Cardinale Angelo Scola “Da Benedetto a Francesco: tra sorpresa e grazia”
Presentazione del volume “photoansa
Milano, 16 dicembre 2013, ore 18
Sala delle colonne
Grande Museo del Duomo di
Milano
Intervento dell’Arcivescovo di Milano Cardinale Angelo Scola
“Da Benedetto a Francesco:
tra sorpresa e grazia”
Il titolo suggerisce la chiave del mio
intervento. La sorpresa dice immediatamente l’eccezionalità dei due avvenimenti
per tutta la famiglia umana. La grazia spiega da dove venga la sorpresa, cioè
dallo Spirito del Risorto che non cessa di accompagnare la sua Chiesa.
1. La fatica delle Chiese di Occidente
Non pochi, da qualche anno, avevano la
percezione del grande affaticamento, se non di una certa involuzione delle Chiese
nel Nord del pianeta, percezione che è divenuta in tanti fonte di acuto
disagio.
Gli ultimi decenni, infatti, hanno ampiamente
confermato la diagnosi già chiaramente espressa
dall’allora Mons. Montini
(1933) che buona parte della cultura
europea avesse finito per prescindere da Cristo: «Cristo è un ignoto, un dimenticato, un assente in gran parte della
cultura contemporanea»[1].
Lo stesso Montini, divenuto Paolo VI, si
accorge del progressivo diffondersi di questo stato di cose dagli intellettuali
ai chierici e ai cristiani militanti. Sarebbe interessante riproporre qui la
domanda di Eliot: “È l'umanità che ha abbandonato la Chiesa o è la Chiesa che
ha abbandonato l'umanità?”[2]. Il Concilio
Vaticano II ne rileva la causa parlando di una frattura tra fede e vita: «La dissociazione, che si costata in molti,
tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più
gravi errori del nostro tempo» (cf. Gaudium
et spes 43).
Ancora Paolo VI ne indica con nettezza
la via d’uscita: «L'uomo contemporaneo
ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa
perché sono dei testimoni» (Evangelii
Nuntiandi 41).
Il Concilio Vaticano II, definito dai
Papi come l’evento più importante per la Chiesa del XX° secolo, approfondisce elementi
dottrinali (LG, DV, SC, GS prima parte), proposte “pastorali” di
riforma ecclesiale (ChD, PO, OT,
PC, AA, AG, GE), fondamenti per l’affronto di
urgenti tematiche ecumeniche, di dialogo interreligioso, di relazione tra
Chiesa e società civile (UR, OE,
NA, DH), ed elementi di
valutazione socio-culturale sul rapporto Chiesa-mondo (GS seconda parte, IM).
Come sempre dopo
i grandi concili, anche dopo il Vaticano II la Chiesa si trova però a fare i
conti con il delicato problema della traduzione
metodologica dei suoi insegnamenti (mostrare agli uomini la strada per
viverli), che nei testi conciliari è raramente presente o lo è in modo
implicito. Questa mancanza, forse inevitabile, deve a sua volta confrontarsi
con le radicali e complesse mutazioni che si sono susseguite a partire dal ’68
e che, attraverso la fine delle utopie con la caduta dei muri, ci hanno
condotto al travaglio, tuttora in corso, del passaggio al Terzo millennio
connotato da inediti e più che epocali cambiamenti nella concezione della
sessualità, del matrimonio, della famiglia, della vita, seguiti al progresso
scientifico soprattutto nel campo delle biotecnologie, delle neuroscienze, alla
destabilizzazione derivante dalla nuova visione del cosmo proposta dalla
fisica-micro, al mescolamento di popoli, alla civiltà delle reti, alla crisi
economico-finanziaria, alla mancanza di un nuovo ordine mondiale, ecc.
Come ben mostra
il magistero di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, non sono
mancati e non mancano esiti positivi del Concilio. A livello di vita ecclesiale
concreta, anche in Europa, si vedono segni di effettivo rinnovamento – a
livello delle Chiese locali, nel modo di concepire la parrocchia,
l’associazionismo, i movimenti, le nuove comunità… –; tuttavia la diagnosi cui
ha dato l’avvio Paolo VI resta più che mai attuale: le Chiese europee – in
maniera assai differenziata – sono oggi in grave difficoltà. In particolare non
riescono più ad intercettare le generazioni di mezzo (25-55 anni).
Oggi a tutti
appare evidente che la grande fatica di tutte le forme di realizzazione di
Chiesa (diocesi, parrocchie, comunità religiose, associazioni, movimenti, ecc)
è quella di rigenerare le comunità cristiane aperte a 360° e che siano luoghi
vitali di appartenenza tali da consentire alla persona, in piena libertà, una sequela Christi integrale e persuasiva. In
proposito conviene ribadire che Dio non abbandona mai il Suo popolo.
