Enzo Bianchi VI domenica del tempo ordinario 16 febbraio 2014

Come essere “sale della terra e luce del mondo” (cf. Mt 5,13-14, vangelo di domenica scorsa)?

Gesù lo spiega sempre nel lungo discorso della montagna, attraverso sei antitesi, nelle quali mette a confronto l’insegnamento tradizionale dei rabbini con la sua stessa predicazione, che sempre fa riferimento obbediente alle sante Scritture, alla Torah (Legge) e ai profeti. Gesù non è venuto per abolire l’economia di salvezza voluta da Dio per il suo popolo Israele, per contraddire la parola di Dio contenuta nelle Scritture, ma è venuto per darle compimento, per realizzarla e interpretarla secondo l’intenzione di Dio. E qui rivela la sua autorevolezza.

A quanti criticavano Gesù, accusandolo di svuotare i comandamenti, egli risponde con un’esigenza di giustizia più radicale e più trasparente di quella insegnata e praticata da scribi e farisei, da esperti delle
Scritture e appartenenti al movimento degli osservanti. Per entrare nel regno di Dio, o meglio per permettere che Dio regni, occorre una realizzazione della sua volontà, una giustizia inedita, che trascende quella allora dominante.

Ecco allora le sei antitesi, le prime quattro delle quali contenute nel brano previsto dalla liturgia odierna. “Avete inteso che fu detto agli antichi … ma io vi dico”: sì, ai padri è stata data la Parola da parte di Dio stesso attraverso Mosè, e questa Parola è stata trasmessa di generazione in generazione, nella catena della tradizione rabbinica. Ma di fronte a questa tradizione Gesù fa delle precisazioni.
Non la nega, non la distrugge ma la interpreta con autorità decisiva e definitiva, che lo autorizza ad affermare: “Ma io vi dico…”. Non ne nasce un nuovo messaggio, ma il contenuto della Legge è certamente radicalizzato, nel senso che Gesù va alle radici del male da essa denunciato. La Torah condanna l’omicidio (cf. Es 20,13; Dt 5,17), ma Gesù mette in guardia: chi insulta, maledice, “fa arrossire” un uomo è passibile di un giudizio e condannato a finire nella Geènna, la discarica di Gerusalemme.

La legge che vieta l’omicidio in realtà chiede riconciliazione tra fratelli che andranno tutti davanti al giudice. Non è possibile osservare le leggi cultuali e non osservare pienamente i comandi verso il prossimo: anzi, questi devono essere realizzati prima dei comandi riguardanti i sacrifici a Dio.

Così anche nella seconda antitesi, quella che riguarda il comandamento: “Non commettere adulterio” (Es 20,14; Dt 5,18). Certo che va osservato alla lettera, ma chi guarda una donna come se fosse un oggetto da possedere, uno strumento per il proprio piacere, ha già commesso adulterio nel suo cuore. “Dio guarda al cuore” (cf. 1Sam 16,7), alle intenzioni, non solo a ciò che accade!
Quanto poi al matrimonio, Gesù, risalendo alla volontà del Creatore, arriva a contraddire Mosè e il permesso del divorzio concesso a Israele (cf. Dt 24,1-4). Chi ripudia il coniuge (e a quel tempo solo il marito poteva compiere quest’atto, mai la moglie) è in realtà adultero, e così chi sposa la donna di un altro.

Anche sull’uso della parola Gesù indica una precisa esigenza. Occorre dire con chiarezza, con parrhesía: “Sì, sì” oppure “No, no”, non solo senza spergiurare, ma neppure facendo giuramenti o esercitandosi in casistiche che possono alterare la verità.

Insomma, in queste antitesi la Legge è interiorizzata e al discepolo è richiesta una vigilanza che vada alle radici del male, nel proprio cuore; potremmo dire che è personalizzata, aprendo la strada all’iscrizione della Legge nel cuore umano, secondo la promessa del profeta Geremia per i giorni della nuova alleanza tra Dio e il suo popolo (cf. Ger 31,31-34; Eb 8,8-12).

Ma in queste antitesi proclamate da Gesù comprendiamo come per lui la Legge e i profeti possono essere riassunti in un solo comando: quello dell’amore del prossimo, un amore radicale, gratuito, vissuto da un cuore unificato (cf. Mt 22,39; Lv 19,18).

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