Fr. Massimo Rossi"Essere sale e luce"

V Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/02/2014)
Vangelo: Mt 5,13-16
Parole sante, le parole dell'orazione introduttiva! La croce è vera e propria follia per chi ragiona in termini umani-solo-umani: il traguardo, l'apice di una carriera è una promozione, non una condanna. E invece Gesù raggiunge la vetta della sua missione gloriosa, Gesù diventa il Cristo, il Messia atteso da millenni, quando lo inchiodano su quel patibolo. Se non è una follia questa...
Come già ho rilevato in altre occasioni, la croce di Cristo suscita ancora scandalo tra i credenti, e forse susciterà sempre scandalo. Per ‘scandalo' intendo quel fastidio, quel disagio, quella insofferenza istintiva di fronte all'idea che Dio, invece di venire nel mondo a vincere i nostri piccoli/grandi dolori, li ha voluti vivere in prima persona come noi, peggio di noi. E in questa solidarietà con il dolore degli uomini, Dio ha vinto il dolore e la morte: è il famoso paradosso cristiano.

Ma lo scandalo dei cristiani non è legato solo alla persona di Cristo; forse lo scandalo peggiore è la scoperta che vivere la fede significa accettare anche noi la nostra croce senza lamentarci, senza ribellarci, senza rifiutarla... L'ha fatto Lui, lo dobbiamo fare anche noi, se vogliamo chiamarci con lo stesso nome!
Se la risposta non religiosa alle situazioni cruciali della vita esprime il rifiuto umano della morte, non così la risposta religiosa alle stesse situazioni cruciali! La fede, ripeto, non rifiuta la morte, al contrario, si riconcilia con essa, interpretandola e insegnando a viverla non come la fine della vita, ma come il fine, il culmine della vita terrena; la morte porta la vita al suo naturale compimento (cfr. Gv 19,30), rendendo la persona pronta per varcare la soglia, verso il Cielo, ...destinazione Paradiso, come cantava un po' di anni fa un famoso cantautore italiano.
Chi obbiettasse che i cristiani sono persone tristi, perché non sanno parlar d'altro che di croce, di sofferenza, di morte,... rispondete pure, pacati, ma decisi, che c'è modo e modo di parlare di sofferenza, di morte, di croce! Un vero cristiano è in grado di coniugare queste realtà con la speranza di vita. Naturalmente la speranza teologale poggia su una verità che va ben oltre la storia umana: il mistero della risurrezione di Cristo. È la risurrezione che ruba, per così dire, la scena alla morte, svuotandola della sua (apparente) definitività!
Abbiamo sentito la seconda lettura, la quale annuncia che san Paolo si presentava ai cristiani ad annunciare Cristo, forte di una sola certezza, la croce. Tuttavia, nella stessa lettera, una decina di capitoli dopo, l'Apostolo dei pagani dichiara: "Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra speranza." (15,13).
In questo singolare connubio, croce-risurrezione, si manifesta la salvezza, la quale al tempo presente, consiste nella vittoria di Gesù sui nostri peccati, e nell'altra vita (si manifesta) nella comunione con Dio e nella eterna felicità.
Senza questa profonda convinzione, potremmo anche travestirci da albero di natale, pieni di led dalla testa ai piedi, ma la luce sarebbe solo un abbellimento accessorio, qualcosa di estraneo e di esterno che ci mettiamo addosso, e non il riflesso, incontenibile, dalla nostra ricchezza interiore.
Domenica prossima, e quella dopo ancora, rifletteremo sul Vangelo delle Beatitudini, con tutto quello che segue: ebbene, la luce del mondo e il sale della terra sono quell'X Factor che si manifesta come amore per i nemici, come perdono delle offese, come risposta non violenta alle provocazioni, come abbandono fiducioso alla provvidenza celeste... Ne parleremo con calma.
Del resto, anche la profezia di Isaia conferisce un significato positivo e prezioso al digiuno, un atteggiamento che, istintivamente, non suggerisce alcuna emozione positiva, ma solo sacrificio, e rinuncia.
Nella visione cristiana, il digiuno, cioè l'astinenza dal cibo, è sempre qualificato da un gesto positivo in favore dei poveri, dalla solidarietà reale con coloro che sono meno fortunati.
Sembrerà una precisazione superflua; chi di noi non conosce il valore cristiano del digiuno? Tuttavia noi preti rileviamo una superficialità e un'ignoranza diffusa proprio riguardo agli aspetti più tipici della vita cristiana quali, appunto, il digiuno.
Negli anni Settanta andava di moda la Quaresima di fraternità. Oggi non se ne parla quasi più; con il risultato che quasi più nessuno pensa che levare un piatto dalla nostra tavola significa convertire l'equivalente in denaro, o in generi di prima necessità, da devolvere alle mense dei poveri; e questo è solo un esempio.
Le similitudini del sale e della luce sono particolarmente significative: la prima ci ricorda che il sale serve ad esaltare non se stesso, bensì il sapore dei cibi; (da solo) il sale ha un pessimo gusto. La fede è dunque funzionale ad esaltare il bene che compiamo; la fede va investita, va coniugata, declinata nella vita, affinché la vita stessa riceva e ridoni tutto il suo sapore, tutto il suo valore.
Il paragone con la luce è analogo ai talenti dell'omonima parabola (cfr Mt 25,15ss.): la luce va usata per illuminare, così come i talenti vanno trafficati e fatti fruttare; nascondere sotto il moggio una lampada, è come nascondere un talento sotto la terra... è sprecato, non serve a nessuno. Nascondere la propria fede, viverla in modo individualista, intimista, peggio ancora, devozionale, fa un pessimo servizio alla fede stessa - sempre che la si possa ancora chiamare fede - e manca clamorosamente l'obbiettivo, l'incontro con Cristo, incarnato nel prossimo che soffre, emarginato, malato, morente e solo.

"È nostro dovere morale
scegliere il cammino giusto e non quello più facile,
e più appagante in termini di interessi personali o particolari..."
Barak Obama

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