Abbazia Pulsano Letture patristiche della Domenica “del Padre provvido”

VIII del Tempo Ordinario A
Matteo 6¸24-34;  Isaia 49,14-15;  Salmo 61;  1 Corinzi 4,1-5
1. La vera ricchezza

La ricchezza si deve usare in modo degno e distribuire agli altri con generosità, non con sordidezza o arroganza. E non si deve torcere l`amore al bello in egoismo, in insolenza e volgarità, perché anche di noi non si dica: «Il suo cavallo vale quindici talenti, il suo fondo, il suo schiavo, il suo oro valgono altrettanto; lui invece non vale più di tre soldi di bronzo». Togli all`improvviso alle donne i loro ornamenti e ai padroni i loro servi: troverai che non differiscono in nulla da schiavi comperati: sia nell`incedere, sia nell`aspetto, sia nel
parlare sono in tutto simili agli schiavi. Anzi, da essi si distinguono soprattutto per il fatto che sono più deboli degli schiavi, perché sono cresciuti molto più vulnerabili dalle malattie. Si deve dunque continuamente ripetere questa magnifica dottrina: l`uomo buono, giusto e moderato, accumula in cielo i suoi tesori; egli, che ha venduto i beni terreni e li ha dati ai poveri ha trovato un tesoro indistruttibile, ove non c`è né tignola né ladro.
E` veramente beato, per quanto sia piccolo, debole e sconosciuto: la sua ricchezza è in effetti la più grande. Se egli fosse più ricco di Cinira [mitico primo re di Cipro, padre di Adone] o di Mida [nome di alcuni re di Frigia dell`epoca pre-greca (VIII secolo a.C.) e dell`ultimo della dinastia, caduta intorno al 680 a.C. per l`invasione dei cimmeri; con questo Mida stoico si connettono varie leggende: la più nota è quella che Mida avesse avuto da Dioniso, a cui aveva ricondotto Sileno smarritosi, la facoltà di mutare in oro tutto ciò che toccava, sicché stava per morire di fame e di sete, finché un bagno nel Pattolo, che porterebbe da allora pagliuzze d`oro, lo liberò dal pericolo], ma fosse ingiusto e altezzoso, come colui che si avvolgeva nella porpora e nel bisso e disprezzava Lazzaro, sarebbe misero, vivrebbe nelle pene, e non avrebbe poi la vita.
La ricchezza mi sembra simile a un serpente; quando non si sa come afferrarlo senza averne danno, lo si prende, per evitare il pericolo, in fondo alla coda: ma esso si avvinghia intorno alla mano e morde. Anche per le ricchezze vi è il pericolo che esse, a seconda che si trattino con perizia o senza perizia, si attorciglino, si aggrappino e mordano. Ma se qualcuno ne sa usare con saggezza e magnanimità, cantando l`inno incantatore del Verbo, dominerà la bestia e resterà illeso.
Del resto, a quanto pare, non consideriamo abbastanza che è ricco solo chi possiede veri valori. Ma un vero valore non sono le gemme, non l`argento, non le vesti o la bellezza del corpo, ma la virtù...
Una ricchezza più grande non si dà. Vere ricchezze sono dunque la giustizia e la sapienza, più preziose di ogni tesoro; una ricchezza che non aumenta col possesso di animali e di terreni, ma viene donata da Dio; una ricchezza che non viene derubata - l`anima sola è il forziere in cui viene custodita -, un possesso che è il migliore per il suo possessore e che rende realmente felici gli uomini.
Chi giunge al punto di non desiderare ciò che non è in nostro potere e di ottenere tutto ciò che desidera - perché con le sue preghiere ottiene da Dio ciò cui egli tende con animo santo - come non possiederà costui tutto, dato che possiede un tesoro che mai viene meno, cioè possiede Dio?

Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 3, 34,1-36,3


2. I beni di quaggiù non sono per nulla migliori dei sogni

Non hai visto uomini che sono morti mentre vivevano nel piacere, nell`ubriachezza, nei sollazzi e in tutti gli altri svaghi della vita? Dove sono ora essi che con tanto sfarzo, con tanto seguito incedevano nella piazza? Essi, che erano vestiti di seta, che profumavano d`unguenti, che nutrivano parassiti, che frequentavano incessantemente gli spettacoli? Dov`è ora tutto il loro sfoggio? Passa la sontuosità dei pranzi, passa la turba dei musicanti, la devozione degli adulatori, il riso smodato, il rilassamento dell`anima, la distrazione della mente, la vita molle, oziosa, inutile! Dove se n`è andato tutto ciò? Che n`è avvenuto di quei corpi tanto curati, tanto puliti? Appressati al sepolcro, contempla la polvere, la cenere, i vermi, considera l`orrore di quel luogo e sospira amaramente! E magari il danno si arrestasse alla polvere! Rivolgi ora il pensiero dalla tomba, dai vermi, a quel verme che non muore, a quel fuoco che non si spegne, allo stridore di denti, alle tenebre esterne, all`afflizione e all`angustia, alla parabola di Lazzaro e del ricco, che già padrone di tanti beni, già vestito di porpora, non fu più padrone neppure di una goccia d`acqua in mezzo a tante sofferenze!
I beni di quaggiù non sono per nulla migliori dei sogni. Come i condannati ai lavori nelle miniere o a qualche altra pena peggiore, se tra gli strazi della loro vita amara si addormentano e vedono in sogno di trovarsi tra i piaceri e nel benessere, quando poi si svegliano non sono affatto grati a quei sogni; così quel ricco, dopo le ricchezze godute nel sogno della vita presente, trasmigrato al di là, subì quell`amaro supplizio. Questo ricorda e, opponendo quel fuoco all`incendio delle passioni che ora ti possiede, lìberati una buona volta dalla loro vampa. Chi infatti spegne questo fuoco, non subirà la sofferenza di quello; ma chi non riesce a superare questo, più violento subirà quel fuoco, una volta partito di qui.
Quanto tempo vuoi che ti sia concesso per godere della vita presente? Ritengo che non ti siano lasciati più di cinquant`anni, anche se perverrai all`estrema vecchiaia. Anzi, neppure questo è certo. Se non possiamo esser sicuri neppure di vivere fino a questa sera, come possiamo fare affidamento su tanti anni? E non solo questo ci è oscuro, ma anche il mutamento di fortuna: spesso infatti per quanto si conduca la vita a lungo, essa non è affatto accompagnata dal benessere: questo, appena sopraggiunge, spesso se ne va. Ma, se vuoi, ammettiamo pure che tu viva tanti anni, che non subisca nessun crollo di fortuna: che cos`è questo di fronte ai secoli infiniti, di fronte a quei tormenti amari insopportabili? Qua infatti sia il bene, sia il male hanno un termine, ed è velocissimo; là invece l`uno e l`altro si estendono per i secoli immortali.

Giovanni Crisostomo, Lettera a Teodoro, 9


3. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia
Che cosa devono imparare i discepoli da queste parole, o che scelta devono fare? Questa senza dubbio: riporre in lui ogni speranza per il nutrimento, ricordandosi di quel che dice il salmo: «Getta sul Signore il tuo affanno ed egli ti darà sostegno» (Sa! 54, 23). Il Signore infatti elargisce ai santi il necessario per vivere e non mentisce di certo quando dice: « Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo,di quello che indosserete... Il Padre vostro, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,25.32-33).
Era davvero utile, anzi necessario, che coloro i quali sono investiti della dignità di apostoli avessero un'anima per nulla avida di ricchezze, e rifuggissero dal sollecitare doni, accontentandosi piuttosto di quanto Dio manda, poiché sta scritto: «L'attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10). Era quindi necessario che a ogni costo si guardassero e fossero liberati da questo vizio, che è la radice e l'origine di tutti i mali, mettendo invece tutto il loro impegno in occupazioni necessarie per non soggiacere a satana. In tal modo, svincolati da ogni sollecitudine mondana, avrebbero potuto disprezzare ciò che riguarda il corpo desiderando soltanto ciò che Dio vuole. Infatti i soldati più valorosi, quando vanno a combattere, non portano con sé altro che le armi necessarie alla guerra. Così, coloro che il Cristo mandava a soccorrere la terra e a lottare per quanti erano in pericolo «contro i dominatori di questo mondo di tenebra» (Ef 6.12), anzi contro lo stesso satana, dovevano essere liberati dalle preoccupazioni di questo mondo e da ogni sollecitudine materiale, perché cinti e ben muniti di armi spirituali, potessero combattere valorosamente contro coloro che si oppongono alla gloria di Cristo e che avevano rovinato tutto ciò che stava sulla terra; infatti indussero i suoi abitanti a adorare la creatura invece del Creatore e a offrire culto agli elementi materiali.
Perciò gli apostoli, avendo indossato l'elmo della salvezza, la corazza della giustizia e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio (cfr. Ef 6,14.17), dovevano essere inesorabili coi nemici, capaci di non portarsi dietro niente che fosse macchiato o colpevole, cioè non avidità di possesso o brama di illeciti guadagni, anzi nemmeno sollecitudini di questo genere; cose che distolgono l'anima da una vita gradita a Dio e non le permettono di elevarsi a lui, ma piuttosto l'immergono in pensieri materiali e terreni.

