don Marco Pedron "I veri adoratori"


III Domenica di Quaresima (Anno A) (23/03/2014)
Vangelo: Gv 4,5-42
Per capire un vangelo bisogna sempre tenere presente qual è il contesto teologico biblico nel quale l'evangelista lo inserisce. Non si può comprendere l'episodio della Samaritana senza fare riferimento al profeta Osea, (troveremo vari riferimenti a questo profeta) perché l'evangelista ricostruisce l'episodio della Samaritana sulla falsariga del libro del profeta Osea. E Gesù spesso si rifarà a questo profeta: "Misericordia io voglio e non sacrifici" (Os 6,6; Mt 9,13).
Chi era Osea? Osea era il profeta della Samaria (stesso luogo di quest'incontro) che, grazie alla sua drammatica situazione matrimoniale, ha scoperto qualcosa di incredibile.
Osea è innamorato di sua moglie, che si chiama Gomer, dalla quale ha avuto tre figli. Ma questa donna ogni tanto lo abbandona e fugge sempre dietro nuovi amanti. E ogni volta Osea, paziente e innamorato, la riprende, finché un giorno perde la pazienza. Infatti, all'ennesima fuga di quest'adultera con nuovi amanti, Osea la rintraccia, le elenca e le rinfaccia tutte le sue colpe di donna scellerata, di moglie infedele e di madre svergognata.

Sappiamo che per le donne adultere c'è la pena di morte per lapidazione e il primo a lanciare la pietra è il marito. Dopo aver elencato tutti i capi d'accusa Osea pronuncia la sentenza finale. Ci aspetteremo ovviamente: "Io ti ripudio e ti condanno alla lapidazione" perché questa è la pena (in questo caso lo strangolamento perché era già nella seconda fase del matrimonio).
Ma invece Osea, dopo aver elencato tutti i crimini compiuti dalla moglie, le dice: "Ti propongo una cosa: facciamo un nuovo viaggio di nozze. Andiamo nel deserto tu ed io da soli". Ed Osea comprende: "Là mi chiamerai marito mio e non mi chiamerai più padrone mio".
Cosa vuol dire questa frase? Nel mondo ebraico il marito era il padrone della donna. Osea, allora, ha capito perché questa donna gli scappa sempre: perché lei ha un rapporto con un padrone e non con un marito. La donna gli scappava sempre perché si sentiva non considerata, non accolta, non amata, ma solo usata e trattata come un oggetto a servizio suo.
E questo dovrebbe farci riflettere: come Osea, anche noi, invece di giudicare i comportamenti degli altri, ci aiuterebbe molto di più capirne le motivazioni. Dietro alla nostra disapprovazione per il comportamento degli altri, come in questo caso, forse ci sta proprio qualcosa che ci riguarda!
Ma qual è la grande scoperta di questo profeta? Osea, che ha perdonato questa donna senza nessuna garanzia che questa poi non gli riscappi un'altra volta, ha compreso che il perdono non va concesso come causa del pentimento dell'individuo, ma che lo precede.
Nella religione succede che prima ti converti e poi sei perdonato. Osea, invece, la perdona senza chiederle il pentimento. Lo ha capito solo lui perché i contemporanei lo ritenevano insensato e demente (Os 9,7)!
Anche S. Paolo (Rm 5,8) dirà così: "Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi". Dio (e Osea l'aveva già capito secoli prima!) ci ama e ci salva senza condizione: poi se noi vorremo ci sarà anche la nostra conversione. Ma il suo amore e la sua salvezza sono a prescindere dal nostro comportamento: sono in base al suo amore per noi e non al nostro amore per lui.
