si è disposti ad accettare la festa che il padre fa per il figlio che lui ha accolto per ridargli dignità e vita.
Questa casa e la Chiesa: vi si sta solo a patto di essere disposti a far festa per l'amore gratuito e per la misericordia incondizionata con cui il Padre, Dio, ritrova tutti quelli che cerca senza mai ato tutti i beni del padre, che non vada bene fare una grande festa per chi ha abbandonato, invece di dare un po' a chi è sempre rimasto, allora ci si esclude dalla casa perché ci si esclude dalla festa.
Per Dio la festa per l'abbraccio al figlio perduto è un dovere, è un progetto, è tutto un modo di vivere e di concepire il rapporto con gli uomini: «Bisognava far festa e rallegrarsi». È la festa della vita: «Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita». Sottrarsi alla festa, per quanto si sia fedeli e giusti davanti a Dio, è un'autoesclusione, sdegnata e rancorosa come quella del figlio maggiore, che impedisce di vivere nel cuore del Padre, che sempre solo arde d'amore per tutti i suoi figli dispersi.
Gesù stesso accetterà di raggiungere i più lontani e dispersi, come lontano e disperso Lui stesso, per ricondurli alla loro casa. Infatti dirà al ladrone: «Oggi con me sarai in paradiso» (Lc 23,43). E noi dobbiamo essere pronti a far festa, altrimenti non si entra in quella casa, che è solo luogo di gioia per i peccatori ritrovati e ricondotti nel cuore del Padre.

Alberto Vianello

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