Dal «Commento sull’Evangelo di Luca» di san Cirillo di Alessandria, vescovo.


4. Possesso e uso delle ricchezze
Disprezza le ricchezze, se vuoi possedere le ricchezze; sii povero, se vuoi essere ricco. Tali sono infatti gli inattesi beni di Dio, egli vuole che non per tuo studio, bensì per sua grazia, tu diventi ricco. Lascia a me - egli dice - codeste cose: tu cura le cose dello spirito, per apprendere la mia potenza: fuggi dal giogo e dalla schiavitù delle ricchezze. Fintanto che le tratterrai in tal modo, sarai povero: allorché invece le disprezzerai, sarai doppiamente ricco; e perché ti perverranno da ogni dove, e perché nulla ti mancherà di quanto invece sono carenti i più. Non è infatti il possedere a dismisura che fa ricco, bensì il non mancare di troppe cose. Perciò, quando c`è l`indigenza, il re in nulla differisce dal povero: la povertà infatti è questo aver bisogno degli altri: proprio per questa ragione il re sia povero, poich‚ necessita del servizio dei sudditi. Non così per chi è stato crocifisso: di nessuno ha bisogno; al vinto sono sufficienti le proprie mani: "Alle mie necessità, infatti" - egli dice -, "ed a quelle di coloro che sono con me, hanno provveduto queste mie mani" (At 20,34).
Queste cose dice chi, altrove, afferma: "Quasi come chi non ha nulla, e tutto possiede" (2Cor 6,10); proprio lui che a Listra ritenevano che fosse un dio. Se vuoi conseguire le cose del mondo, cerca il cielo se vuoi fruire delle cose presenti, disprezzale: senza equivoci, infatti, dice [Gesù]: "Cercate prima di tutto il regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta" (Mt 6,33). Perchè ti soffermi sulle piccole cose? Perchè resti a bocca aperta davanti a cose di nessun valore? Fino a quando sarai povero e mendico?
Guarda il cielo pensa alle ricchezze di lassù: fatti beffe dell`oro, apprendi quale sia il suo vero uso. Nella vita presente - che scorre come rena -, fruiamo soltanto di esso, perciò quasi goccia in paragone all`immensità dell`abisso, di tanto si differenziano le cose presenti in raffronto alle future.
Qui non si tratta di possesso, ma di uso, e non neppure possesso in senso proprio: Come mai, infatti, al momento del tuo estremo respiro, che tu lo voglia o no, altri ricevono tutto, e questi a loro volta danno ad altri, che poi daranno ad altri ancora? Tutti in effetti siamo di passaggio, e il padrone di casa è necessariamente più privilegiato del servo: spesso peraltro, morto quegli, il servo rimane, e si gode la casa molto più a lungo di lui. Ma se questi con mercede, anche quello in precedenza con mercede: costruì infatti, mettendo pietra su pietra con grande fatica e impegno. Solo al Verbo appartengono i domini: infatti nella verità della cosa tutti siamo padroni degli altri. Sono nostre solo quelle cose che abbiamo mandato lassù innanzi a noi: quelle che sono quaggiù, non sono nostre bensì dei viventi; anzi ci lasciano quando siamo ancora vivi. Sono nostre soltanto quelle cose che sono opere d`un`anima nobile quale l`elemosina, la benignità.
Queste cose son dette esterne anche tra gli stranieri: infatti sono fuori di noi. Dunque facciamo in modo che stiano dentro. Non possiamo infatti partire da qui portandoci dietro le ricchezze, però possiamo emigrare portando con noi l`elemosina: anzi, a dire il vero, la mandiamo innanzi, per prepararci un abitacolo nella dimora eterna.