C'era una donna che diceva a tutti di avere delle apparizioni di Cristo. Il vescovo la chiama per controllarne la veridicità: in effetti la donna non è né pazza né demente. Ma il dubbio rimane: "Sono sue fantasie o realmente ha qualche contatto con Dio?". Allora il vescovo le dice: "Dì al Signore che ti dica i miei peccati". Il vescovo pensava tra sé: "E' una cosa ben precisa: se mi riporta i miei peccati, che solo io e Dio conosciamo, saprò veramente che è in contatto con Dio, altrimenti vorrà dire di no". "Va bene", dice la donna. I due si salutano. Una settimana dopo la donna ritorna e il vescovo gli dice: "E allora?". E la donna: "Ho chiesto al Cristo: Dimmi i peccati del mio vescovo". "E lui?", chiede il vescovo, tutto ansioso di sapere la riposta. E Lui mi ha detto, dice la donna: "Quali peccati? Io non ne ricordo. Dì al tuo vescovo che Io sono l'Amore e non la Memoria". In effetti, dovette constatare il vescovo, per rispondere così la donna doveva vedere il Cristo.
"Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio" (Gv 4,5)
"Sicar" è in territorio samaritano e Gesù è un Galileo: come dire un ebreo e un palestinese. Fra Samaritani e Giudei-Galilei, infatti, vi era un odio profondo. La Samaria apparteneva ad Israele ma in una delle tante conquiste straniere venne svuotata: soprattutto il ceto intellettuale, ricco, venne deportato. Al loro posto vi subentrarono coloni di altre nazioni (2 Re 17,24-28). Per cui era una popolazione meticcia: il sangue degli ebrei non era più puro e cosa ben peggiore avevano portato anche altre divinità (2 Re 17,29-34).
Gli ebrei impedirono ai samaritani di collaborare alla ricostruzione del tempio (Esd 4,1-3) e nel 128 a.C. i Giudei distrussero il tempio dei Samaritani in Samaria. Per rappresaglia al tempo di Gesù, verso il 6 o il 9 dopo Cristo, i Samaritani di notte entrarono nel tempio e vi gettarono delle ossa umane rendendo impuro il tempio, impedendo così agli Ebrei di poter celebrare la Pasqua. Da quel momento ai Samaritani fu proibito l'accesso al tempio.
Tanto è vero che se dalla Giudea si voleva andare in Galilea (o viceversa), non si attraversava la Samaria perché le imboscate erano continue e pericolosissime. Per questo si costeggiava il Giordano.
L'inimicizia era così forte che dire "Samaritano" ad uno era il peggiore degli insulti, se un ebreo insultava un altro dicendogli: "Sei un Samaritano" meritava la pena di ben 39 frustate.
Ma Sicar ha un senso ulteriore. Nonostante l'odio mortale tra Ebrei e Samaritani, negli anni di siccità si potevano presentare le primizie del grano per celebrare le feste degli Azzimi e di Pentecoste, andandoli a prendere nell'odiata Samaria nella città di Sicar, perché era una città molto florida dal punto di vista agricolo e lì il grano si era sicuri di trovarlo sempre.
Cosa sta dicendo allora Gv: Gerusalemme e la Giudea sono sterili e non producono frutto, mentre l'eretica Samaria ha un raccolto più che abbondante.
"Qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno" (Gv 4,6).
"Pozzo". Il pozzo di Giacobbe esiste ancora ed è profondo una trentina di metri e quindi richiedeva abbastanza lavoro e un mezzo per attingere. Erano le donne che facevano questo lavoro.
Gv distingue due termini. 1. Peghè=sorgente, pozzo (Gv 4,6). Gesù qui è seduto "sopra, installato" sul pozzo: è un modo con cui Gv dice che Gesù è il pozzo, è l'acqua viva; Lui stesso è la sorgente.
L'altro termine, frear (Gv 4,11), Gv lo usa sempre quando la donna parla a Gesù.
Cioè: Gesù parla di un "Acqua" (viva) mentre la donna parla dell'acqua da bere.
"Stanco del viaggio" (kopiazo): lo si capirà da Gv 4,38. Gesù non è stanco tanto per il viaggio ma perché sta seminando (evangelizzando) molto nel suo andare.
Era verso mezzogiorno: letteralmente "l'ora sesta". Certo fa molto caldo a quell'ora ed è strano trovare una persona che vada a prendere l'acqua a quell'ora con quel caldo. Una volta si diceva: "Beh, è ovvio. E' una donna chiacchierata e per evitare di andare al pozzo quando ci sono le altre donne, per non sentire i pettegolezzi, ci va da sola al pozzo": ma non è così.
