Comunità monastica di Pulsano – Lectio divina della XXVI 8/8 II Domenica del Tempo Ordinario C

Domenica “dei 10 lebbrosi”
XXVIII Dom. Tempo Ord. C
Lc 17,11-19; 2 Re 5,14-17; Sal 97; 2 Tm 2,8-13
Antifona d'Ingresso Sal 129,3-4
Se consideri le nostre colpe, Signore,
chi potrà resistere?
Ma presso di te è il perdono,
o Dio di Israele.
Inizia così la divina liturgia di questa Domenica, la XXVIII per annum C ma poi nel canto all’evangelo
si esulta:
Canto all’Evangelo 1 Ts 5,18
Alleluia, alleluia.
In ogni cosa rendete grazie:
questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi.
Alleluia.
Non solo in 1 Ts 5,18 ma ripetutamente l’Apostolo esorta a innalzare di continuo azioni di grazie (Ef
5,20; Col 4,2) al Signore, poiché i benefici divini diventano dei fedeli solo nell’atto di darne conto al
Signore. Infatti il Signore così vuole da tutti, che si faccia «in Cristo».
Questo è il percorso che siamo invitati a fare “oggi” dopo aver incontrato Gesù, il Signore, nella Sua
Parola celebrata e nutriti col Suo Corpo e il Suo Sangue. Come il samaritano prostriamoci e adoriamolo
dichiarandoci Suo possesso.
Anche il brano evangelico di questa domenica appartiene alla lunga sezione (9,51-19,28) nella
quale Luca, abbandonando lo schema di Matteo e di Marco, condensa intorno all’ultimo viaggio (Esodo
verso la Croce e la Resurrezione) di Gesù verso Gerusalemme un abbondante materiale evangelico, che
spesso gli è proprio.
Cristo Signore battezzato dallo Spirito Santo e inviato dal Padre nella missione tra gli uomini, ai
quali nello Spirito Santo annuncia l’Evangelo e per i quali opera i prodigi della Carità del Regno ra
inizia la terza e ultima tappa, che introduce a Gerico, porta della terra promessa.
Una possibile struttura della pericope riconosce tre parti (vedi schema allegato tratto da: Roland
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Meynet, Il vangelo secondo Luca, analisi retorica, Edizioni Dehoniane, 1994):
A. La prima parte (11-14) è incentrata sulla domanda dei lebbrosi (13b). Seguono poi due
frasi narrative che si chiudono con il verbo “dire” (13a e 14a). Infine, due brani paralleli
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(11-12 e 14b-e). I due segmenti del primo brano fanno susseguire una subordinata nel
primo membro e la principale nel secondo. Ciò vale anche per il brano finale (14b-e). Da
notare l’inclusione formata dagli inizi identici dei segmenti estremi.
B. La terza parte (17-19) comprende agli estremi, introdotte da una frase narrativa (17a e
19a), due parole di Gesù (17bc e 19bc) in cui si corrispondono due verbi relativi alla
guarigione, “purificare” e “salvare”. Al centro (18), lo scopo del ritorno “rendere lode a

Dio”.
C. La parte centrale (15-16): agli estremi, lo stesso personaggio, “uno di loro”, identificato
come “Samaritano”. Nel mezzo, il binario delle sue azioni (“tornò” e “cadde”) e delle sue
parole (“lodando” e “ringraziando”).
Nel gioco dei centri i due personaggi uniti al centro del passo si ritrovano nei centri delle parti
estreme: “Gesù” invocato all’inizio (13b) dai lebbrosi è Dio alla fine al quale Gesù avrebbe voluto che
tutti e dieci “rendessero lode” (18). Si noterà la ripresa di “voce” nella frase narrativa che introduce le
parole centrali della prima parte (13a) e nel primo membro del centro generale (15b); ogni volta la voce
è forte. Analogamente si noterà la ripresa di “tornare” al centro generale (15b) e al centro della seconda
parte (18a).
Esaminiamo il brano
v. 11 Le indicazioni geografiche e topografiche dell’evangelista non obbediscono a criteri di precisione,
ma di ambientazione generica e teologica del racconto.
Gesù, in cammino verso la Città Santa, «attraversa »la Samaria e la Galilea.
L’espressione «dia meson» è molto diffìcile da spiegare; lett. è tradotto con «attraverso la parte centrale
della Samaria e della Galilea».