2.
Un gesto profetico: la rinuncia di Benedetto XVI al ministero petrino
Questo orizzonte, rapidamente e
grossolanamente tracciato, mi sembra quello adeguato per stare di fronte alla rinuncia
al ministero petrino da parte di Benedetto XVI. Un gesto umile di profonda fede,
che ha lasciato tutti senza parole, mettendo in evidenza la “differenza” del Vangelo rispetto ad ogni
logica mondana.
È opportuno riflettere brevemente sul
gesto che lo Spirito ha suggerito al cuore di Benedetto XVI. Alcuni autori lo hanno
inquadrato acutamente nel contesto del rinnovamento ecclesiale che ha portato
con sé il Concilio Vaticano II. Il Concilio, infatti, avrebbe aperto la strada
perché la rinuncia del Papa non rappresentasse un “caso traumatico” per la
Chiesa[3].
E questo per due ragioni.
In primo luogo, per l’insegnamento
rinnovato sul ministero petrino nel contesto della cosiddetta “ecclesiologia di
comunione” e della collegialità episcopale. La rinuncia di Benedetto XVI è
espressione di una concezione del ministero gerarchico in termini di
“diaconia”, cioè di servizio alla comunione della Chiesa. La rinuncia mostra,
per un verso, l’importanza della persona e del ministero del Papa ma, per un
altro, documenta che l’alto ministero papale va concretamente compreso in
riferimento a Gesù Cristo stesso[4],
supremo Pastore.
In secondo luogo, è utile fare
riferimento a quella che è stata chiamata “l’indole pastorale” dell’ultima
assise ecumenica. Cosa si intende per “indole pastorale”? «In estrema sintesi: papa
Roncalli, e sulla sua scia Paolo VI ed i Padri conciliari, hanno inteso
sottolineare la natura salvifica della Chiesa proprio con l’evidenziarne il
compito pastorale. La Chiesa
offre testimonianza della verità che è Gesù Cristo per il fatto di concepirsi
essenzialmente propter homines»[5].
Quindi col termine “pastorale” ci si riferisce alla missione storico-salvifica
(sacramentale) della Chiesa. L’“indole pastorale” mostra che «la Chiesa appare come una realtà essenzialmente eccentrica,
definibile solo in base ad una duplice costitutiva relazione: a Cristo e alla
sua missione, da una parte, e al mondo verso cui è continuamente ed
essenzialmente inviata, dall’altra»[6].
Questa comprensione dell’indole pastorale del Concilio
permette un risultato di primo ordine (anche per il rapporto con la modernità):
«Cristianesimo e storia non sono più
pensati come due fattori estrinseci e tra loro presupposti»[7].
In forza della “pastoralità” è possibile precisare il rapporto tra
cristianesimo e storia nella prospettiva della logica sacramentale[8].
Il campo dell’azione cristiana è il mondo, come ci
dice il Vangelo nella parabola del buon seminatore (Mt 13,24-30) e la zizzania non può bloccare, alla fine,
l’iniziativa che Dio, il buon Seminatore, continua ad offrire alla libertà –
sottolineo, alla libertà che è chiamata a decidere – di ogni uomo.
A mio avviso è proprio questa indole pastorale del
Concilio Vaticano II, che esprime bene la vicinanza di Dio al quotidiano di
ogni persona, a dare la chiave di lettura della scelta di Papa Ratzinger. Lo si
vede bene dalle parole con cui egli stesso ha comunicato la sua rinuncia: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi
mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede,
per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario
anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi,
in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di
amministrare bene il ministero a me affidato» (Declaratio, 11 febbraio 2013).
In questo senso, si può essere d’accordo
con la seguente affermazione: «Pur con
doverosa cautela, non si può fare a meno di segnalare quanto le problematiche
che si è soliti ricondurre alla cifra del rapporto “Chiesa-mondo”, tipica della
stagione inaugurata dal Vaticano II, possano avere giocato un ruolo non
secondario anche in un atto così solenne, unico ed appartenente alla fisionomia
più squisitamente teologica ed apostolica della Chiesa Cattolica»[9].
Proprio nel momento del congedo, è
apparso con chiarezza cristallina davanti agli occhi di tutti il senso dell’instancabile
impegno di Papa Benedetto per il bene della Chiesa e del mondo. Impegno, che
come egli stesso ha dichiarato, non muta nella sua sostanza con la rinuncia. Il
ministero ordinato, nella Chiesa, non può essere mai ridotto a “ruolo”.
Ma voglio sottolineare qui con forza
come la sua inedita e audace scelta di rinunciare al papato ha inaspettatamente
e provvidenzialmente aperto, come spesso è avvenuto nella storia della Chiesa,
la strada per superare l’affaticamento denunciato soprattutto per il
Nord-Occidente.