(Giovanni Crisostomo, In Epist. I ad Timoth. 3)


5. La fede nella Provvidenza
Come la retta educazione dell`individuo così anche quella del genere umano, per quanto riguarda il popolo di Dio, progredì attraverso traguardi di tempi, in analogia allo sviluppo delle età, affinchè si formasse dalle cose divenienti all`apprendimento delle cose eterne e dalle visibili a quello delle invisibili. Quindi anche in quel tempo in cui da Dio si promettevano ricompense visibili, si inculcava che si deve adorare un solo Dio. Così l`intelligenza umana, anche per quanto riguarda gli stessi beni terreni della vita che fugge, si doveva sottomettere soltanto al vero Creatore e Signore dell`anima. E` irragionevole infatti chi nega che tutte le cose, che gli angeli e gli uomini possano concedere agli uomini, sono in potere di un solo Onnipotente. Il platonico Plotino ammette senza esitazione la provvidenza e dimostra dalla bellezza dei fiori e delle piante che essa dal sommo Dio, che ha bellezza ineffabilmente intelligibile, giunge fino alle cose più basse della terra. Dichiara che tutte queste cose spregevoli ed estremamente precarie possono avere i gradi convenienti delle proprie forme soltanto se le ricevono dall`essere in cui permane la forma intelligibile e non diveniente che ha in atto la totalità dell`essere. Gesù lo dichiara con le parole: "Osservate i gigli del campo, non lavorano e non tessono. Ma io vi dico che neanche Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così un`erba del campo che oggi è e domani si getta nel braciere, quanto piu voi, uomini di poca fede?" (Mt 6,28-29).
Giustamente quindi l`anima ancora legata ai terreni desideri si abitua ad attendere soltanto dall`unico Dio i beni infiniti della terra che desidera nel tempo, perch‚ indispensabili alla vita che fugge, ma spregevoli al confronto con i beni della vita eterna. Così, pur nel desiderio dei beni terreni, non si allontana dal culto a lui che deve raggiungere disprezzandoli e volgendosi in senso contrario ad essi.

(Agostino, De civit. Dei, 10, 14)

6. Considerate i gigli dei campi...

Ma quale spettacolo è quello di un campo in pieno rigoglio, quale profumo, quale attrattiva, quale soddisfazione per i contadini! Come potremmo spiegarlo degnamente con le nostre parole? Ma abbiamo la testimonianza della Scrittura dalla quale vediamo paragonata la bellezza della campagna alla benedizione e alla grazia dei santi, quando Isacco dice: "L`odore di mio figlio è l`odore d`un campo rigoglioso" (Gen 27,27). Perchè descrivere le viole dal cupo colore purpureo, i candidi gigli, le rose vermiglie, le campagne tinte ora di fiori color d`oro ora variopinti ora color giallo zafferano, nelle quali non sapresti se rechi maggior diletto il colore dei fiori o il loro profumo penetrante?
Gli occhi si pascono di questa gradevole visione e intorno ampiamente si sparge il profumo che ci riempie del suo piacevole effluvio. Perciò giustamente il Signore dice: "E la bellezza del campo è con me (Sal 49,11). E` con lui, perchè ne è l`autore: quale altro artefice infatti avrebbe potuto esprimere una così grande bellezza nelle singole creature? "Considerate i gigli del campo" (Mt 6,28), quale sia il candore dei loro petali, come questi, l`uno stretto all`altro, si rizzino dal basso verso l`alto in modo da riprodurre la forma d`un calice, come nell`interno di questo risplenda quasi un bagliore d`oro che, difeso tutt`intorno dalla protezione dei petali, non è esposto ad alcuna offesa. Se si cogliesse questo fiore e si sfogliassero i suoi petali, quale mano di artista sarebbe così abile da ridargli la forma del giglio? Nessuno saprebbe imitare la natura con tanta perfezione da presumere di ricostituire questo fiore, cui il Signore diede un riconoscimento così eccezionale da dire: "Nemmeno Salomone in tutta la sua gloria vestiva come uno di questi" (Mt 6,29). Un sovrano ricchissimo e sapientissimo è giudicato da meno della bellezza di questo fiore.