Ma a Gv non interessa tanto questo bensì il fatto che l'ora sesta è l'ora della condanna a morte di Gesù, quando un soldato gli trafiggerà con una lancia il costato. E cosa uscirà dal costato? Sangue e acqua! Gesù è colui che dona l'acqua che fa vivere. E quest'incontro anticipa il dono di Gesù in croce.
"Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: "Dammi da bere"." (Gv 4,7).
"Donna"=signora nel senso di moglie/sposa. Gv si rivolge con questo appellativo a 3 personaggi femminili. 1. La Madre (Gv 2,4; 19,26): la sposa fedele dell'antica alleanza. 2. La Samaritana (Gv 4,21): la sposa infedele, l'adultera, che lo sposo riconquista con il suo amore. 3. Maria di Magdala (Gv 20,15): la nuova sposa, la sposa della nuova alleanza.
"Ad attingere". La donna si disseta (e voi capite che l'acqua fisica allude ad un'altra acqua, spirituale) al pozzo di Giacobbe, cioè all'antica tradizione del popolo, che è un acqua morta. Ma troverà un'altra sorgente: quella viva e non più quella morta dei padri.
"Le disse Gesù". Mai un uomo rivolge la parola ad una donna. La donna è considerata un essere inferiore. Figuriamoci poi se è una donna sconosciuta e per di più samaritana, che era l'essere più repellente.
L'acqua di Gesù è per/di tutti, nessuno escluso. Rivolgendosi alla donna Gesù supera le divisioni razziali. Soprattutto per chi ha sete!
"Dammi da bere". I Giudei si ritenevano superiori ai Samaritani e i Samaritani si ritenevano inferiori. E' chiaro che quando si incontravano il Giudeo faceva valere la propria superiorità e, per reazione, un Samaritano cercava di aggredirlo per uscire dall'inferiorità. Gesù che fa per uscire da questo cliché? Gesù si rivolge alla donna manifestando il suo bisogno, cioè dal basso. Esprimendo il suo bisogno Gesù esce dalla superiorità e si mostra come vulnerabile, "inferiore". Per questo si può aprire un dialogo, altrimenti impossibile, con la donna "nemica".
Nel rapporto con gli altri possiamo anche noi usare la prospettiva "dall'alto" o quella "dal basso".
Quella dall'alto dice: "Voglio... pretendo... tu non fai mai così... tu devi... tu mi devi...". Io ti rinfaccio ciò che tu non fai per me; tu ti senti inferiore, umiliato, giudicato e in genere contrattacchi. Quella dal basso invece dice: "Mi piacerebbe se... mi aiuteresti... io avrei bisogno di... quando tu-io...". Io mi mostro vulnerabile, bisognoso: non c'è nessuna aggressività ma solo un'apertura di cuore.
Dall'alto: "Non vieni mai a trovarmi". Dal basso: "Mi farebbe tanto piacere se tu venissi a trovarmi".
Dall'alto: "Torni sempre tardi. Se mi amassi torneresti prima, invece non te ne frega niente di me". Dal basso: "Mi aiuterebbe e mi farebbe sentire più amata, voluta, se tu tornassi un po' prima".
Dall'alto: "Studiare è tuo dovere!". Dal basso: "Papà e mamma sono felici e orgogliosi di te quando vai bene a scuola".
Dall'alto: "Deficiente... stupido... stronzo" (oppure quando uno alza la voce; oppure la chiusura, l'ostruzionismo, la presa in giro o il silenzio). Dal basso: "Quando alzi la voce mi fai molta paura e poi mi viene da chiudermi".
Imparo ad esprimere (dal basso) ciò di cui ho bisogno invece che di pretenderlo (dall'alto). Imparo ad amarmi ascoltando i miei bisogni prima di essere distrutto da loro. Non ho una televisione in testa dove si vede tutto ciò di cui ho bisogno.
