Comunità Marango"Nella povertà di avere solo il Signore siamo liberati da ogni affanno per la vita "

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La Parola di Dio di questa domenica parte dalla più grande rivelazione dell’Antico Testamento, ovvero che Dio è madre, e lo è anche più di qualsiasi madre sulla terra; la quale, almeno in ipotesi, potrebbe dimenticarsi del suo bambino, mentre Dio è talmente madre da non poter dimenticare di prendersi cura dell’uomo.
Da tale rivelazione deriva, per Gesù, l’assoluto affidamento, per il credente, al Signore, l’unico vero padrone che non esige, e invece libera da ogni preoccupazione che possa impegnare la vita.
Per sei volte, nel brano evangelico, Gesù dice «non preoccupatevi»: questo verbo indica un’ansia affannosa, da cui deriva un protagonismo attivo e ripiegato su di sé («Se non sono io che mi preoccupo di me stesso,
rischio di finire male…»).
Un esempio di colui che si preoccupa è quello della parabola dell’uomo ricco che ha avuto un grande raccolto. Non sapendo neanche dove mettere tanta abbondanza, parla a se stesso e si convince a costruire nuovi granai più grandi per mettere tutto il raccolto e poi passare il resto della vita a godersi il frutto di tanti beni (cfr. Lc 12,16-21). L’interesse solo per i propri beni, il voler assicurarsi il futuro attraverso di essi, l’agire sempre dettato dall’accaparramento smanioso, il godimento egoista…: sono i vari aspetti che, insieme, delineano il «preoccuparsi».
Da questo comprendiamo come Gesù non predichi un irreale abbandono nel Signore: «Vedrai, pensa a tutto il Padre, tu stai tranquillo e inerte…». Non è cristiano e sarebbe tentare Dio non darsi da fare per il sostentamento della propria vita.
Invece Gesù ci chiede l’atteggiamento opposto a quello dell’uomo ricco. Si tratta di riconoscere, magari anche in mezzo a fatiche e stenti, il dono del Signore: piccoli segni della maternità di Dio.
Io so, per esperienza, che il Signore non ci lascia mai da soli, e provvede non tanto all’immediato, quanto all’aver fiducia in Lui, qualsiasi cosa accada. Nulla è più grande del suo amore di madre. Nulla può impedire il suo caldo abbraccio per tutti i suoi figli.

La preoccupazione nasce non dalla fatica di fidarsi di Dio, ma dalla facilità con cui si confida nella ricchezza. Il testo letterale parla di «mammona»: la ricchezza personificata, una specie di altro dio, a cui ci si appoggia. I mezzi umani sono più immediati, quelli divini sembrano più rarefatti inconsistenti, per questo mondo; come il porgere l’altra guancia e l’amare i nemici (Vangelo di domenica scorsa).
Invece, ogni forma di ricchezza fa correre il rischio di trovare soluzioni dirette e corrispondenti alla realtà. I beni terreni, i beni spirituali e morali, che ci fanno sentire nel giusto, mentre gli altri sbagliano perché non capiscono, non sanno, non si rendono conto.
Alcuni di noi questa settimana hanno fatto una visita in carcere. Abbiamo incontrato persone che non negano gli sbagli fatti, che cercano di vivere il carcere come ripensamento e ricominciamento, che creano un clima di solidarietà e fraternità fra di loro. Certo, dentro tante contraddizioni, ma lì abbiamo visto che la provvidenza del Padre è all’opera, in persone che hanno sperimentato, nel negativo più radicale, che non è possibile bastare a se stessi e che solo il Signore ci libera da tutti i nostri affanni sbagliati.

Il Signore ci offre il suo Regno, cioè la sua signoria d’amore sulla nostra storia e su tutto il mondo. Tutto il resto è una «aggiunta», sempre nei termini del suo dono. Dentro tutto ciò che viviamo possiamo sperimentare la maternità di Dio che provvede a tutto ciò che c’è necessario perché la nostra vita non smentisca questa destinazione al Regno, alla vita piena in Dio.
In definitiva non dobbiamo essere preoccupati nemmeno del Regno, che rischia di diventare invece la preoccupazione più sottile e destabilizzante. La sproporzione fra quello che siamo e tale dono ci deve far essere come gli uccelli del cielo e come gigli del campo: così poveri e così provveduti dal Signore.
La preoccupazione ci divide dagli altri e anche da noi stessi, lacerandoci nel profondo: e così siamo veramente fragili. Ritroviamo unità, vivendo l’unica preoccupazione «sana»: «Nel corpo non vi sia divisione, ma anzi le varie membra si preoccupino le une delle altre» (1Cor 12,25). Preoccupazione che non divide, ma unisce, e che si pone nella dinamica del Regno.

Alberto Vianello

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