In realtà, le due regioni, se di un vero e proprio attraversamento si tratta, avrebbero dovuto essere
menzionate nell’ordine inverso, perché la Samaria era tra la Galilea e la Giudea; molti perciò intendono
che Gesù si muove lungo il confine tra le due regioni, verso est, per imboccare poi la valle del Giordano
fino a Gerico (cf. 19,1).
v. 12 In un abitato si fanno incontro a Gesù 10 lebbrosi, i quali però, per la severa legge levitica debbono
tenersi a distanza (cf Lev 13,45-46; Lam 4,15). La lebbra, col peccato che essa significa, ha radunato
questi dieci uomini, emarginandoli tutti, senza distinzione di origine, dalla comunità e dal culto. Non
possono avvicinare né gli uomini, né Dio.
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L’isolamento era diretto ad evitare il pericolo di contagio e un interdetto religioso - l’impurità legale -
rendeva il malato inabile a far parte dell’assemblea di culto come escludeva chiunque fosse venuto a
contatto con lui.
Ma il loro grido giunge a Gesù. La sua misericordia non fa differenza tra questi uomini. Tutti quelli
che hanno implorato la sua pietà saranno purificati insieme, perché hanno tutti obbedito al suo invito.
Tutti potranno far constatare la loro guarigione dai sacerdoti, secondo le prescrizioni della Legge.
La lebbra infatti è il più drammatico simbolo del peccato e l’eventuale guarigione doveva essere
diagnosticata da un sacerdote, competente in materia di purità e impurità legale (Lv 14,1-32), era seguita
anche dall’offerta di un sacrifìcio analogo al cosiddetto «sacrifìcio per il peccato».
«dieci lebbrosi» dieci è il numero di adulti (età superiore ai tredici anni) richiesti per svolgere una
liturgia comunitaria come assemblea sinagogale (il Minyan = numero); è anche cifra dell’azione umana,
che si realizza attraverso le dieci dita delle mani.
Questi dieci rappresentano tutta l’umanità, chiamata a far parte della comunità dei figli che ascoltano e
fanno la parola del Padre.
Da notare come la sciagura e la miseria affratella e rende bisognosi di compagnia a tal punto che questo
gruppo è composto di giudei e un samaritano; nulla come il dolore e la sventura elimina radicalmente le
distanze. La preghiera dalla quale erano stati esclusi si realizza comunque ed è efficace.
v. 13 Gridano a gran voce: «Gesù sovrintendente » (epistàtès) = titolo che riconosce la supremazia,
indica uno che sta in alto; alcuni traducono anche con Signore o maestro. Luca è il solo autore del N.T. a
tradurre l’ebraico-aramaico rabbì con il termine greco «epistàtès»; la grecità sacra e profana dà ad
epistàtès il significato di preposto, capo presidente.
«Gesù»: (=Dio salva): i lebbrosi sono i primi a chiamare Dio per nome. Oltre ai lebbrosi, solo il cieco
(18,38) e il malfattore in croce (23,42) ne pronunciano il nome.
Chiamare per nome significa conoscere e avere un rapporto amichevole; essi hanno conosciuto la bontà
di lui, e la implorano: abbi pietà di noi!
Eleison hemàs Sal 145,2; 51,3-4; Is 33,2.
v. 14 Gesù si volta:
«appena»: = cf buon samaritano Lc 10.33; Padre misericordioso Lc 15,20
«li vede»: (horáō) e invece di fare un gesto di guarigione, risponde sempre per traverso, come usa fare, e
come, poi si vede è il modo più efficace: «Andate, mostratevi ai sacerdoti».
È il richiamo alla norma severa di Lv 13,32.45-46 I lebbrosi non hanno chiesto esplicitamente la
guarigione, ma Gesù va incontro al loro più profondo e straziante desiderio. E quelli sono guariti mentre
vanno; mostrano così una grande fede obbedendo, anziché replicare per essere guariti subito. Questi
lebbrosi siamo noi tutti, chiamati a seguire Gesù, anche se incapaci di percorrere la sua via. Il Padre ci ha
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ordinato di ascoltare il figlio (9,35), che ci chiama a fare il suo viaggio (9,23). Ascoltando il Padre,
obbediamo al Figlio e intraprendiamo il cammino impossibile che ci prescrive; siamo mondati
dall’obbedienza alla sua parola che ci ordina il santo viaggio.