"Ho bisogno di stare più tempo con te..." invece di: "Tu pensi a tutto ma mai a me". "Ho bisogno di carezze e di coccole da te..." invece di: "Se mi amassi sapresti di cosa ho bisogno". "Ho bisogno del tuo ascolto"... invece di: "Tu ci sei per tutti e non per me". "Ho bisogno di fermarmi"... prima di esaurirmi o di andare in tilt. "Ho bisogno di esprimere il mio pianto..." prima che diventi una crosta di durezza e impenetrabile. "Ho bisogno di smettere di scappare da me e di raccontarmela"... prima di non sapere più chi sono.
Sono i miei bisogni e tocca a me ascoltarli, incontrarli e dissetarli.
"I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi" (Gv 4,8).
Tutti sono andati in città e lasciano Gesù solo? Strano! Ma Gv ha bisogno di questo in modo da lasciare Gesù solo con la Samaritana. Gesù è il nuovo Osea (sposo) che rifà la proposta d'amore alla sposa.
"Ma la Samaritana gli disse: "Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani" (Gv 4,8).
La donna è esterrefatta, allibita: com'è possibile che tu chiedi aiuto a me? Mai questa donna avrebbe potuto rivolgersi a Gesù. E qui c'è il principio dell'amore.
Se la persona non può andare da Dio è Dio che va da lei. E non importa la sua condizione. E per quanto la morale, la società, possano condannare, emarginare e rifiutare una persona, Dio mai rifiuta nessuno! Se tu non puoi andare da Lui perché ti senti troppo in colpa, perché ti vergogni troppo, perché ti senti uno schifo, un niente, è Lui che, senza chiederti nulla, viene da te perché tu ti possa sentire amato e tu possa ritrovare dignità e stima in te.
Quando tu dici: "Dio non mi vuole; non me lo merito; l'ho combinata troppo grossa", è il tuo cuore che parla così ma non il cuore di Dio. Il suo ti dice: "Il mio amore non dipende da ciò che tu fai: non ha condizioni". E quando si sente quest'amore: 1. si conosce chi è Dio; 2. si conosce la Pace vera.
"Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva"." (Gv 4,10).
Se tu conoscessi il dono di Dio: Gesù non la rimprovera, non la minaccia, ma come Osea le fa una nuova proposta: "Non hai neanche idea di quale amore tu puoi vivere e conoscere!".
Le persone a volte dicono: "Io non credo... Dio non mi dice niente... io non faccio come quelli che vanno in chiesa e poi... Dio non ti dà da mangiare... non mi serve credere...". "Peccato!: non sai quello che ti perdi!".
E' come se uno ti dicesse: "Ti regalo un milione di euro". "No grazie!". "Ma come!?". Lo rifiutiamo perché conosciamo un "altro" Dio, ma se conoscessimo veramente Gesù... è irresistibile!
"Gli disse la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?"." (Gv 4,11).
"Signore". Prima lo aveva chiamato "Giudeo" (Gv 4,9); adesso "Signore" (Gv 4,11); poi "Profeta (Gv 4,19); poi "Messia (Cristo)" (Gv 4,25.29). La donna ha gradualmente visto e capito chi è quell'uomo.
"Tu non hai un mezzo". La Samaritana pensa che l'acqua (=l'amore di Dio) debba essere ottenuta con un mezzo: penitenza, digiuno, sacrificio, merito, non peccare, ecc. Questo è il pozzo-frear. Non sa che il dono di Dio è gratis: il pozzo-peghé.
"Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge" (Gv 4,12).
Sei tu più grande...: sì! La Samaritana è disposta a cambiare le sue idee. Secondo i profeti l'acqua viva sgorga dal tempio di Gerusalemme. Ma adesso l'acqua viva sgorga dal (costato di) Cristo.
"Rispose Gesù: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete (=acqua della Legge, del Tempio); ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna"." (Gv 4,13-14).
"Signore - gli dice la donna - dammi quest'acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua" (Gv 4,15).
Perché quest'acqua disseta? Perché la devi solo accogliere, bere. Tu non devi far niente per averla: meriti, digiuni, preghiere, offerte, santità, ecc. Basta solo che tu l'accolga!
"Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna": quest'acqua, dice Gesù, ce l'hai addirittura dentro di te. Non è più fuori, esterna, ma lo Spirito d'Amore è dentro di te.
