Alberto Vianello,monastero Marango"Trasfigurato nella Parola"

Trasfigurato nella Parola
Nel raccontare la trasfigurazione di Gesù, Matteo fa molto riferimento all’esperienza di Mosè e Israele al Sinai, quando Dio dona loro la Legge. Perché Gesù è quella Parola, che trova compimento nella sua Pasqua: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (Lc 24,46).
Gesù ha appena annunciato la sua Passione e le condizioni necessarie per seguirlo: «Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). Si tratta di una via esigente, ma bella: è quello che vuole comunicarci la trasfigurazione. Donare la propria vita non mortifica, ma realizza le potenzialità dell'uomo. Perché, guardando Gesù trasfigurato, noi non vediamo altro che il nostro destino definitivo e pieno: «Il Signore Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). Il nostro destino in Dio non sarà quello di un angelo o di un puro spirito: il nostro corpo, cioè la nostra
umanità concreta, sarà trasformato secondo la forma che l'umanità di Cristo ha assunto con la resurrezione.
Così, contemplando Gesù trasfigurato - con il volto che gli brilla come il sole, con le vesti candide come la luce, con la Scrittura che gli parla, con la voce del Padre che proclama tutto il compiacimento per il suo Figlio - noi non vediamo altro che la bellezza della nostra umanità in Dio, che risplenderà nella risurrezione.

È la parola che apre lo spiraglio e che diventa causa di tanta bellezza, come fu alla creazione: «Dio disse... e così avvenne... Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,6.9.10). Per questo Matteo pensa a Mosé, sul Sinai con le tavole della Legge, quando ci racconta da trasfigurazione. Il volto di Gesù «brillò come il sole», come quello di Mosé dopo che «aveva conversato con Dio» ricevendo la sua Parola (cfr: Es 34,29). E tutta la Parola dell'Antico Testamento, (Mosè ed Elia che parlano con Gesù) converge e si compie nella Parola fatta carne sulla Croce: «Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto affinché si compisse la Scrittura, disse: "E’ compiuto!" E, chinato il capo, consegnò lo spirito». (Gv 19,28. 30). Secondo i rabbini, Mosè è morto sulla bocca di Dio, lui che aveva ricevuto dal Signore la sua Parola per Israele. Gesù morirà sulla bocca della Parola contenuta nelle Scritture; quella Parola che ci rivela che «Dio è amore» (1Gv 4,8), per questo morendo feconda il mondo con il dono dello Spirito.

Matteo pensa ancora a Mosé sul Sinai quando una «nube luminosa» avvolge i tre frastornati discepoli: «La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosé entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte» (Es 24,17-18a). Paradosso di una nube che non oscura e invece illumina. È la presenza misteriosa e avvolgente di Dio (la nube) che si rivela e si dona all'uomo (è luminosa), per dare sapore e senso alla vita umana nel rapporto con il proprio Signore.
La voce nella nube non fa altro che focalizzare tutto sull'umanità di Gesù, per questo trasfigurata dalla Parola: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Sono parole di Dio perché parole delle Scritture, che proclamano il destino di Messia di Gesù («Figlio mio»: Sal 2), unito al destino di Isacco («l'amato»: Gen 22) e a quello del Servo («compiacimento» del Padre: Is 42,1). La parola trasfigura Gesù nel Figlio inviato e sacrificato dal Padre, che accetta di farsi servo, per incontrare il «compiacimento» del Padre, il quale «ha nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli» (Mt 11,25).

Ma quello che rimane di più, dopo tutto, è quella mano di Gesù che tocca i tre discepoli rivolti a terra e tremanti. A quel tocco si accompagna la vista di «nessuno, se non Gesù solo». Lui è la Parola che ci tocca per darci nuova vita («alzatevi» è il verbo della risurrezione) e per non farci temere davanti al Signore: perché quella Parola non ci vuole giudicare ma salvare (cfr. Gv 3,17). Lui è quella carne umana che ci attira a seguirlo, perché ci parla di Dio con la sua umanità.
Così rimane impressionata l'esperienza di quella trasfigurazione. Per dire che la relazione con la Parola è un'esperienza grande, con una realtà che ci supera infinitamente. Non basta la conoscenza, la sensibilità, la fantasia per coglierla tutta. È una presenza altra, è luce, come la presenza luminosa che abita la carne umana di Gesù.
Dato che questa Parola ci supera, essa può (e solo essa può) diventare il centro innovatore della nostra vita. Solo la Parola ci può convertire, perché solo dall'ascolto di essa può venire la fede (cfr. Rm 10,17). Così anche noi possiamo attendere che sia la Parola a trasfigurare la nostra vita.

Alberto Vianello

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