Alberto Vianello«I miei occhi hanno visto la tua salvezza»

Letture: Ml 3,1-4; Eb 2,14-18; Lc 2,22-40
Comunità Marango
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In questa domenica cade la festa della Presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme. I suoi genitori lo conducono, quaranta giorni dopo la nascita, per «presentarlo», cioè «offrirlo» a Dio, come la Legge prescriveva per ogni primogenito; pienezza di un uomo e una donna nella vita generata, che è dono del Signore, e perciò a Lui appartiene. Un gesto rituale, che nel bambino Gesù, Figlio di Dio, assume in tutta pienezza la valenza esistenziale: Lui solo appartiene veramente al Padre, perché da Lui generato e inviato.

Ma ben oltre la Legge e l’apparato rituale, a riconoscerlo e ad accoglierlo nella fede sono due persone «profetiche», animate dalla Parola di Dio e dal suo Spirito, pronte all’appuntamento a proclamarlo il Messia atteso che realizza la salvezza promessa da Dio: sono Simeone e Anna, due anziani.

Lo Spirito facendo nascere il Figlio di Dio fatto uomo da Maria, donna di Israele, lo ha collocato dentro il popolo della Parola che prometteva la salvezza di Dio. Ora lo Spirito anima Simeone a collocarlo dentro l’attesa fedele di quella Parola.
Non immagino, infatti, eclatanti ispirazioni spirituali in Simeone. L’insistenza di Luca, tre volte, sul fatto che questo anziano di Israele fosse abitato e illuminato dallo Spirito, può benissimo essere riferito al suo amore e al suo ascolto della Parola di Dio. Infatti solo la Parola apre alla fede, nel credere che Dio è all’opera ora, e come tale va riconosciuto, la fede è dare lo spazio della propria vita alla salvezza divina della sua Parola.
Se questo è avvenuto in maniera storica in Simeone, può avvenire, in maniera simbolica, in ciascuno di noi: quando lasciamo spazio nella nostra vita, attraverso l’azione della Parola, al Signore e alla sua opera di salvezza in Gesù Cristo. Così possiamo diventare accoglienza della Parola fatta carne, come Simeone che «accolse fra le braccia» il bambino, e vi riconosce tutta la Parola promessagli da Dio di vedere la sua salvezza all’opera, attraverso quella carne.
Simeone accoglie un bambino di una povera famiglia, ma i suoi «occhi hanno visto la salvezza preparata da te davanti a tutti popoli». Non c’è nessuna manifestazione di potenza umana, perciò ci sarà tutta la potenza di Dio capace di raggiungere tutti gli uomini più lontani: da povero ai poveri.

Simeone vede nel bambino la «luce per rivelarti alle genti». C’è bisogno di luce, perché l’uomo giace nelle tenebre di tutto ciò che nega la vita e la sua dignità. Ma la luce serve innanzitutto per vedere Dio: «rivelare te alle genti». Solo riconoscendo Dio, l’uomo può riconoscere se stesso. Solo vivendo dell’amore del Signore, l’uomo può vivere la propria dignità amandolo nei fratelli: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

Simeone si fa strumento di una rivelazione che coinvolge anche Giuseppe e Maria: «Il padre e la madre di Gesù si stupirono delle cose che si dicevano di lui». La loro fede è superata dal mistero rivelato di quel loro figlio. Perché la fede non comporta il superare ogni dubbio, mai lasciarsi anche superare da Dio che è sempre più grande, inaspettato e fantasioso di quello che l’uomo può pensare, pur nella fede.
Così il rapporto con il Signore si fa esigente: «Anche a te una spada trafiggerà dall’anima», dice a Maria. È la spada della Parola, che «penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giuntura e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). La Parola agisce con radicalità, profondità ed efficacia nella dimensione più intima e vera della nostra umanità. Una tale ferita ci sana dalle ferite del nostro egoismo e ci apre alla docilità dell’ascolto, come Maria: «Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,21).

Anche la vita di Anna è stata presa dal Signore. Rimasta vedova giovanissima, ha fatto della sua lunga esistenza un dono a Dio, pur nella sua povertà. In questa sua disponibilità sa cogliere disponibilità di Dio: «Parlava del bambino a quanti aspettavano alla redenzione di Gerusalemme».
Anche oggi abbiamo profondamente bisogno non di apparati religiosi esteriori, ma di donne e di uomini che abbiano l’unica caratteristica di essere così presi dal Vangelo da partire dalla marginalità della loro vita. Perché il movimento è dalle periferie al centro.
«I grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica: si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto. Per capire davvero la realtà, dobbiamo spostarci dalla posizione centrale di calma e tranquillità e dirigerci verso la zona periferica… Bisogna conoscere la realtà per esperienza, dedicare un tempo per andare in periferia per conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente» (papa Francesco).

Alberto Vianello

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