"Signore dammi di quest'acqua". La donna è disposta a fare quello che Nicodemo non riusciva a fare (Gv 3): a cambiare, a ri-nascere, ad abbandonare il vecchio per il nuovo. La donna è disposta a lasciare il pozzo della legge per la sorgente dello Spirito che è Gesù.
I Samaritani, rappresentati da questa donna, sono i primi che comprendono la volontà di Dio che si manifesta a Gesù.
Ebbene i samaritani rappresentati da questa donna, eretici lontani da Dio, sono quelli che per primi comprendono la volontà di Dio
C'è una costante in tutti i vangeli che non deve cessare di farci riflettere perché è un monito: più si è lontani dalla religione e più è facile percepire la presenza di Dio. Perché la religione era un sistema chiuso, rigido, escludente tutto ciò che non era come lei stabiliva.
"Le dice: "Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui". Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: "Hai detto bene: "Io non ho marito". Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero" (Gv 4,16-18).
Quando si arriva qui uno si chiede: "Ma cosa c'entra questo? Che fa Gesù, il moralista?".
Se uno non sta attento legge così: la donna è un po' vivace e ha avuto cinque mariti e adesso è con un altro. Insomma, un bel tipetto a cui giustamente Gesù tira le orecchie. Ma è proprio così?
Ma di cosa sta parlando Gesù? Sta parlando che l'acqua (la fede) della donna non disseta. I Samaritani avevano sui loro cinque colli costruito cinque templi (2 Re 17,24-41) per le loro divinità. Ecco i cinque mariti: i cinque templi! La donna ha "sposato" quel modo di credere.
Ecco l'impedimento ad accogliere il dono di Gesù: l'idolatria. Cos'è l'idolatria? E' un'ideologia, uno schema, un modo di pensare, di credere di interpretare la realtà, che si mette al primo posto e a cui tu dedichi e doni la tua vita. Una volta, troviamo tracce anche nella Bibbia, vi era perfino il sacrificio umano (il Dio Moloch; 2 Re 23,10): oggi c'è il lavoro, l'apparire, la paura di rimanere da soli, la paura di non essere importanti o riconosciuti, l'alcol, l'attaccamento ad una persona, ma perfino certe false credenze o fedi religiose, ecc.
Gli idoli tolgono la vita; il Dio di Gesù, invece, dà la Vita: questa è la differenza.
La domanda fondamentale è "Questo idolo, questo mio criterio di scelta, mi fa vivere di più? Mi rende più vivo? Più capace di esprimermi, di amare e di donarmi?". Se no, è un idolo.
Il parroco del villaggio non ne poteva più del rumore dei bambini che giocavano fuori dalla sua finestra finché lui diceva le preghiere. Così per sbarazzarsi dei bambini disse: "Andate al fiume a vedere il mostro terribile che c'è lì, che lancia fiamme dalle narici". Il cappellano sorrise capendo lo stratagemma. La notizia si diffuse velocemente: non solo i bambini ma tutto il villaggio corse al fiume. Anche il cappellano ci andò per ridere un po' della bufala... e, con sua grande sorpresa, si accorse che c'era anche il parroco: "Ma che ci fa anche lei in coda per vedere il mostro al fiume?". "E' vero che l'ho creata io la storia... ma non si sa mai!". Gli uomini spesso si creano i propri idoli e poi gli servono!
"Gli replicò la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta"." (Gv 4,19).
Gesù prima era un "giudeo" (Gv 4,6), poi diventa "signore" (4,15), adesso è un "profeta" (4,19).
E' un cammino progressivo di questa donna che scopre un po' alla volta (come tutto d'altronde!) chi è Gesù.
"I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare" (Gv 4,20).
Qui si vede benissimo che la donna ha capito che "i cinque mariti" non erano affatto una questione coniugale, infatti pone la domanda sul culto.
"Questo monte": è il monte è Garizim, proprio a ridosso del luogo dove c'è il pozzo.
La donna dice: "Ma se non è questo il culto (Garizim), dove allora devo adorare Dio?".
"Gesù le dice: "Credimi, donna, è giunto il momento (lett. "viene l'ora") in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei"." (Gv 4,21-22).
