Fr.Massimo Rossi"Tentazioni"

Il racconto della Genesi contiene alcune indicazioni particolarmente interessanti. Cominciamo dalla fine: "Allora si aprirono loro gli occhi...": non è facile illuminare questa citazione biblica; sembra quasi che il peccato originale sia per così dire funzionale all'uomo, affinché prenda coscienza di sé... Il testo non lascerebbe dubbi; si potrebbe ancora distinguere tra ‘post hoc', o ‘propter hoc', come facevano gli antichi: in altri termini, ci chiediamo:
A: la presa di coscienza della nudità è un fatto che accadde semplicemente dopo il peccato - post hoc - senza un legame causa-effetto con lo stesso?
B: oppure fu proprio il peccato - propter hoc - a produrre in Adamo ed Eva la consapevolezza di essere nudi?
Optando per la soluzione A, il problema non si pone e la coscienza di sé non è condizionata dal peccato; optando invece per la soluzione B, il peccato originale diventa la condicio sine qua non per raggiungere la coscienza di sé; voi capite, dalla scelta di una soluzione anziché dell'altra, dipende la valutazione morale del peccato originale, se il peccato sia o no un aspetto essenziale (necessario) per la crescita della persona, e
dunque determinante il grado di libertà dell'uomo rispetto al peccato stesso.
Già una volta tentai di interpretare il racconto del peccato originale, inquadrandolo nella riflessione (psicoanalitica) sull'evoluzione della persona: il peccato originale si collocherebbe nella fase adolescenziale, quando cioè il soggetto si contrappone istintivamente al padre, alla madre, disobbedendo, non tanto perché è cattivo, ma per affermare la propria individualità ed autonomia - la classica fase del NO, tipica del bambino, e poi dell'adolescente -; ripeto, si tratta di una fase di passaggio, pertanto transitoria, che conduce - almeno dovrebbe - a riconoscere i valori in quanto tali e non perché ‘...lo dice papà'. L'emancipazione passa attraverso la contrapposizione polemica, intergenerazionale mai del tutto indolore, anzi, talvolta addirittura violenta; l'ingresso nella maturità è segnato dalla graduale attenuazione dei conflitti e dal riconoscimento del principio di interdipendenza, non più vissuta come castrante, bensì come garanzia di libertà, all'interno della relazione. Perché la libertà vera si gioca non evitando le relazioni, ma giocandosi interamente all'interno di esse. Del resto l'identità della persona si matura solo nel rapporto intersoggettivo.
Naturale o non naturale, colpevole o non colpevole, la verità è che il rapporto tra Dio e la coppia perfetta va in crisi. Niente sarà più come prima. Tuttavia le conseguenze non sono poi così disastrose... Emergono le fragilità dell'uomo e della donna, ma anche le potenzialità di bene iscritte nel loro, nel nostro DNA. L'uomo impara a lavorare, impara a gestire una famiglia, nella quale ci sono problemi di gelosia, di invidia,... insomma, tutti i conflitti e le questioni che animano le relazioni ordinarie di una famiglia ordinaria. Come vedete, l'operazione di de-sacralizzazione di questa pagina della Genesi non svilisce il racconto, al contrario lo rivaluta, rendendolo più vicino a noi... "Sbagliando si impara", dice il proverbio; e dagli errori dei padri, i figli possono trarre preziose lezioni di vita per il loro futuro.
