Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, «Andarono senza indugio» (Lc 2,16)




V domenica d’Avvento

Il Precursore
Vieni, Signore, a salvarci

Mi 5,1; Ml 3,1-5a.6-7b; Sal 145 (146); Gal 3,23-28; Gv 1,6-8.15-18


Duomo di Milano, 15 dicembre 2013



Omelia di S.E.R. Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano



«Vieni, Signore, a salvarci» (Salmo responsoriale). Attraverso il cammino dell’Avvento, la Chiesa conferma la verità del desiderio di durare per sempre – questo, per finire, è il significato della parola salvezza – che ogni uomo ha nel cuore. Dopo averci parlato de La venuta del Signore (I), mostrato che siamo I figli del Regno (II), dando ragione della speranza che è in noi (Le profezie adempiute, III), ci ha indicato nel immacolato di Maria la strada
dell’autentica attesa del Messia (Solennità dell’Immacolata Concezione).

1. Preparate la via al Signore
Oggi, questa attesa di salvezza, si fa voce di un uomo: «Ecco la voce di colui che grida: Preparate la via del Signore» (Canto al Vangelo). Si fa compito affidato da Dio ad un uomo, Giovanni Battista.
Al centro di questa domenica, infatti, c’è il Precursore, preannunciato dal profeta Malachia – «Ecco, io manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me» (Lettura, Ml 3,1) – e personificato in Giovanni.

2. Il testimone è “relativo” a Colui al quale dà testimonianza
Essere mandati avanti [pre-cursore] a preparare la via del Signore è un altro modo per dire testimonianza, una parola-chiave del cristianesimo, che non finiremo mai di scoprire.
Guardando alla figura di Giovanni, domandiamoci: quali sono le caratteristiche del testimone del Signore?
Anzitutto l’essere mandato da Dio: «Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni» (Vangelo, Gv 1,6). Nessuno si manda da sé.
Poi l’essere in funzione di un altro: «Giovanni gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me”» (Gv 1,15).
In terzo luogo l’essere cosciente di essere “secondo” rispetto a Gesù. Il suo compito, come dirà più avanti l’evangelista Giovanni, consiste nel farsi da parte, per permettere a Gesù di compiere la sua missione.
Se ora ci immedesimiamo un poco con questi tre aspetti di testimone propri del Battista possiamo comprendere che il valore del testimone consiste nel suo stare in relazione con Colui al quale dà testimonianza: «Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (Gv 1,8).
Nella Chiesa, che in ogni sua espressione è una “comunità guidata di donne e di uomini che seguono Gesù”, ognuno di noi, con autentica libertà, è chiamato a vivere questi tre fattori costitutivi della testimonianza. Domandiamoci allora: ci pensiamo e, soprattutto, viviamo come mandati? Agiamo a gloria dell’umanità di Cristo, che ha dato la vita per noi, o diamo gloria a noi stessi? Il nostro quotidiano è in permanente rapporto con Gesù?
Vi è un test che verifica questo modo proprio dei cristiani di stare nel mondo. È l’alternativa fra l’appartenere solo a noi stessi (la malattia mortale del narcisismo) o l’appartenere a Cristo, espressione della persona-in-relazione.
In questa alternativa non si gioca solo il cristiano, ma anche il cittadino. Non si può contribuire alla vita buona, all’amicizia civica, in una parola alla giustizia e alla pace se non si sceglie per la seconda posizione. Per appartenere, se uno non crede o non riesce a credere, può affidarsi, in retta coscienza, all’abbraccio della verità che, in modo ragionevole, si offre a tutti come significato e direzione per il cammino dell’esistenza.

3. La legge e la fede
L’essere “secondo” di Giovanni rispetto a Cristo stesso è simile all’essere “seconda” della Legge rispetto alla fede in Cristo di cui parla Paolo nella Lettera ai Galati: «Prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata» (Epistola, Gal 3,23). La Legge assume la funzione del pedagogo antico, lo schiavo che aveva il compito di sorvegliare e accompagnare il bambino verso la sua maturazione. La legge non è in grado di salvarci, ma al massimo di introdurci al Salvatore.

4. Il Figlio rivela il volto del Padre
Ma il testimone per eccellenza non è Giovanni né la Legge, è Gesù Cristo. Testimone fedele come lo definisce il libro dell’Apocalisse (Ap 1,5). A Lui si riferisce l’espressione di Malachia: «Io… sarò un testimone pronto» (Lettura, Ml 3,5a).
Di più, Gesù è la luce stessa che rivela agli uomini il volto del Padre: «il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Vangelo, Gv 1,18).
Il Figlio è Colui che racconta e spiega Dio Padre e, in questo modo, è Colui che Lo rende “amabile” ai nostri occhi.

5. Il miracolo dell’unità
Se Gesù ci racconta il vero volto di Dio si comprende bene perché l’evangelista Giovanni affermi: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Vangelo, Gv 1,16).
San Paolo trae da qui una conseguenza decisiva: «Tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Epistola, Gal 3,28). L’Apostolo si riferisce anzitutto al fatto che, attraverso il sacramento del Battesimo, siamo resi membra di Cristo. Emerge, ancora una volta, la bellezza della relazione a Cristo, che apre a rapporti armonici con gli altri e con Dio.
Dall’unità con la Persona di Cristo, dalla nostra appartenenza a Lui, deriva il miracolo dell’unità tra i cristiani, speranza per tutti gli uomini.
San Paolo giunge però fino a descrivere un’altro, decisivo ed assai attuale effetto che proviene da questo essere uno. Egli afferma che non c’è più discriminazione tra Giudei e Greci, tra schiavi e liberi, tra maschio e femmina. Appare agli uomini il prezioso valore dell’essere figli di Dio.
È esaltata così la pari dignità di ogni persona. Non c’è bisogno di dimostrare quanto questo criterio sia prezioso per la vita in società, soprattutto in un momento di travaglio come il nostro: giustizia, uguaglianza, equità, solidarietà a tutti i livelli sono compiutamente possibili per il tenero, personale abbraccio di Dio Padre.

6. Con Gesù nasce e rinasce la gioia
Col Santo Natale di Gesù, ormai alle porte, la liturgia di oggi conferma, quindi, che non è una utopia, ma è possibile edificare pace a livello personale, sociale e geopolitico.

Per questo «con Gesù sempre nasce e rinasce la gioia» (Francesco, Evangelii gaudium 1), soprattutto se domandiamo il perdono che Egli offre sempre alla nostra libertà. Possiamo gioire per il Dio-Bambino che viene, con Sua madre, con San Giuseppe. AndiamoGli allora solerti incontro, come i pastori, senza indugio. Amen.

Commenti

Post più popolari