3.
La risposta della Provvidenza: l’elezione di Papa Francesco
Alla sorpresa della rinuncia di
Benedetto è seguita la grazia, non priva essa stessa di sorpresa, dell’elezione
di Papa Francesco.
Lo Spirito del Risorto ha voluto, fin
dalla prima apparizione, attraverso i gesti e le parole del nuovo pontefice,
toccare in modo singolare il cuore non solo dei cristiani, ma di tutti gli
uomini. L’immediatezza dello stile di Papa Francesco, che in questi mesi ha
contagiato di entusiasmo e di speranza una moltitudine di uomini e donne di
ogni età e condizione, anche non cristiani, conforta il cammino della Chiesa.
Ma non è un puro fatto temperamentale. È ben fondato sul suo richiamo alla Luce
della fede nella quale «si apre a noi lo
sguardo del futuro» (Lumen fidei
4).
Un’espressione emblematica del dono che
il Signore ha fatto alla Chiesa e agli uomini di buona volontà con il nuovo
pontificato è il titolo che il Papa
ha scelto per la sua prima esortazione apostolica Evangelii gaudium.
Come duemila anni fa a Pentecoste, Papa
Francesco da subito ha invitato con forza la Chiesa ad andare incontro a tutti
gli uomini in ogni ambito in cui essi vivono ogni giorno la loro esistenza.
Possiamo
dire che il “battito” del cuore dell’attuale successore di Pietro è,
innanzitutto, il battito del testimone che Paolo VI invocava. Non a caso,
infatti, nell’Evangelii gaudium egli
descrive i cristiani come “discepoli missionari”: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli
missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che
fruttificano e festeggiano… La comunità evangelizzatrice sperimenta che il
Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore (cfr 1 Gv 4,10), e per questo essa sa fare
il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare
i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi»
(n. 24).
Evidentemente
non possiamo in questa sede entrare in tutti gli ambiti dell’umana esistenza
che già Papa Francesco ha voluto calcare. Evangelii
gaudium, una vera e propria Summa, ne dà ampia documentazione. Voglio solo
sottolineare un dato di carattere generale.
Il Papa ci
mostra che l’invito a metterci in moto ha, nell’esperienza cristiana, sempre la
forma di una “risposta” all’iniziativa di Dio. Possiamo fare il primo passo
perché siamo mossi e sorretti da Lui. È questa la radice dell’insistenza del
Papa sulla misericordia di Dio. Ed
essa ha un nome: quello di Cristo stesso, morto e risorto per noi. Egli è l’“unum necessarium” che si propone
instancabilmente alle donne e agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.
4. Continuità
Emerge qui
la profonda comunione di intenti e di visione, al di là delle ovvie e feconde
diversità di temperamenti, tra Papa Francesco e Giovanni
Paolo II – il Papa della Redemptor
hominis e della Dives in misericordia
– e tra Papa Francesco e Benedetto XVI, il Papa della Deus caritas est. Non a caso, infatti, nel n. 7 di Eva ngelii gaudium si legge: «Non mi stancherò
di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del
Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una
grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla
vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”».
Il primato della misericordia di Dio incontra la sete di salvezza che vive
nel cuore di ogni uomo. Alla ripetuta denuncia dell’egolatria e dell’egoismo
che affliggono il nostro tempo (cf. EG 54,
56, 76, 81, 85, 87, 95, 208, 263, 275), in Papa Francesco fa da contrappunto
l’annuncio del Risorto, Colui che salva la nostra vita e la riempie di gioia: «Cristo risorto e glorioso è la sorgente
profonda della nostra speranza, e non ci mancherà il suo aiuto per compiere la
missione che Egli ci affida» (EG 275).
Misericordia
e speranza rappresentano il filo rosso che ci permette di leggere questi mesi
di ministero petrino.
Il Papa sta rivolgendo un energico e accorato richiamo, capace di dialogo
con tutti. E in questo invito si vede bene che egli non fa sconti a nessuno. È
un invito esigente, di quell’esigenza che nasce dalla fede e che non ammette
alibi. È l’annuncio del Vangelo, centrato sull’essenziale, cioè su Gesù Cristo
stesso, che raggiunge tutti gli aspetti della vita: da quelli più personali fino
alle implicazioni sociali.
Il cristiano è interessato all’ascolto di tutto l’uomo e di tutti gli
uomini. Per questo Papa Francesco ci “precede” nell’invitare tutti, cristiani e
non cristiani, a compromettersi personalmente nel campo del mondo.
È un’urgenza assai necessaria per la nostra Europa. Basta
sfogliare photoansa 2013 per
rendersene conto.
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