EVAGRIO PONTICO l'intellettuale
EVAGRIO PONTICO
Evagrio è un personaggio di primaria importanza per lo sviluppo e la teorizzazione della spiritualità dei padri del deserto, tra i quali era considerato l'intellettuale. Un profilo biografico esauriente ci viene dalla testimonianza del suo discepolo Palladio, che dedica al suo maestro il capitolo 38 della sua opera «Historia Lausiaca»; altre notizie le apprendiamo da Rufino e da Socrate. Evagrio nasce ad Ibora nel Ponto, verso il 345 d.C. Fu intimo amico di Basilio Magno e di Gregorio Nazianzeno, il quale lo ordinò diacono. I due cappadoci furono per Evagrio non solo amici ma veri maestri di vita cristiana (entrambi vengono citati nelle sue opere con accenti di stima e riconoscenza). Nel 380 lascia Ibora e si trasferisce a Costantinopoli presso Gregorio, che ivi ricopriva la carica episcopale, e dimostra immediatamente la sua abilità nel confutare le eresie e nella predicazione, si dedica inoltre a opere caritative. Tuttavia, irretito da una vana immagine di donna come afferma Palladio, intreccia una relazione con la moglie di un
funzionario imperiale. Da quel momento inizia la sua strenua battaglia contro i vizi, e ancor prima contro i logismoi, i pensieri cattivi. Per sottrarsi ai vincoli con la donna, nel 382 si reca a Gerusalemme dove incontra la beata Melania senior, nobildonna romana che aveva fondato un monastero sul monte degli ulivi e insieme ad un gruppo di discepoli conduceva vita ascetica. Su consiglio di Melania e dopo aver ricevuto l'abito monastico dalle mani di Rufino, si ritira nel deserto egiziano, siamo nel 383. Per due anni dimora sul monte della Nitria e per quattordici nelle Celle. Conosce sia Macario l'egiziano che Macario l'alessandrino e si lega al fervente origenista Ammonio, da cui subisce un forte influsso. Nel deserto Evagrio si dà ad una rigida ascesi di preghiera e digiuno, tormentato specialmente dallo spirito di lussuria. Fu molto stimato dai monaci e dai reclusi del deserto, ed il vescovo di Alessandria Teofilo, gli offrì anche una sede vescovile, che però egli rifiutò decisamente. Morì nel 399, poco prima dello scoppio della controversia origenista. Nel Concilio di Costantinopoli del 553, diversi scritti di Evagrio, furono condannati insieme a quelli di Didimo il cieco e di Origene. Pertanto gran parte della sua produzione letteraria è andata perduta, si salvarono solo alcune opere, per il fatto che furono attribuite ad altri autori che avevano fama di indiscussa ortodossia come Nilo d'Ancira o perché tradotte in siriaco e armeno. Tra di esse ricordiamo: il Praktik, lo Gnostikon, iKephalaia gnostica, le Sententiae ad monachos, l'Anthirreticus, il De malignis cogitationibus, il De octo spiritus malitiae e il De oratione che forse costituisce la sua opera principale.
funzionario imperiale. Da quel momento inizia la sua strenua battaglia contro i vizi, e ancor prima contro i logismoi, i pensieri cattivi. Per sottrarsi ai vincoli con la donna, nel 382 si reca a Gerusalemme dove incontra la beata Melania senior, nobildonna romana che aveva fondato un monastero sul monte degli ulivi e insieme ad un gruppo di discepoli conduceva vita ascetica. Su consiglio di Melania e dopo aver ricevuto l'abito monastico dalle mani di Rufino, si ritira nel deserto egiziano, siamo nel 383. Per due anni dimora sul monte della Nitria e per quattordici nelle Celle. Conosce sia Macario l'egiziano che Macario l'alessandrino e si lega al fervente origenista Ammonio, da cui subisce un forte influsso. Nel deserto Evagrio si dà ad una rigida ascesi di preghiera e digiuno, tormentato specialmente dallo spirito di lussuria. Fu molto stimato dai monaci e dai reclusi del deserto, ed il vescovo di Alessandria Teofilo, gli offrì anche una sede vescovile, che però egli rifiutò decisamente. Morì nel 399, poco prima dello scoppio della controversia origenista. Nel Concilio di Costantinopoli del 553, diversi scritti di Evagrio, furono condannati insieme a quelli di Didimo il cieco e di Origene. Pertanto gran parte della sua produzione letteraria è andata perduta, si salvarono solo alcune opere, per il fatto che furono attribuite ad altri autori che avevano fama di indiscussa ortodossia come Nilo d'Ancira o perché tradotte in siriaco e armeno. Tra di esse ricordiamo: il Praktik, lo Gnostikon, iKephalaia gnostica, le Sententiae ad monachos, l'Anthirreticus, il De malignis cogitationibus, il De octo spiritus malitiae e il De oratione che forse costituisce la sua opera principale.
