GIANCARLO BRUNI«Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo»

4ª domenica di Quaresima.
Eremo delle Stinche - Panzano in Chianti
1. «Tu, chi sei», chiedono a Gesù (Gv 8,25), «noi chi siamo», sovente domandiamo a noi stessi, e  la Chiesa chi è? La domanda della identità non può essere elusa, e con essa una ricerca che a tratti diventa invocazione e paziente attesa. Una ricerca a cui viene incontro la pagina evangelica del cieco nato con i suoi alti frammenti di luce. A cominciare dalla domanda su Gesù di Nazaret.
2. Ma chi è mai quel compagno di viaggio provato, trasfigurato, mendicante di acqua e sorgente d'acqua pura? Di certo è un interrogativo permanente per ogni generazione di ieri, di oggi e di domani e mai conclusi sono gli abbozzi di risposta, e mai conclusa è l'attenzione alle testimonianze date su di lui, tra cui quella del cieco sin dalla nascita il cui itinerario alla conoscenza di Gesù riassume quello della comunità giovannea. Un cammino dalla non visione alla visione attraverso una serie di passaggi che meritano di essere sottolineati: Gesù è un «uomo» (Gv 9,11), è un
«taumaturgo» (Gv 9,7.11.13.16.30.33), è un «profeta» (Gv 9,17), è il «Figlio dell'uomo» (Gv 9,35-38) l'«Inviato» (Gv 9,7). Punto di partenza per una equilibrata conoscenza di Gesù è la sua umanità: quel suo camminare tra gli uomini ad occhi aperti: «passando vide» (Gv 9,1); quel suo intendere il giorno dato a vivere come passaggio nella luce (Gv 9,4-5) prendendosi cura della realtà malata e plasmandola, come nell'in principio (Gen 2,7), in creatura nuova (Gv 9,6-7); e quel suo negarsi a teorie retributive che legano malattia e peccato (Gv 9,2-3).

Quel cieco e i suoi genitori  non avevano  bisogno di colpevolizzazioni ma di cura, e in questo Gesù svela la volontà e l'opera di Dio (Gv 9,3). Una umanità che dischiude il cieco alla lettura di Gesù come «profeta»(Gv 19,17) : «So che viene da Dio»(Gv 9,33) a compiere la volontà di Dio in parole e opere, e quella di Dio è volontà di bene, è che l'uomo da cieco diventi veggente: «ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9,25).

Questo camminare progressivo verso la conoscenza di colui che lo ha guarito è portato a compimento  dallo stesso Gesù: «Tu, credi nel Figlio dell'uomo?...E chi è, Signore, perché io creda in lui?...Lo hai visto: è colui che parla con te…Credo, Signore. E si prostrò dinanzi a lui» (Gv 9,35-38). Ove Figlio dell'uomo equivale a Inviato dal Padre a radunare gli uomini per renderli partecipi del dono di una vita da figli amati in rapporto a Dio, da creature che amano in rapporto al prossimo e da eredi in rapporto all'eternità. Tale Figlio è Gesù il Signore, un credere che diventa adorazione.

3. L'itinerario del cieco nato è la trascrizione del cammino della Chiesa giovannea alla identificazione di Gesù, e di conseguenza alla propria identificazione ecclesiale. Chiesa come assemblea che «conosce»: quell'uomo, quel profeta e quell'inviato di nome Gesù è il Figlio venuto a dare vita. Chiesa come assemblea che «adora» e che «testimonia», la testimonianza del cieco nato dinanzi alla sinagoga da cui si distingue proprio per la sua lettura di Gesù (Gv 9,34), la testimonianza poi del farsi carico del dolore del mondo passandovi facendo luce con l'amare. Chi è allora la Chiesa? È l'insieme dei tu che sanno da dove viene e perché viene quell'Uomo-Figlio; è l'insieme dei tu che lo adorano a nome di tutti e del tutto; è l'insieme dei tu che lo raccontano come sapienza agli indotti, come luce alle molteplici cecità, come amore negli odi e come vita nella morte.

Una identità che non deve far paura. Lo stesso conflitto con la sinagoga, palese nella pagina giovannea, deve poi lasciare il posto a un amore sconfinato per la stessa sinagoga. Nel cristianesimo la verità non è qualcosa di diverso dall'amore e l'amore dalla verità. Che fare allora? Null'altro che rituffarci nella piscina a cui l'Inviato ci manda, l'acqua dello Spirito che libera dalla cecità e rende veggenti circa Cristo, il mistero della Chiesa e in definitiva di ciascuno costituito essere di conoscenza, di adorazione e di testimonianza.

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