All’interno di questo veniamo purificati. Non è che prima siamo giusti e poi possiamo seguire Gesù: la
salvezza non è la condizione, ma la conseguenza della sequela.
Per questo noi, peccatori e perduti, possiamo percorrere il cammino di Gesù.
Confidiamo solo nella sua parola, in povertà assoluta.
Questa è la fede che giustifica e dà speranza contro ogni speranza (Rm 4,18).
Il confronto con la prima lettura è illuminante in tal senso (cfr. 2 Re 5,10-11).
vv. 15-16 Uno però torna indietro guarito e rendendo grazie si prostra ai piedi di Gesù. L’evangelista
Luca Annota semplicemente: «e questo era Samaritano».
Quell’uomo doppiamente escluso, come lebbroso e come Samaritano, è così abilitato a riconoscere
Gesù.
Come si sa, tra Ebrei e Samaritani non esisteva sopportazione (cf Gv 4,9b); Gesù nell’inviare i discepoli
in missione (Mt 10,5), prescrive esplicitamente di non andare dai Samaritani. Di fatto proprio all’inizio
della «salita a Gerusalemme», i Samaritani non lo accolsero: 9,52-53, ed i discepoli irritati chiedono di
far scendere il fuoco dal cielo (cf Evangelo della Dom. XIII).
«Si vide»: ancora horáō. Ora il verbo vedere così espresso in greco indica un vedere che supera la
superfice e coglie l’essenza delle cose. È un vedere che porta alla fede (cf Gv 20,8).
Luca usa lo stesso verbo e la stessa forma già usati per indicare lo sguardo misericordioso di Gesù.
«Ringraziare» e «ringraziamento»: in greco eucharistéo ed eucharistia, sono termini nuovi ed indicano
l’importanza dell’azione di grazie per i cristiani in risposta alla grazia (charis) ricevuta da Dio in Cristo
Gesù.
Il Samaritano guarito unisce nella stessa lode e nella stessa azione di grazie Dio e Gesù. Egli riconosce
davanti a tutti che la salvezza ricevuta è l’opera di Dio in Gesù. La sua fede non fa distinzione tra loro ed
egli si prostra dinanzi a colui dal quale è stato purificato come ci si prostra davanti al Signore.
La perfetta espressione del ringraziamento è appunto l’Eucaristia sacramentale, donata da Cristo alla sua
Chiesa perché per Lui, con Lui e in Lui essa renda gloria e grazia al Padre.
vv. 17-18 Gesù lo accoglie con strane parole. Non lo complimenta, ma come «risposta» quasi lo investe
con un triplice incalzante interrogativo.
All’unico credente si chiede conto degli altri nove; che non accada come in Gen 4,9: «Allora il Signore
disse a Caino: “Dov’ è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio
fratello?”».
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La traduzione letterale del v. 18 è: «Non si trovarono che tornassero a dar gloria a Dio, se non questo
estraneo?»; i verbi dovrebbero essere al singolare, come traduce ancora la CEI. Sono invece al plurale,
perché il pensiero di Gesù è rivolto ancora agli altri nove.
Egli è il vero figlio maggiore che si cura degli altri fratelli perduti. I nove giudei accettano con
naturalezza il prodigio e continuano il viaggio verso il sacerdote, pronti a rientrare nella vita umana e
religiosa d’Israele, loro popolo.
Ritornano a Gerusalemme per compiere una legge, che poi li condannerà al primo errore.
Resteranno così sempre immondi. In fondo, la guarigione non apporta loro nulla di nuovo, perché
tornano ad essere quello che erano già stati, israeliti; il loro incontro con Gesù è stato semplicemente un
episodio superficiale e passeggero.
Hanno ricevuto la guarigione esterna, ma internamente sono rimasti legati ai vecchi ideali, un giudaismo
che non ha compreso il vero valore della Legge, la salvezza dell’uomo che liberato riconosce la Signoria
di Dio.
Uno solo per ora torna da Gesù e lo ringrazia per il dono ricevuto; non saprebbe più dove andare, perché
la sua vecchia comunità di salvezza non gli offre più garanzie. Ha trovato in Gesù qualcosa di diverso ed
è tornato per ringraziarlo e mettersi al suo servizio.
Anche lo straniero Naaman ritornò da Eliseo dopo esser stato guarito dalla lebbra.
