Don Alberto Brignoli "In dialogo con le genti "


III Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/01/2014)
Vangelo: Mt 4,12-23
"Galilea delle genti": mi ha sempre colpito, questa espressione del Vangelo, perché non riuscivo a comprenderne il significato, fino a quando, durante i miei studi, mi hanno spiegato che si tratta di un'espressione per indicare come quel territorio fosse un luogo di forte immigrazione, d'incontro tra i popoli, di scambio tra culture differenti, non sempre in armonia tra di loro. Eppure anche all'interno di questa "Galilea
delle genti" è possibile intravedere una luce, addirittura una "grande luce". Anche la realtà più intricata, anche l'oscurità più profonda, ha la possibilità di "rendere gloriosa la strada" e di lasciar "rifulgere una luce". Certo, la Galilea delle genti di cui parla Isaia vede una luce nel dono della Legge, della Parola di Dio offerta al popolo; ancor più, la Galilea delle genti del tempo di Cristo incontra la luce perché Gesù stesso la visita, la incarna, la abita.
Ma quale luce intravediamo nella "Galilea delle genti" di oggi? Le nostre città diventano sempre più "Galilea delle genti", perché sempre più sono luoghi di forte immigrazione, d'incontro tra i popoli, di scambio tra culture differenti, anche se - ce ne rendiamo conto nella quotidianità della vita - non sempre in maniera armonica e pacifica. Faccio questa riflessione mentre mi trovo in una "Galilea delle genti" tra le più grandi del pianeta, e oggi possiamo dire pure delle più "attuali". Incontrando in questi giorni i missionari italiani che lavorano in Argentina, ci troviamo alla periferia di Buenos Aires, un crocevia di popoli e di culture di oltre tredici milioni di persone, divenuta molto attuale perché è il paradigma di ciò che papa Francesco ci dice quando ci parla di "periferie esistenziali". Quanto egli afferma parlando della città e delle sue periferie come luogo privilegiato dell'azione evangelizzatrice e missionaria della Chiesa, ha senza dubbio come riferimento quell'immenso formicolio umano che brulica tra le enormi "avenidas" di questa metropoli, ma anche e soprattutto tra i meandri delle piccole e anguste "callecitas" delle "villas miserias" (quartieri marginali e degradati), oltre venti nella sola città di Buenos Aires, con circa 300.000 abitanti che vivono sotto la soglia della miseria. Intravedere in queste terribili realtà una luce e un germe di speranza è veramente un'impresa.
Eppure, se crediamo alla forza profetica del Vangelo, questa e molte altre "Galilee delle genti" presenti in ogni parte del mondo sono luoghi dove la luce rifulge e dove si moltiplica la gioia. Come? Sarebbe molto facile, e addirittura banale, fare una semplice equazione: dove c'è la presenza di Cristo, lì rifulge la luce in mezzo alle tenebre. E allora, non sarebbe un gran problema proclamare questa come una verità già assodata, poiché nella stragrande maggioranza delle villas miserias, o delle favelas, o degli slam di ogni parte del mondo, l'elemento religioso proveniente da una religiosità popolare che pervade la vita dei loro abitanti è fortemente presente, e spesso - attraverso l'elemento della festa - diviene il collante di una realtà che è invece il simbolo per eccellenza della disgregazione. Ma questa - come dicevo - sarebbe una visione semplicistica. Sì, perché poi, terminate le espressioni di religiosità popolare, ci rimane un intorno di miseria, di sottosviluppo, di disumanità, di disgregazione, di povertà, che tutto annuncia meno che una luce.
Dov'è, allora, questa luce che illumina il popolo che cammina nelle tenebre? Senza dubbio, ci rifacciamo alla figura del Maestro, perché non c'è dubbio che è lui la luce che illumina le nostre tenebre. Ma in quale modo è stato "luce" per la Galilea delle genti nella quale egli aveva deciso di abitare? Stando al Vangelo di oggi, Gesù entra nella Galilea delle genti compiendo tre gesti molto semplici, per nulla clamorosi né roboanti, eppure pieni di luce:
innanzitutto, cammina tra le strade della sua Galilea, condividendo ciò che gli uomini vivono quotidianamente, facendosi prossimo all'uomo nelle sue infermità e malattie, fisiche, morali e sociali;
a questi uomini e donne della strada non lascia grandi messaggi, se non quello che egli è vicino ad ognuno di loro, e chiede a loro di avere uno sguardo diverso sulla vita, chiede una "conversione", un cambio di prospettiva;
propone, infine, questo cammino, ad alcuni, senza stravolgere completamente la loro vita (il vangelo ci mostra in più occasioni che i suoi discepoli continueranno a svolgere il mestiere di pescatori, pur seguendolo), ma mostrando loro che la "luce", la "gioia e la letizia" per la loro vita la trovano all'interno della loro stessa condizione di vita.
Perché sottolineo questo? Perché mi pare che spesso il nostro contatto con il mondo, con la città, con le sue periferie in modo particolare, avvenga ancora in maniera molto "apologetica", stando sulle difensive, prendendo le distanze da un mondo e da una città che riteniamo pericolosi e cattivi perché lontani dal messaggio evangelico, il quale invece, quando entra nella città, la riempie di luce, di gioia e di letizia.
Non è così. Evangelicamente parlando, non può essere così. Gesù, venendo a vivere a Cafarnao "Galilea delle genti" e iniziando lì la sua missione, non ha iniziato con un atteggiamento di diffidenza, di difesa, o ancora peggio di condanna di ciò che la "Galilea delle genti" rappresenta. Ha invece iniziato a starci, a viverla, a camminare lungo le sue strade, a prendersi cura delle sofferenze e delle povertà degli uomini; ha invitato tutti a guardare la realtà da una prospettiva diversa, non solo come cattiva e piena di tenebre, ma anche piena di potenzialità, di ricchezze, di quelle ricchezze che le vengono proprio dal suo essere "Galilea delle genti", ovvero incontro e dialogo tra culture; ha infine proposto a qualcuno di seguirlo, ma senza estrapolarlo dal proprio mondo, tirandolo via dalla "Galilea delle genti", bensì chiedendogli di continuare a pescare, e di farlo lungo tutto il vangelo, aggiungendo alla pesca materiale (che è il sostegno per vivere) una pesca che va al di là, che va alla ricerca di persone (pescatori di uomini) più che di beni da accumulare. Ma non esenta nessuno dalla propria "Galilea delle genti".
Saranno le periferie esistenziali, allora il "luogo teologico" dell'incontro con il messaggio di salvezza? Sarà la nostra permanenza nella "Galilea delle genti" la chiave di volta del messaggio evangelico? Il cammino è solo agli inizi.

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