(Ambrogio, Hexamer. 3, 36)


7. Fidarsi della sapienza di Dio

Gesù Cristo non ci ha invitato a considerare il volo degli uccelli, nè ci ha proposto di imitarli nel volo, il che non è possibile agli uomini; ma ci ha mostrato come essi si nutrono senza alcuna preoccupazione, cosa che anche noi possiamo fare se lo vogliamo. L`esempio dei santi, che hanno confermato questo precetto con le opere, ne è una prova. Ebbene, è ammirevole la saggezza del legislatore divino che, pur potendo proporre l`esempio di tanti eccellenti uomini, come Mosè, Elia, Giovanni Battista e tanti altri, che non si sono per niente affannati per procurarsi il cibo, preferisce ricordare l`esempio degli uccelli, allo scopo di toccare i suoi ascoltatori in modo più forte ed efficace. Se avesse parlato di quei giusti, essi avrebbero ben potuto rispondere di non avere ancora raggiunto la loro virtù. Ma tacendo di questi e proponendo invece l`esempio degli uccelli, essi non possono addurre nessuna scusa. Anche in questo punto, egli segue la traccia della legge antica. Il Vecchio Testamento, infatti, suggerisce agli uomini l`esempio dell`ape, della formica, della tortora e della rondine (cf. Sir 11,31). E non è del resto un mediocre motivo di gloria per l`uomo poter acquisire con la libera scelta della volontà ciò che questi animali compiono, spinti dall`istinto naturale. Se Dio, dunque, si prende tanta cura per questi animali che egli ha creato per noi, quanto più se ne prenderà per noi stessi? Se veglia sui servi, quanto più veglierà sul padrone?
Ecco perchè, dopo averci invitati a osservare gli uccelli dell`aria, non aggiunge che essi non si occupano di traffici e di altri commerci che sono riprovati; dice che essi "non seminano nè mietono" (Mt 6,26). Ma come? - voi mi direte - non si dovrà dunque più seminare? Cristo non proibisce di seminare, ma dice -ripeto - che non dobbiamo affannarci anche per quanto ci è necessario. Non ci vieta di lavorare, ma non vuole che siamo senza fiducia e che ci maceriamo nell`inquietudine e nelle preoccupazioni. Ci comanda infatti di nutrirci: ma non vuole che tale pensiero ci tormenti e crei difficoltà allo spirito. Già molto tempo prima, David aveva sottolineato questa verità, anche se un po` enigmaticamente, affermando: "Tu apri la mano e colmi di favore ogni vivente" (Sal 144,16); e altrove: "Colui che dà il loro cibo alle bestie, e ai piccoli corvi ciò che domandano (Sal 146,9). Ma quale uomo è mai esistito - voi mi direte - che sia stato esente da queste preoccupazioni? Ebbene, vi rispondo, non vi ricordate di tutti quei giusti che vi ho nominato poco fa? Non vi ricordate, insieme a loro, che anche Giacobbe, il patriarca, uscì nudo dal suo paese e disse: "Se il Signore mi dà pane per mangiare e abiti per coprirmi..." (Gen 28,20)? E con queste parole egli mostrava chiaramente di non essere preoccupato, ma che chiedeva e si aspettava tutto da Dio. Nello stesso modo si comportarono con fortezza gli apostoli, che abbandonarono ogni loro bene e non si diedero pensiero di niente. Abbiamo visto poi quelle cinquemila persone e poi le altre tremila, che ottennero il cibo da Dio, senza darsi alcun affanno (cf. At 2,41).
Se dopo tutti questi argomenti e tutti questi esempi, non siete ancora capaci di sciogliere le dure catene che vi legano, liberatevi dall`affanno almeno riconoscendone l`inutilità. "Chi di voi", infatti, "con l`affannarsi può aggiungere alla sua età una spanna"? (Mt 6,27) - aggiunge Cristo. Vedete come egli si serve ora di un paragone chiaro e comprensibile, per far capire una verità oscura e nascosta. Pur dandovi da fare - egli dice - voi non potete far crescere neppure un poco il vostro corpo; ebbene, allo stesso modo non potete neppure con tutte le preoccupazioni e gli affanni assicurarvi il cibo. Con queste parole Gesù ci fa vedere con estrema chiarezza che non è affatto la nostra cura, ma soltanto la provvidenza di Dio che compie tutto, anche in quelle cose in cui sembra che noi abbiamo parte attiva. Se Dio infatti ci abbandonasse, nessuna cosa più sussisterebbe e periremmo tutti inevitabilmente con i nostri affanni, le nostre inquietudini e le nostre fatiche.

(Giovanni Crisostomo, In Matth. 21, 3)
24 febbraio 2014
Abbazia Santa Maria di Pulsano

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