Quest’uomo “graziato” che torna indietro a “rendere grazie” ha dei lineamenti ben caratterizzati: è uno
straniero, anzi un samaritano, ed è un lebbroso, cioè un impuro, un colpito, un maledetto. Ha dei
lineamenti che non possono non evocarne altri ben noti: «è un samaritano, un indemoniato! Dicevano di
lui» (Gv 8,48). C’è somiglianza, c’è nel graziato consanguineità col volto stesso del Donatore gratuito;
Cristo che prima ancora di dare qualcosa ha assunto la stessa condizione di colui che era nel bisogno, si
è fatto come lui per aprirlo alla salvezza.
v. 19 Dopo la lode del v. 18 il Samaritano è congedato: la fede tua ti ha salvato. Questa formula, che
indica la potenza della fede è comune ai sinottici:
a) Mt 9,22; Mc 5,34; 10,52;
b) Luca rivolge le stesse parole alla peccatrice (7,50), all’emorroissa (8,48), e al cieco (18,42; cf
Zaccheo 19,9).
L’accento va posto su due poli:
1. la misericordia del Signore, che guarendo i lebbrosi li reinserisce dentro l’assemblea
cultuale del popolo di Dio, da cui li escludeva la grave affezione.
2. la fede dei dieci lebbrosi.
Incipiente in tutti e 10 i lebbrosi, che obbediscono al comando del Signore di presentarsi al
sacerdote, essa si sviluppa solo nel Samaritano. Questo nel mostrare la sua gratitudine al dio
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onnipotente, dal quale sa di essere stato guarito, rivela la pienezza della sua fede accettata ed espressa a
Cristo.
Quello che era cominciato come una guarigione fisica diviene una «salvezza» definitiva.
Intorno a Gesù comunque regna una cieca ostinazione, mentre il Regno di Dio si è appena
manifestato davanti a loro con la guarigione dei dieci lebbrosi, i farisei chiedono a Gesù quando verrà
(17,20-21) una domanda che ricorda quella di 13,23: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?”.
Non potevano trovare momento migliore per porgli una tale domanda! La loro mancanza di fede
non si poteva manifestare con maggiore evidenza, appena dopo che il Samaritano aveva manifestato la
sua.
Decisamente, il Regno di Dio non si impone come l’evidenza di un fatto alla cui osservazione
nessuno potrebbe sfuggire. Il Samaritano ha saputo riconoscere nella sua guarigione il segno della
presenza del Regno di Dio in Gesù; come i dieci lebbrosi giudei, benché anch’essi guariti, i farisei
restano ciechi: vedono i segni e non sanno riconoscere ciò che significano. Come più tardi i sacerdoti,
che constateranno la purificazione dei nove lebbrosi giudei, i farisei nel porre la domanda rifiutano già il
Figlio dell’uomo che offre loro la salvezza.
I farisei attendono il Regno di Dio. Il loro solo problema è di sapere quando verrà per poterne
godere. Non si pongono il problema di sapere se vi saranno ammessi, tanto sono sicuri del fatto loro.
Anche i discepoli vorranno vedere il giorno del giudizio e della liberazione dai loro nemici. Tutti
pensano alla condanna e alla morte soltanto come a quella degli altri. Ebbene se uno sarà preso e l’altro
lasciato, la minaccia di essere abbandonato agli avvoltoi li riguarda, come riguarda tutti gli altri.
Gesù enuncia chiaramente la legge che regolerà il giudizio al termine del quale uno sarà preso nel
Regno di Dio per la vita eterna e l’altro lasciato senza vita, cadavere del quale si ciberanno gli avvoltoi.
Chi vuole conservare la propria vita la perderà e chi perde la propria vita la conserverà. Il paradosso di
Gesù, quello del quale ha indicato la via accettando la morte, vuole che tutto sia capovolto d’ora in poi
per i fedeli del Cristo: non è la morte degli altri che ci salverà dai nostri nemici, ma la nostra morte
accettata che ci salverà e con noi quelli che ci perseguitano. Gesù non ha chiesto al Padre di perdonare a
quelli che gli toglievano la vita?
II Colletta
O Dio, fonte della vita temporale ed eterna,
fa’ che nessuno di noi ti cerchi solo per la salute del corpo:
ogni fratello in questo giorno santo
torni a renderti gloria per il dono della fede,
e la Chiesa intera sia testimone della salvezza
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che tu operi continuamente in Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te, ...
martedì 8 ottobre 2013
Abbazia Santa Maria di Pulsano
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