Il De oratione fu scritto tra il 390 e il 395 d.C e il probabile destinatario fu Rufino. Vi si espone il concetto di «preghiera pura». E' composto non in forma di discorso continuo, ma in capitoli o sentenze (kephalaia), secondo la formula delle centurie. Nel prologo, l'autore spiega al suo destinatario, di aver diviso il trattato in 153 capitoli e di inviarglielo come alimento evangelico nel cesto della carità, affinché a partire da questo numero simbolico, che rimanda ai 153 pesci della pesca miracolosa, possa trovare refrigerio spirituale. Il De orationecostituisce la migliore sintesi della sua dottrina spirituale, in essa Evagrio traccia il percorso ascetico e mistico che l'anima deve intraprendere per giungere al monte della teologia, alla contemplazione e all'unione con Dio. Evagrio espone in quest'opera, il modo per acquistare l'abito delle virtù mediante una graduale purificazione dei sensi e delle passioni dell'anima, affinché l'intelletto, reso stabile e pacificato, possa pregare, ossia conversare con Dio senza distrazione né intermediario. Per giungere a questo alto stato è necessario liberare il cuore da ogni pensiero e sentimento passionale, renderlo docile e puro, con la compunzione dei propri peccati e con il dono delle lacrime, che lo lavano, ottenendo l'umiltà e il perdono di Dio. Nel pregare, vi sono innumerevoli impedimenti: l'invidia dei demòni e le loro astute manovre, le tentazioni dell'ira e della collera che impediscono il raccoglimento e spingono al rancore, i pensieri che distraggono l'intelletto, il quale invece dovrebbe essere muto e sordo ad ogni richiamo. I frutti che la preghiera perseverante genera sono: mitezza, letizia, distacco da sé e dalle ricchezze del mondo, pazienza nelle difficoltà e nelle sofferenze quotidiane, abnegazione e spirito di sacrificio, desiderio di riconciliarsi con il fratello offeso, il cui ricordo durante l'orazione crea turbamento, tristezza, collera e risentimento:«Coloro che accumulano interiormente tristezze e ricordi di offese, benché esteriormente sembrino pregare, sono simili a quelli che attingono acqua e la versano in una botte forata», dice ironicamente Evagrio. L'orante non deve assumere solo atteggiamenti esteriori ma deve fare in modo che l'intelletto possa giungere alla preghiera spirituale mediante il timore di Dio, con l'aiuto degli angeli che allontanano da noi tutti i disturbatori. E' necessario pregare non perché si realizzino i propri voleri, i quali spesso non sono in sintonia con la volontà di Dio, ma piuttosto chiedere che si compia in noi il volere divino. Dice infatti il Pontico al capitolo 32:
(...) spesso ho chiesto nella preghiera di avere ciò che ritenevo fosse cosa buona per me e persistevo nella richiesta, stoltamente facendo violenza alla volontà di Dio e non rimettendomi a Lui perché egli, piuttosto, disponesse quel che ai suoi occhi è utile. Eppure, ottenuto che l'ebbi ne portai in seguito un gran cruccio per aver chiesto fosse fatta piuttosto la mia volontà. La cosa infatti, non mi andò tale quale l'avevo pensata.
