Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM 27 Ottobre

XXX TEMPO ORDINARIO – 27 ottobre 2013
IL PUBBLICANO TORNO’ A CASA GIUSTIFICATO, A DIFFERENZA DEL FARISEO -
Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano
l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non
sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo
pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che
possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al
cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché
chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
“Siate santi perché io sono santo”, questo è l’imperativo, la richiesta del Dio dell’Antico
Testamento, e la santità viene intesa come la scalata verso Dio attraverso l’osservanza di

regole, di precetti, di comandamenti, di pratiche religiose.
Ebbene stranamente questo invito non appare mai nella bocca di Gesù. Mai Gesù in nessuno
dei vangeli chiede: “Siate santi come io sono santo”. Ma Gesù insistentemente e continuamente
rivolge l’invito “Siate compassionevoli come il Padre vostro è compassionevole”. Perché tutto
questo? Ce lo spiega Luca nella parabola che adesso esaminiamo, il capitolo 18, versetti 9-14,
e l’evangelista ci fa vedere il differente orientamento.
Nella santità l’uomo che scala verso la santità, verso Dio – il traguardo è Dio - ha l’ambizione di
portare gli uomini verso Dio. Ma chi desidera portare gli uomini verso Dio inevitabilmente fa sì
che qualcuno rimanga indietro, altri rimangano esclusi. Ecco la novità di Gesù è stata che lui
non ha voluto portare gli uomini verso Dio, la scalata della santità, ma lui ha fatto qualcosa di
diverso: ha portato Dio verso gli uomini e se nella scalata verso la santità l’uomo va verso Dio
1grazie ai suoi meriti (ma non tutti possono o vogliono avere questi meriti), nel fatto che Gesù
porti Dio agli uomini, quel che conta non è il merito delle persone, ma il dono d’amore di Dio per
tutta l’umanità.
Un Dio che non ama le persone nonostante i loro peccati, ma proprio per questo li ama. Questa
è la novità sconvolgente che Gesù ha portato. E Gesù la mette in scena con questa parabola
conosciuta come del “Fariseo e pubblicano”, che ha una precisa indicazione iniziale.
L’evangelista scrive che Gesù disse questa parabola per alcuni che avevano l’intima
presunzione di essere giusti – dove giusti significa “a posto con Dio” – e disprezzavano gli altri.
E presenta gli antipodi della società di Israele, il Santo per eccellenza, il Fariseo, la persona
che, come dice il nome (Fariseo significa separato), si separa dagli altri attraverso la pratica
religiosa, le osservanze, addirittura maniacali, e la persona ritenuta la più impura, la più distante
da Dio, il pubblicano, un individuo che, anche se volesse, non può più cambiare quel mestiere
che lo rende impuro.
Ebbene il Fariseo in questa preghiera ringrazia il Signore più per sé che per gli altri e cosa
presenta al Signore? Presenta al Signore quelli che sono i suoi tentativi di arrivare a lui
attraverso le pratiche religiose più degli altri. Dice il Fariseo: “Digiuno due volte alla settimana”,
ma il digiuno obbligatorio era richiesto una sola volta all’anno. No, lui fa di più, lui digiuna tutte le
settimane e addirittura due volte.
E poi si vanta: “Pago le decime”, le decime sono l’offerta di una decima parte del raccolto e del
bestiame al tempio, al Signore, “di tutto quello che possiedo”. Non paga solo per ciò che è
prescritto, ma per tutto quello che possiede.
Quindi è una persona che tenta di arrivare a Dio attraverso una pratica incessante e continua, e
come vedremo straripante, di osservanze che Dio non ha mai chiesto. Perché Dio non ha mai
chiesto queste cose, Dio già attraverso i profeti aveva detto: “Imparate cosa significa
Misericordia voglio e non sacrifici”.
Ebbene quest’uomo che vuole andare verso Dio e ha l’ambizione di portare gli uomini verso Dio
se ne trova escluso. Perché? Dice Gesù che da lontano c’era un pubblicano, la persona
immersa nel peccato fino al collo, che pure osa rivolgere questa preghiera: “O Dio, abbi pietà di
me peccatore”, usando la formula imperativa. Cioè gli dice: “Sii benevolo, mostrami la tua
misericordia”.
Allora abbiamo da una parte la persona spirituale, ricca della sua santità, che offre i suoi meriti
al Signore, dall’altra la persona che non ha nulla da presentare, se non la sua condizione di
peccatore, dalla quale, ripeto, non può più venir via e mostra la sua miseria.
Da una parte il merito, dall’altra il bisogno. Ebbene la sentenza sconvolgente, sconcertante di
Gesù: “Io vi dico: ‘Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato’ ”. Ricordate che
all’inizio Gesù aveva detto che la parabola era per alcuni che avevano l’intima presunzione di
essere giusti e disprezzavano gli altri. E aveva presentato il giusto, il Fariseo, e il disprezzato.
Adesso le sorti si rovesciano.
2Il pubblicano disprezzato qui diventa giusto. “Tornò a casa sua giustificato”, che significa a
posto con Dio, mentre l’altro no. Quella che Gesù ha presentato è una novità che forse ancora
non riusciamo a comprendere ma che ci deve spingere a questo imperativo: Il Signore non ci
chiede di essere santi, perché la santità separa dagli altri, forse avvicinerà a Dio, ma
inevitabilmente allontana dal resto della gente (la santità intesa come osservanza di regole, di
pratiche religiose). Gesù ci chiede di essere la carezza compassionevole del Padre per ogni
creatura; non amare l’altro per i suoi meriti, ma per i suoi bisogni.
Questo è l’insegnamento della buona notizia di Gesù

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