Giancarlo Bruni" Identità e solidità del cristiano"

GIANCARLO BRUNI
Eremo delle Stinche - Panzano in Chianti
1. La cultura ama descrivere il tempo in cui viviamo facendo ricorso al vocabolario della debolezza, della fluidità e della novità. La narrazione della «debolezza» è affidata all'immagine della Quadriga post-moderna: pensiero debole, valori deboli, appartenenze deboli o corte e religiosità vaga e soggettiva al massimo. Di fatto l'imporsi della soggettività come unico criterio di determinazione del senso dato a vivere implica il defilarsi dell'uno a vantaggio del molteplice, del relativo a vantaggio dell'assoluto: non un pensiero unico e imposto ma tante verità e opinioni quanti sono i soggetti, tutte di pari valore e dignità; non un sistema socio-politico dittatoriale ma leggero; non una ma più morali, oltre ogni eccesso di rigorosità e ogni logica di sacrificio e oltre la formula «per sempre», tipica a designare la modalità delle appartenenze, sostituita dal «mai dire mai». E ciascuno si
modelli la propria religiosità. È innegabile, al di là delle valutazioni che se ne possono  dare, che noi abitiamo una società frammentata e frammentaria, sospettosa, e le ragioni per esserlo non mancano,di ogni sistema culturale, economico, politico e religioso forte. Una società non a caso definita «liquida», non fondata cioè sull'unico e sul solido ma sul molteplice fluttuante dei singoli.

Società al contempo sospinta dal vento della «novità» i cui nomi sono riscoperta dell'alterità, della interiorità, della gratuità o orizzonte del dono, del limite e della centralità della persona, in breve della ricerca di una nuova antropologia. È a questo uomo da una identità sempre in via di definizione, uomo che siamo noi, che viene rivolta una parola che ha a che fare proprio con la identità e la solidità.

2. Ascoltiamo: «Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà simile a un uomo saggio, che ha costruito la sua casa nella roccia» (Mt 7,24), a cui Luca fa precedere «Chiunque viene a me» (Lc 6,47). Il riferimento a Gesù, l'ascolto delle sue parole e la loro messa in pratica identificano il discepolo e lo definiscono uomo saggio nel costruire la propria casa sulla roccia, cioè la propria vita sulla solidità della Legge e dei profeti nella interpretazione datane da Gesù. Siamo a conclusione del discorso della montagna, di un messaggio che risponde a domande essenziali: sono possibili giorni nella solarità, nella saggezza e nella consistenza, tali da rendere saldi anche nel tempo delle calamità personali, familiari, sociali e naturali? Sì, risponde il Vangelo, a patto di porre un fondamento consistente e non labile alla costruzione della propria esistenza (Mt 7,24-27). È davvero questione di radici la cui verifica,nel cristianesimo, è data da un esserci secondo il Padre di Gesù (Mt 5,48) e secondo la volontà del Padre di Gesù (Mt 6,10), evidenti nel fare e nel dire di Gesù. Matteo insiste molto sull'aspetto di una volontà che domanda attuazione a scanso di un equivoco che serpeggiava nella sua comunità, e singolarmente anche in quella di Corinto (1 Cor 13,1-3), il ritenersi a posto davanti a Dio in nome di una retta confessione di fede: «Signore, Signore» (Mt 7,21) e di una religiosità fuori dall'ordinario tipo profetare, cacciare demoni e compiere prodigi (Mt 7,22). Il tutto sganciato dall'unico necessario, l'adempimento di un volere che consiste semplicemente in questo: «Misericordia voglio e non sacrifici» (Mt 12,7). Il sapere che Gesù è il Signore e la declinazione di un cristianesimo miracolistico senza le opere dell'amore, su cui l'uomo sarà giudicato (Mt 25,31-46), non giova a nulla. E a questi pseudo-carismatici o discepoli iperdotati stranieri all'agape Gesù risponde: «Non vi ho mai conosciuti» (Mt 7,23), a voler dire che è da iniqui e da stolti (Mt 7,23.26) il separare l'andare a lui, l'ascoltarlo e il vivere nella quotidianità facendo il bene.

3. Dall'insieme del vangelo di Matteo emerge una singolare prospettiva della identità cristiana: l'insieme dei veduti e dei chiamati da un amico a stare con lui (Mt 4,18-22) a scuola di una parola che ove accolta e vissuta genera il figlio della sapienza e l'uomo della consistenza,la creatura cioè capace di prendersi cura dell'amico e del nemico. Tali figli di Dio modellati su Cristo sono donati al mondo amato delle deboli identità e delle fondamenta scosse a segno che è possibile vivere in bellezza, là ove la volontà di Dio che è intenzione e prassi di bene per l'uomo non è disattesa. Nella consapevolezza che solo un esserci bello e buono ad altezza di discorso della montagna può far nascere ancora oggi la domanda della radice che lo genera e lo sostiene. Non i discorsi su Dio e sulla Chiesa, il segno del tempo chiede il primato della «mostrazione» sulla «dimostrazione», della esperienza sulla sua spiegazione, non negata ma seconda.

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