Si deve dunque confidare in Dio per tutto ciò che ci riguarda, perseverando senza scoraggiarsi nel chiedere e senza affliggersi se non si ottiene subito ciò si chiede, poiché Dio forse vuole elargirci un bene maggiore, come quello di stare in intima unione con Lui nell'orazione. Secondo Evagrio, la preghiera èelevazione dell'intelletto a Dio, per cui bisogna rinunziare a tutto per ereditare il Tutto. In essa l'intelletto deve purificarsi dalle passioni, essere liberato dall'ignoranza e da ogni tentazione per cercare solo la giustizia e il Regno, cioè la virtù e la scienza, tutto il resto verrà dato in aggiunta. Si deve pregare non solo per la propria purificazione ma anche per tutti i propri simili, al fine di imitare la condotta degli angeli. Sia che si preghi con i propri fratelli, che si preghi da soli, bisogna impegnarsi a non pregare per meccanica abitudine ma in maniera sentita, in questo modo si giunge ad una orazione attenta, rispettosa, pentita e umile, capace di custodire la memoria dai ricordi, dalle immagini e dalle preoccupazioni. Mentre si prega infatti, la memoria ripresenta immagini passate o nuove preoccupazioni, come ad esempio il volto di una persona che ti ha contristato. Il demonio è poi, particolarmente invidioso dell'uomo che prega e adopera ogni mezzo per frustrarne lo scopo. Egli non smette di suscitare attraverso la memoria i pensieri degli oggetti e di scatenare le passioni della carne, per riuscire a ostacolare la corsa sublime verso Dio. Quando non riesce ad ostacolare chi prega con fervore, per poco allenta l'assedio, ma poi si vendica, accendendolo all'ira o eccitandolo a concedersi qualche piacere contro ragione. L'obbiettivo dei demòni è quello di rendere l'intelletto ottuso, per privarlo della capacità di pregare bene.
Lo stato di orazione- dice Evagrio- è un abito d'impassibilità che, per sommo amore, rapisce ai vertici della noesi l'intelletto innamorato della sapienza e spirituale. Chi aspira veramente a pregare non solo deve dominare la collera e la concupiscenza, ma anche essere libero da ogni pensiero contaminato da passioni, per poter conversare con Dio amabilmente, come con un Padre. Inoltre anche chi è giunto all'impassibilità, non per questo deve illudersi di saper pregare, infatti, benché abbia eliminato i pensieri impuri, è ancora portato a distrarsi da Dio, disperdendosi nella meditazione di una molteplicità di pensieri. Quindi, per arrivare agli stadi spirituali più alti, è necessario che l'intelletto si elevi al di sopra del mondo creato, cessando di ragionare sottilmente sugli oggetti contemplati e di smarrirsi dietro la molteplicità degli intellegibili per poter vedere il luogo di Dio nella semplicità. Ma per questo serve chiedere lo Spirito Santo, il quale introduce insieme al Figlio unigenito nel colloquio amoroso col Padre e ci insegna ad adorare il Padre in spirito e verità, non più contemplando il Creatore partendo dalle creature ma a partire da Lui stesso.1
Giunto alla nudità l'intelletto acquista la pura visione di Dio, la teologia, tanto da poter dire che solo il teologo(contemplativo), prega davvero e solo chi prega è veramente teologo. Infatti l'intelletto per l'ardente desiderio di Dio, inizia poco alla volta ad uscire dalla carne (malizia), e riesce a scacciare tutti pensieri causati dai sensi, dalla memoria e dal temperamento, ed entra nella pienezza della gioia, solo allora l'orante può ritenere d'essersi avvicinato ai confini della preghiera pura. Lo Spirito Santo ci viene a visitare anche quando ancora non siamo purificati perfettamente e se vede che il nostro intelletto prega col desiderio della verità, viene su di esso e dissipa la turba dei ragionamenti e dei pensieri che l'accerchiano, volgendolo all'amore della preghiera spirituale. Inoltre Dio opera nell'intelletto infondendovi direttamente la scienza e placando l'intemperanza del corpo. Quindi chi desidera pregare davvero, non deve far nulla in antitesi con questa operazione dello Spirito, in modo che Dio accostandosi a lui, si faccia suo compagno di viaggio e dato che Egli non ha forma, né quantità, né figura non bisogna permettere che nell'intelletto s'imprima alcuna forma, per andare immateriale incontro all'Immateriale. Quando poi, il demonio