Don Luca Garbinetto " Giustizia è fatta "


VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/02/2014)
Vangelo: Mt 5,17-37
Leggere alla lettera il discorso della montagna di Gesù e le esigenze della nuova giustizia che Egli ci propone, superiore a ‘quella degli scribi e dei farisei' (v. 20), non può che impressionare per la radicalità di cui è impregnata.
Facilmente, dando voce alla parte ‘farisaica' che è in noi o semplicemente alle categorie moraliste che ancora ci dominano, tendiamo a sminuirla, schermendoci magari dietro le considerazioni letterarie ed esegetiche: ‘si tratta di paradossi tipici del linguaggio semitico', ci diciamo, provando a consolarci della nostra lontananza dalla logica e dalla prassi di Dio.
E così, facciamo risuonare il controaltare delle giustificazioni, che spengono la giustizia:
- verso gli altri, che ci stremano con le loro incongruenze, ci basta un ‘se tutti fanno così, perché io no?' E
poi, ‘sono i ricchi e i potenti che uccidono; e se loro lo fanno in maniera sistematica, perché dovrei farmi problema io di rubare quattro soldi e non pagare le tasse?' Era un po' così la denuncia di Fabrizio De Andrè nel suo ‘Testamento di Tito'... Ma Gesù, perentorio: ‘Avete inteso... ma io vi dico...' (vv. 21.22)!
- Verso noi stessi, poi, riconosciamo che siamo vittime di passioni e istinti che non sappiamo controllare: e allora, se la nostra parte animale è così, che ci possiamo fare? Se poi parliamo di affetti e di sessualità, beh, sono le donne che ci tentano, è la società che è eroticizzata, è la tecnologia che ci invade fino alla nostra intimità... Postmoderni, dunque, ma ancora sottilmente maschilisti e soprattutto incapaci di responsabilità. Ma Gesù, senza mezzi termini: ‘Avete inteso... ma io vi dico...' (vv. 27.28.32)!
- E verso Dio risuonano le parole dei praticanti: ‘ho fatto tanto per lui, e lui non mi ascolta, non mi risponde, non mi ha fatto la grazia, non mi ha dato il lavoro che volevo!'. E quelle degli scettici: ‘guarda le tragedie del mondo, la fame, la guerra, i cataclismi: non dovrebbe Dio mantenere le promesse di vita? E se non le mantiene lui, perché dovrei farlo io?'. Ma anche per i giuramenti e le promesse, Gesù insiste: ‘Avete inteso... ma io vi dico...' (vv. 33.34)!
È questo un brevissimo sguardo emotivo sul nostro modo di intendere la giustizia, di fronte al quale, ovviamente, le esigenze della nuova legge di Gesù stridono e inquietano. Forse, però, il vero punto nevralgico sta nel termine di paragone: se infatti mi confronto con me stesso e la mia fragilità o con gli altri e le loro ‘gaffe', inevitabilmente avrò delle buone giustificazioni sul mio atteggiamento e sui miei comportamenti, anche quando sono sbagliati. Ma non avrò giustizia.
Anche un'idea travisata di Dio, farisaica appunto, dà adito a ogni tipo di auto giustificazione; che poi, se è ‘auto', significa che alla fin fine parte sempre da me e che considero me stesso al centro del mondo. E se sono io l'unità di misura dei fatti e dei problemi della vita, non avrò giustizia.
Perché la giustizia di Dio, quella che ci propone Gesù, nasce da un presupposto fondamentale: essa è frutto di una nuova Alleanza, cioè di un rapporto, una relazione nuova proprio con chi ha dato origine alla giustizia. Dio in persona. Ne nascono le esigenze del Vangelo, che sono per me - non per gli altri, per me - e sono assolutamente radicali! Una giustizia radicale: ecco cosa ci dona e propone Gesù. Cosa significa ‘radicale'?
1. Innanzitutto, che va alla radice. Non va assolutamente dimenticato che la radice dei comportamenti giusti è la beatitudine della montagna: ‘Beati voi... voi siete il sale... voi siete la luce...' (vv. 3.13.14). Voi avete già ricevuto il dono di essere amati gratuitamente, e dunque la felicità. Ecco la Buona Notizia, l'esigenza del Vangelo. Ecco il termine di paragone.
È Dio che per primo non ha ucciso, né di fronte ai tradimenti del suo popolo né con il suo volto onnipotente e maestoso; piuttosto, ha dato per noi la vita di suo Figlio, che si è lasciato uccidere al posto nostro.
Dio non ci ha rinnegato né ripudiato, nonostante noi, popolo sposato e prediletto, abbiamo più volte scelto l'adulterio; piuttosto, è tornato a sedurci, a conquistare il nostro cuore, a stringere definitivamente l'Alleanza sponsale, mosso dalla sua passione e dalla sua gelosia amante.
Dio, poi, non ha parlato a vuoto, scollegato dalla realtà; piuttosto, la Sua Parola si è fatta carne in Gesù di Nazareth, manifestando con la sua Risurrezione che il Suo ‘sì' dura per l'eternità e vince la forza del Maligno. Cristo, infatti, è il ‘sì' definitivo di Dio all'uomo. Non c'è bisogno di altra parola!
2. Radicale, poi, significa anche totalizzante, che porta a compimento. Che da' frutti in abbondanza e porta alla pienezza dell'amore. Dalla radice viene la vita piena e traboccante, perché dalla radice scorre la linfa vitale dell'amore, rendendo tutta la pianta capace di amare allo stesso modo. Attaccato alla radice, ‘il mio calice trabocca' (Sal 22,5) e c'è ‘vita in abbondanza' (cfr. Gv 10,10). La giustizia radicale, allora, non si limita a rispettare i precetti della Legge facendo del minimo sindacale l'unità di misura, ma esagera nella donazione di sé! L'altra faccia della giustizia di Dio, infatti, è la Sua misericordia, capace di sconvolgere le aspettative di chi sbaglia, perché non va in cerca del colpevole per condannarlo, ma insegue e persegue la colpa per debellarla. Distrugge il peccato, salvando il peccatore!