Quale lezione riceviamo dai nostri progenitori? La prima è che nella vita non tutto è facile, non tutto è dovuto... la vita è un continuo banco di prova e le prove più grandi non ci vengono dall'esterno, ma dall'interno di noi stessi. È il nostro egoismo, è il nostro orgoglio, sono i nostri istinti, le nostre pulsioni.... Non si tratta di situazioni ineluttabili, contro le quali non possiamo che assistere impotenti. Egoismo, orgoglio, pulsioni ci sono e lavorano dentro di noi, producendo conseguenze potenzialmente nefaste; si tratta di drammatiche possibilità di errore - e sottolineo, errore! -. Dobbiamo imparare a fronteggiare i nostri lati oscuri, senza negarli; pena, il rifiuto del confronto con noi stessi; talvolta vince la ragione e con essa la virtù, talvolta vince l'istinto e prevale il vizio... Cinismo? direi no, realismo! E visto che ho parlato di realismo, per amore di realtà e soprattutto (per amore) di verità, è necessario riconoscere i nostri lati migliori e quelli peggiori; ma non basta! È necessario imparare a lottare contro i nostri difetti, contro le nostre imperfezioni... per limitarne almeno i danni, dentro e fuori di noi. Se non inseriamo la dinamica del combattimento spirituale all'interno del normale corso della vita, come variabile funzionale e non disfunzionale al sistema, in una diuturna ricerca di perfezionamento a tutti i livelli della persona - in gergo cristiano parliamo di conversione -, l'evento della Rivelazione sarà stato del tutto inutile, almeno per noi. In altre parole, la Bibbia non basta leggerla, non basta conoscerla a menadito - magari! -; se non diventa anche regola di vita spirituale e criterio determinate di giudizio e di scelta morale, la Bibbia si riduce ad un'epopea, una grandiosa storia mitologica come tante altre e, diciamocelo, neppure la più entusiasmante...
Ho già parlato delle tentazioni? Anche queste sono presenti nella vita cristiana, non la smentiscono, non la sviliscono ad un meschino atteggiamento ipocrita... ma la confermano. Sembra paradossale, lo so, ma è la pura verità! Le nostre tentazioni ci mettono nelle condizioni di far valere la fede! Non diciamo forse che la fede si prova nella cattiva sorte, piuttosto che in quella buona? In realtà anche questo è un errore, nel senso che dovremmo imparare a vivere anche i momenti positivi della vita alla luce della fede, rendendo grazie del bene che talvolta scopriamo in noi e negli altri; grazie a Dio c'è anche quello ...grazie a Dio!
Comunque, oggi il Vangelo ci parla di tentazioni, quelle di Gesù, che sono poi le stesse tentazioni degli uomini e delle donne, le nostre tentazioni quotidiane. Oh bene, parlando di tentazioni, comincio col dire che le tentazione non ce le manda il Buon Dio! non sarebbe Buono. Dio non fa questi giochetti con noi... non ci mette alla prova per vedere se siamo capaci di reagire con la fede. Ci sono voluti venti secoli per capirlo, ma alla fine ci siamo arrivati... meglio tardi che mai! Il testo del Padre Nostro, è stato modificato nella sua conclusione, è bene ripeterlo qualche volta, nella speranza che prima o poi anche i libri liturgici correggano il testo ufficiale: "Non ci abbandonare nella tentazione". Però, però, però... anche qui, non è mica vero che Dio ci abbandona nelle tentazioni: siamo noi che abbandoniamo Dio nei nostri momenti difficili. Un po' come quando un bambino che cammina tranquillo per mano a suo papà, improvvisamente dà uno strattone, si libera della presa e se ne va per i fatti suoi... è un errore? Non è detto, cioè sì, cioè no... Che l'uomo voglia fare di testa sua, non significa che sicuramente sbaglierà; significa che, in caso di bisogno, non potrà fare affidamento sull'aiuto immediato di Dio, visto che si è volontariamente allontanato da Lui. Ecco che ritorna l'immagine di Adamo e di Eva, i quali hanno preferito fare di testa loro e, quando si son trovati davanti al Tentatore, non sono stati capaci di resistergli perché Dio non era più con loro, o, meglio, perché loro non erano più con Dio.
Mi fermo. Si è fatto tardi... Vi ricordo soltanto che, tra i nomi del nostro Dio, ce n'è uno abbastanza recente, che allude proprio alla vicinanza di Dio: "Emmanuele", letteralmente "Dio-con-noi". Chi ha orecchie per intendere......... Buon cammino di Quaresima a tutti!
"Il dono della Grazia non è come la caduta..."
San Paolo

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