invidioso, non riesce a sollecitare la memoria durante l'orazione, allora fa violenza al corpo, per provocare qualche strana fantasia, ed è oltremodo abile nel produrre apparizioni false per attirare l'attenzione e indurre alla presunzione. Per Evagrio, preghiera vuol dire: rimozione di pensieri e preoccupazioni, perché l'intelletto resti nella tranquillità (esichia) senza distrazioni. I demoni tentano chi è giunto alla pura preghiera presentandosi sotto apparenza di Dio e in forme gradevoli ai sensi, affinché cada nella vanagloria, credendo d'aver raggiunto lo stadio più elevato. L'angelo di Dio al contrario, al sopraggiungere muove la luce dell'intelletto ad operare senza errore, ci esorta a pregare, ci sta accanto, rallegrandosi dei nostri progressi e sdegnandosi quando siamo negligenti.2
Gli assalti demoniaci arrivano persino alla violenza fisica, nei riguardi di chi prega con percosse e strepiti, rumori, grida e minacce, visioni spaventose e perfino prendendo forma angelica. Per combatterli efficacemente ci vuole grande umiltà e fortezza dicendo a Dio: non temerò alcun male, poiché tu sei con me! E altre simili giaculatorie. Se uno aspira a vedere il volto del Padre che è nei cieli, non deve desiderare di vedere sensibilmente angeli, potestà o Cristo stesso, per non perdere il senno, accogliendo il lupo al posto del Pastore. Infatti l'origine delle illusioni dell'intelletto è la vanagloria che pretende di circoscrivere il Divino in forme e figure.3
Beato l'intelletto - dice Evagrio - che nella preghiera è arrivato a non avere una forma, che è divenuto immateriale e spoglio di tutto, nella perfetta insensibilità e con un crescente desiderio di Dio. Tale è lo stato di beatitudine a cui giunge il monaco che ha imparato a considerarsi come il rifiuto di tutti e a considerare tutti gli uomini come Dio dopo Dio, riuscendo a vedere se stesso in ognuno. 4
Se uno vuol pregare da monaco deve evitare la menzogna e ogni giuramento, non nutrire odio per nessuno, in modo che non ci sia una nube ad offuscare la sua vista nel tempo della preghiera; non deve fuggire la povertà e la tribolazione, affidandosi a Dio per le necessità del corpo. Per discernere le astuzie dei demòni è necessaria un attenta vigilanza, esaminando l'origine dei pensieri malvagi (logismoi), stimolando il lottatore a contraddirli, infatti a volte anche quelli che sembrano buoni in realtà non lo sono e i demòni così, fanno credere all'asceta di averli scacciati e messi in fuga definitivamente, presumendo stoltamente e fidandosi eccessivamente delle proprie capacità. Ma nessuno può ritenere d'aver acquistato la virtù se prima non ha combattuto fino al sangue, opponendosi al peccato fino alla morte. In fondo i demòni aiutano il monaco che resiste alle seduzioni a far risplendere la veste dei suoi meriti davanti a Dio, al quale ci si deve sempre accostare con sommo rispetto e riverenza, avendo sempre in mente il ricordo dei propri peccati e del fuoco eterno. Come non giova a chi soffre per una malattia agli occhi, fissare lo sguardo sul sole di mezzogiorno, così - dice Evagrio - non giova all'intelletto ancora impuro contraffare la preghiera in spirito e verità, non essendone ancora degno e capace, ciò susciterebbe l'indignazione divina.5
«L'attenzione che va in cerca della preghiera troverà la preghiera, poiché se c'è qualcosa a cui segue la preghiera, è l'attenzione. Per questa bisogna dunque, adoperarsi seriamente». La preghiera giunta a perfezione, secondo il pensiero del Pontico, genera nell'anima la contemplazione deificante. L'eccellenza della preghiera non viene dalla quantità ma dalla qualità. Finché l'orante cerca le cose gradite al corpo, non percorre la strada che conduce al luogo della preghiera.Ma quando giunge a gustare nella preghiera, la gioia che sta sopra ogni altra gioia, allora potrà dire di aver trovato davvero la preghiera. Conquistata dunque la cima della montagna spirituale, dopo essere asceso di purificazione in purificazione fino all'orazione senza distrazione, gode della vera teologia, lascienza essenziale di Dio. Allora, l'orante vede nel proprio intelletto purificato da ogni pensiero, forma e figura, rispecchiarsi la Luce divina, ed in essa contempla la Santa Trinità.6
Commenti
Posta un commento