"Perché la salvezza viene dai Giudei": è Gesù stesso che viene dalla Giudea (Lc 2,4: Betlemme di Giudea).
I Samaritani, inoltre, accettavano solo la Torah ma non i Profeti (come i Giudei), dove si rivela gradualmente il volto di Dio.
"Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4,23-24). E' una frase ancor oggi troppo lontana dalla nostra sensibilità.
"Spirito"=dinamismo di vita di Dio che si comunica all'uomo: l'amore. "Verità"=ciò che rende vero l'amore. Oggi potremmo tradurre: "amore fedele". Cosa vogliono dire questi versetti?
1. Tu sei cercato: "Lui ti cerca per darti la Vita". Dio è innamorato di te. Lui ti cerca.
L'antico culto era basato su ciò che l'uomo doveva fare per Dio: offrirgli il primogenito, le primizie, un giorno (il sabato), ecc. La Bibbia dice: "Nessuno si presenti davanti a Dio a mani vuote (Es 23,15)". Dio chiedeva all'uomo: "Dammi questo... dammi quello... fammi questo... sii così... non fare questo...". Oggi noi diremo: preghiere, digiuni, rosari, messe, offerte, penitenze, riti, ecc.
Con Gesù la fede non è più ciò che l'uomo fa per Dio ma ciò che Dio fa per l'uomo. Lui è venuto per darci Amore, Vita e vita piena e per sempre. Lui vuole me. Lui ha fiducia in me. Lui ama me per come sono.
Dio non si conquista più: "Ma andrò in paradiso? Ma che Dio mi voglia? Con tutto quello che ho fatto!? E se per caso faccio un peccato prima di morire?": basta! Dio mi vuole. Io devo solo dirgli: "Sì".
2. E' finito il tempo dei templi, del culto. Dare culto a Dio, adesso, vuol dire "dare Vita agli uomini". Cioè: tu accogli il suo dono (l'Amore, la Vita) e poi lo ri-doni agli altri. Dio cerca questi adoratori, quelli cioè che si sono lasciati trovare da Lui, che hanno ricevuto la Vita da Lui e adesso, a loro volta, donano ciò che hanno ricevuto, non a Dio, ma agli altri.
Il Signore non si aspetta doni dagli uomini ma egli si fa dono per loro: "Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo, né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà vita a tutti la vita e il respiro e ogni cosa" (At 17,24-25).
Il criterio della fede, quindi, non è cosa fai per Dio (devozione a Lui) ma ciò che fai per l'uomo: l'amore. Dio non ti chiede di amarlo ricambiando ciò che Lui ha fatto per te ma di amarlo negli uomini.
Un giorno un uomo ateo andò al monastero dal maestro e gli chiese: "Chi è Dio?". "Tu lo sai già chi è!". "No, maestro, non so chi è!". "C'era un uomo svenuto in mezzo alla strada: forse dormiva o forse era morto, non si capiva. Passò un buon cristiano e si disse: "Perché svegliarlo, se dorme!". Poi passò una suora e si disse: "Meglio non svegliarlo, magari è un tossicodipendente; se lo sveglio poi s'arrabbia con me". Poi passò un uomo molto religioso e vedendolo pensò: "E' morto", e così disse una intensa preghiera per lui. Infine passò un uomo e, vedendolo, si fermò, si chinò e gli chiese: "Scusi, sta male? Ha bisogno di qualcosa? Posso aiutarla?". E continuò il maestro: "Chi, secondo te, lo ha amato?". "L'ultimo, ovviamente!".
"Vedi - disse il maestro - te l'avevo detto che conoscevi già Dio!". E continuò: "E adesso ti farò io una domanda: "Che cosa ha fatto Dio in quella situazione?". E l'ateo: "Ha fatto l'uomo svenuto sulla strada!". "Perfetto, adesso, sai tutto su Dio".
Pensiero della Settimana
Signore quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo.
Quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di una bevanda.
Quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare.
Quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare.
Quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro.
Quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno.
Quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento.
Quando sono umiliato, fa' che io abbia qualcuno da lodare.
Quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare.
Quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia.
Quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi.
Quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su di un'altra persona.
(Madre Teresa di Calcutta)

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