Comunità Marango"Consapevoli dell’amore"

 
Consapevoli dell’amore
 
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L'Avvento inizia con un preciso avvertimento: essere «consapevoli del momento» (seconda Lettura). Non si riferisce ad una data e una situazione precisa: il termine parla di una «tempo favorevole». Paolo lo aveva indicato in un passo precedente della lettera ai Romani (5,6ss): «Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito (stesso termine) Cristo morì per gli empi». E questa morte ha avuto un preciso significato: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). La situazione favorevole, dunque, è quella data dalla morte di Cristo per tutti noi poveri peccatori. In questo modo Egli ha realizzato e dimostrato l'amore di Dio per gli uomini. Di questo tempo e di questa situazione dobbiamo essere consapevoli sempre di più: dell'amore di Dio dimostrato in Gesù Cristo. E’ questa la nostra apertura di fede ai tempi finali e definitivi a cui ci orienta l’inizio dell’Avvento.
 
Tutte e tre le Letture, infatti, e l'intera liturgia della prima domenica di Avvento, guardano alla fine del mondo in Dio (che è il suo fine): la sua venuta al termine della storia (ma già sostanzialmente realizzata con la prima venuta, quella che viviamo a Natale). Ma essere vigilanti non significa essere pronti ad una rovina definitiva che viene. Magari con attese di rivalsa nel cuore: "Finalmente verrà fuori chi è stato un bravo cristiano come noi e chi, invece è stato uno che ha pensato solo a se stesso...".
Infatti i testi che parlano della venuta del Signore vanno ben interpretati: non per smorzare la preoccupante vena apocalittica, ma per fedeltà al loro contenuto e il loro messaggio.
Questi testi ci annunciano un cambiamento radicale, che richiede sì vigilanza e prontezza, ma soprattutto chiede attenzione perché sarà (ed è già) una trasformazione in bene.
Dice infatti la prima Lettura: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un'altra nazione». Non è possibile immaginare un cambiamento più radicale della storia (anche quella attuale)! Per questo bisogna essere non sonnacchiosi, non banalizzanti ("Non cambia niente..."), non rassegnati. Il bene è capace di sorprenderci molto più del male: ci prende sopra, coinvolge la nostra vita in un cambiamento così radicale che non è paragonabile con l'influenza che potrebbe avere la peggiore rovina.
 
Il Vangelo avvicina la «venuta del Figlio dell'uomo» ai «giorni di Noè». E’ il tempo (lungo) nel quale, mentre costruiva l'arca, i suoi contemporanei avrebbero avuto l'occasione di convertirsi. E’ il tempo, poi, dell'opera di salvezza per un piccolo resto, che salva l'umanità dall'autodistruzione. Perciò il riferimento a Noè non è un richiamo alla distruzione ma alla liberazione da essa.
Invece, «mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito»: non facevano alcun che di male, semplicemente si accontentavano della banalità di ogni giorno. E si dimenticavano, così, di Dio che li attendeva, per cambiare la storia e aprirla al bene, alla pace, alla felicità totali.
 
Dato che la venuta del Signore sarà questa pienezza di vita, essa non può che coglierci impreparati, perché è una cosa che non abbiamo sperimentato, anzi, ne abbiamo provato sempre l'opposto. Proprio per questo non siamo in grado di «conoscere il giorno», come non sappiamo quando viene il ladro. Restare svegli e l'essere pronti deve sopperire allora all'impreparazione. Non possiamo essere adeguati e corrispondenti alla venuta di Colui che, comunque, è «il Signore vostro», quindi non è un estraneo.
La vigilanza e la prontezza comportano il riempire il nostro oggi del domani di Dio. Non come una fuga in avanti, ma come una convinzione così radicata di un mondo e di una vita inevitabilmente diversi in Dio, da convincerci che tutto il male che sembra vincere oggi, in realtà è già finito. Il Signore sta per venire. Non è questione di data di calendario, ma di qualità di vita. Non andiamo verso la morte, ma verso la pienezza, attraverso la morte.
Partecipi del dramma, ma attenti al Signore di cui ci rivestiremo, e che quindi è destinato a diventare la nostra abituale attitudine, realtà normale, propria e caratterizzante come è un abito che vestiamo tutti giorni. Questo futuro che ci viene incontro ci chiede responsabilità: fare della propria vita uno spazio disponibile alla salvezza, per sé e per gli altri.
 
Alberto Vianello

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