Alberto Brignoli"Una luce...saporita e sensata"


V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/02/2014)
Vangelo: Mt 5,13-16
Nelle nostre case di montagna, accendere il fuoco è un'arte. E questo, non solo ora che nella maggior parte dei casi avviene in abitazioni che hanno riscaldamento e luce, per cui (oltre che un fattore di risparmio energetico) il fuoco nel camino o nella stufa diviene anche un fatto estetico e di atmosfera. Anche quando e laddove la fiamma da legna era (e ancora lo è) una necessità e un'esigenza, il suo utilizzo avveniva attraverso una sorta di "rituale" di cui abbiamo ancora molti elementi: si sceglie la legna ben secca, si dispone in modo che non soffochi la fiamma, si bruciano prima le asticelle sottili per attizzarla, si mettono i ceppi più grossi in fondo al camino
perché bruciando facciano più luce...senza parlare di quello "spazio liturgico" della legnaia in cui la fantasia, l'estro, la precisione quasi maniacale di chi vi sistema la legna in base alla dimensioni, alla maturazione, al grado di utilizzo, creano delle vere e proprie "cattedrali" di legno che suscitano contemplazione. E anche se le moderne tecniche di accensione di stufe e camini hanno un po' ridimensionato la suggestività di questi elementi, la dimensione sacrale del fuoco nella casa - e più in generale nella vita dell'uomo - è un fatto simbolico innegabile: il fuoco che scalda, che purifica bruciando ed eliminando, che distrugge ma anche ridona vita a ciò che si era intiepidito, che prepara gli alimenti per il sostentamento dell'uomo e dei suoi cari, che illumina e dona vita. Non a caso, la Chiesa lo benedice come primo simbolo di Cristo Risorto nella Veglia Pasquale. E non a caso, è la fonte da cui possiamo attingere e accendere luce nei momenti bui della nostra giornata e della nostra esistenza.
Ma cosa succederebbe, se attuassimo tutta quella meravigliosa simbologia che sta dietro l'accensione di un fuoco nelle nostre case, se poi (una volta acceso) lo spegnessimo immediatamente o lasciassimo che la sua fiamma muoia senza alimentarlo? Che senso avrebbe accendere un fuoco per soffocarlo sotto una campana di vetro o isolarlo dietro una porta tagliafuoco? Che senso avrebbe attingere dal camino una fiamma per accendere (quando fuori imperversa un temporale) una lampada a olio o una candela per poi nasconderle sotto il tavolo? Avrebbe lo stesso senso di una città d'arte, bellissima, costruita in cima a una collina (non posso non pensare allo "skyline" della mia "Bergamo di sopra"...) la cui visuale dalla pianura viene poi completamente oscurata da tutta una serie di edifici e grattacieli costruiti davanti a lei... E che senso avrebbe - per dirla tutta - cucinare con un sale insipido? Meglio buttarlo via e cucinare senza alcun sapore...
Sì, perché il non-senso è ciò che uccide la vita del cristiano: fare le cose "tanto per farle", fare di ogni cosa "un'inezia", o peggio ancora "fare le cose per poi disfarle". Che senso ha vivere una vita così? Che senso ha vivere una fede così? Che senso ha una fede fatta di riti "vissuti tanto per essere vissuti", di celebrazioni "fatte perché c'è un calendario", di iniziative "programmate perché si è sempre fatto così"? Ma chi mai investirebbe del tempo e delle energie per preparare la legna e il camino, e una volta acceso il fuoco lo spegne? Chi valorizza una città d'arte perché nessuno la veda? Chi cucina usando condimenti inutili? Eppure noi credenti - fuori dalla metafora - spesso siamo "maestri" a vivere una fede senza senso, un insieme di riti fatti solo perché li dobbiamo fare, ma che poi non incidono nella nostra vita, non cambiano la nostra esistenza, non scaldano il cuore dei nostri fratelli, non gettano luce là dove ci sono le tenebre, non danno sapore a una vita spesso insipida e insulsa.
Tra meno di un mese inizierà il cammino della Quaresima, dove le ritualità e i simboli ci inviteranno a rendere più intenso il nostro cammino di fede. Ma come li vivremo? Come una cosa che accade ogni anno? Come una serie di "fioretti che devo fare", magari anche perché ho bisogno di fare un po' di dieta? Che cos'è l'insieme di riti della Quaresima (così come di altri periodi dell'Anno Liturgico) se non ciò cui Isaia ci richiama nella prima lettura di oggi: "Questo è il digiuno che voglio: dividere il pane con l'affamato, introdurre in casa i miseri e senza tetto, vestire chi è nudo, non trascurare i parenti; togliere di mezzo l'oppressione, il puntare il dito, il parlare empio"?
Questo significa essere uomini e donne di fede. Questo significa essere "sale della terra e luce del mondo": non tanto "insaporire di cristianesimo" tutto ciò che ci circonda o accecare tutti con lampi di azioni proselitistiche altrettanto inutili quanto dannose, bensì creare un cambio, una trasformazione della società in nome della giustizia. Significa preoccuparsi di meno di bollare di cristiano tutto ciò che facciamo per far sapere agli altri chi siamo, e preoccuparsi di più di compiere gesti di giustizia, di far "risplendere la nostra luce davanti agli uomini perché vedendo le nostre opere buone diano gloria a Dio", e non a noi!
Impariamo l'arte di accendere il fuoco della carità e la luce della giustizia perché attorno a questo fuoco gli uomini ritrovino calore e di fronte a questa luce non si sentano ingannati dalle tenebre dell'ignoranza. Altrimenti, qualsiasi attività e qualsiasi rito, per quanto bello e ben fatto possa risultare," a null'altro servirà che ad esser gettato via e calpestato dalla gente".
Perché oltre a non sapere di nulla, come un cibo insipido, la nostra fede rischia di divenire del tutto inservibile. E inutile.

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