Che cosa comporta l'esigenza della giustizia radicale dal punto di vista del mondo del lavoro? Alcune implicazioni, per chi sceglie di attaccarsi alla radice e cerca di portare frutti evangelici:
1. posso rivendicare i miei diritti con giustizia, che significa con verità e misericordia, solo nella misura in cui ho sempre fatto il mio dovere, o per lo meno c'ho provato. Il mio impegno onesto e responsabile rende la mia parola credibile e solida: quanto abbiamo bisogno oggi di una rinnovata svolta etica del nostro agire dentro i normali rapporti lavorativi, gli uffici, le istituzioni, i corridoi di fabbrica e le aule scolastiche! Ricordo un giovane impegnato in diverse battaglie per i diritti studenteschi a Roma: lo vidi entrare in metropolitana saltando i cancelletti per non pagare il biglietto, in barba alle folle di pendolari che facevano la fila per raggiungere i posti di lavoro...
2. L'adesione radicale alle esigenze dell'amore non frantuma l'uomo in compartimenti stagni, come se lavoro, affetti e tempo libero fossero fette di una torta in cui l'una non ha a che vedere con le altre; come se agire, sentire, pensare e parlare possano permettersi di scivolare su binari diversi, addirittura contrapposti; come se l'impegno pubblico non abbia nulla da spartire con la gestione della propria vita privata e ci possano essere spazi dell'esistenza esonerati dall'imperativo assoluto dell'amore, lasciati alla mercé della logica dell'opportunismo (politica e lavoro) o dell'autodeterminazione (famiglia e affetti). L'amore invece unifica e integra. La giustizia rende ‘uno', ed ha un solo elemento discriminante: o si fonda sul dono di sé, o è egoistica e strumentale, pur perseguendo apparentemente fini positivi (non è del Vangelo lo slogan machiavellico: ‘il fine giustifica i mezzi').
3. Perché ci sia giustizia, qualcuno deve pagare di persona! Qualcuno deve fare il primo passo! La logica della Croce, ‘scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani' (1 Cor 1,23), rimane il vertice della beatitudine. Nessun masochismo: piuttosto, la capacità di saper rinunciare e offrire per il bene comune, per il rispetto e la crescita della vita dell'altro. È fuori di ogni dubbio che la responsabilità maggiore delle situazioni di ingiustizia sociale e di oppressione che si diffondono a macchia d'olio nel mondo del lavoro sta sulla coscienza di chi ha il coltello dalla parte del manico: governanti, ‘elite', finanzieri... Ma - lo diciamo senza un briciolo di vergogna - il vero potere dell'uomo sta nel perdono. Sta nella risposta radicale alla domanda: e se il carnefice chiedesse perdono, io sarei disposto a darglielo? Sarei disposto a offrirlo a colui che minaccia di uccidermi, lasciando ai piedi dell'altare la mia offerta incompiuta (cfr. vv. 23-24) per porgere a lui l'altra guancia?
Il compimento della Legge è il traboccare dell'amore. Giustizia è fatta quando l'altro è spiazzato dal nostro perdono. La radice della nuova Alleanza è il dono totale di sé, a chiunque e in ogni momento, fino al paradosso della Croce: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!' (Lc 23,34). È questo il termine di paragone della mia giustizia?

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