Commento al Vangelo del 26 gennaio 2014 – Congregazione per il Clero

III Domenica del Tempo Ordinario
Iniziativa di Dio e risposta dell’uomo danno forma all’eterno dialogo che percorre la storia d’amore tra Dio e l’umanità, dalla creazione ad oggi. È questo un dialogo segnato anche dal rifiuto dell’uomo, a causa del peccato e, quindi, dalla conseguente necessità che venga ricucito lo strappo creatosi, che crea nell’uomo la sensazione di essere solo ed abbandonato in un vivere quotidiano senza senso e spesso buio. Il nostro peccato personale fa sì che ogni tanto questo sia anche lo stato d’animo, con il quale ci rechiamo alla
S.Messa, o quello a causa del quale siamo tentati di smettere di cercare Dio.
Dio però fa sempre la Sua parte e non si stanca; l’annuncio della prima lettura è un messaggio di gioia che invade tutta la storia, «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce, su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». Anche nella notte più profonda, Dio non ci abbandona. Se scopriamo di essere lontani da Lui, tuttavia Lui «ci ama da sempre e mai ci abbandona», come ha ricordato recentemente Papa Francesco (13 gennaio 2014), e perché possiamo tornare a Lui, orientandoci lungo il cammino, accende le Sue luci, cioè i profeti e i santi credenti di ogni epoca, perché la Sua Luce, Cristo stesso, che brilla al fondo di ogni tenebra e di ogni paura («Non abbiate paura, perché Gesù è con voi! Non abbiate paura di perdervi», diceva infatti ai giovani di Roma, il 20 marzo 1997, il Beato Giovanni Paolo II).
Quella luce, dapprima lontana, si è fatta inizialmente molto vicina a noi, in Gesù ed ha attraversato la nostra storia, la nostra vita. Se proviamo a recuperare, almeno per qualche istante, il silenzio nelle nostre giornate – con che energia il Papa ne ha richiamato l’importanza (20 dicembre 2013)!! – potremo facilmente ricordare tutte i momenti della nostra vita in cui il Signore ci è venuto vicino, ci ha fatto avvertire forte la Sua presenza. Può essere accaduto in chiesa, pregando durante la S. Messa o ascoltando la Sua Parola, oppure attraverso l’esempio di un educatore o di un amico, o magari quello dei nostri genitori, o anche di fronte alla bellezza del creato…la fantasia di Dio non ha limiti, così come la Sua pazienza ed il Suo amore per noi. E quando Dio si fa sentire, chiama a seguirLo; non ci regala piacevoli sensazioni per sdolcinate riflessioni personali, piuttosto, ci avvolge col Suo amore, perché possiamo e vogliamo seguirLo.
«Vi farò pescatori di uomini», dice Gesù. Sono parole semplici, ma ricchissime, a ben considerarle, che esprimono sino in fondo cosa significa seguire Gesù. Infatti, Lui non dice a Simone e Andrea che avrebbe rivoluzionato la loro vita, che avrebbero dovuto dimenticare quello che era stati sino a quel momento. Gesù non ci chiede mai di buttar via la nostra vita, ma solo di metterLa nelle Sue mani, di viverLa insieme a Lui. Perciò, Simone e Andrea restano ciò che sono, pescatori, ma ora “di uomini”, cioè nel modo e sulla via che Gesù indicherà loro. Dio, che ci ha creati amandoci, non mortifica ciò che siamo e ciò che sentiamo, piuttosto ci guida a trasformarlo, perché la materia preziosa, ma grezza, della nostra vita, nelle sua mani diventi un capolavoro d’amore. È stato così anche per un grande Santo, assai caro al Papa: S. Francesco d’Assisi. Egli, infatti, desiderava essere cavaliere audace e vittorioso, al servizio di un re potente, amante delle belle lettere e del vivere gaudente e scanzonato, e con Gesù si è ritrovato, battagliero, ma armato solo dell’amore di Dio, al fedele servizio del Re dei re, innamorato di madonna Povertà e pronto a cantare con versi ispirati la bellezza del creato. Così può essere anche per noi, se proviamo a porci, nella preghiera, la stessa domanda del poverello di Assisi: «Signore, cosa vuoi che io faccia?», pronti a seguirLo sulla via che ci indica.
Così, ognuno di noi potrà dire, con gioia e sicurezza, «io sono di Cristo», perché sono Suo fratello, perché la mia vita è nelle Sue mani, perché Lui cammina con me. L’apostolo Paolo, nella seconda Lettura, ci invita in breve a non trasformare in un pericolo ciò che è una ricchezza, a non confondere le luci, con la Luce. Quando restiamo uniti a Gesù, nella Sua Chiesa, quando non consideriamo la nostra chiamata ed il nostro modo gli unici possibili, allora facciamo sì che «non venga resa vana la croce di Cristo», che ha dato la Sua vita per tutti, perché tutti siano salvati, anche coloro che sono meno in sintonia con noi, o che, magari, non godono della nostra simpatia. C’è una lezione profonda nelle parole di Paolo; da buoni cristiani, non neghiamo le differenze, non facciamo finta che non ci siano, ma non ci soffermiamo su di esse, ma prima di tutto su ciò che ci unisce gli uni agli altri, proprio come la croce, il simbolo dell’amore che Dio ha per ogni uomo.

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