Luigi Gioia" Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato"

dom Luigi Gioia
I Domenica di Quaresima (Anno A) (09/03/2014)
Vangelo: Mt 4,1-11
In questa prima domenica di Quaresima, le letture della liturgia ci propongono la pagina del libro della Genesi nella quale si parla del primo peccato dell'uomo, o piuttosto della prima volta nella quale satana insinua nel cuore dell'uomo un dubbio sull'amore del Padre. In parallelo abbiamo poi la pagina del vangelo nella quale satana cerca di operare la stessa strategia con Gesù, però fallendo.
Vi è un grande contrasto nello scenario: nella prima lettura siamo in un giardino, nel vangelo siamo in un deserto. Il giardino è il mondo quale è uscito dalle mani di Dio, questo mondo nel quale egli fece germogliare ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da
mangiare, questo mondo che egli aveva creato per l'uomo e la donna, per la loro felicità. Nel vangelo invece siamo nel deserto, nell'assenza di ogni vita, nell'assenza di ogni forma di vegetazione, in una desolazione, in una solitudine, in un paesaggio che ovunque suggerisce la morte. E' il risultato, questo, non dell'azione di Dio, ma della ribellione dell'uomo.
Dio è colui che ha creato il primo giardino ed è colui che in Gesù viene di nuovo per trasformare il deserto che noi abbiamo creato con il nostro peccato in un giardino nel quale rifiorisce la vita, una vita legata intimamente alla fiducia che abbiamo nel Signore, legata alla nostra capacità di ricevere tutto dalle mani di Dio come dono.
Nella prima lettura, la storia di peccato dell'umanità è fatta risalire proprio al dubbio che il serpente riesce ad insinuare nel cuore dell'uomo:
"Si, è vero, Dio vi ha creati, vi ha plasmati, ha soffiato il suo spirito in voi. Si, è vero, Dio ha creato questo giardino nel quale siete sereni, siete felici. Ma siete sicuri che questo giardino sia veramente un luogo di felicità, di gioia, di serenità, oppure non sia una prigione? Non sia un luogo nel quale Dio vi ha rinchiusi per impedirvi di pensare, per impedirvi di prendere coscienza della vostra vera grandezza? Siete sicuri che Dio sia veramente un Dio che vi ama e non sia invece un Dio geloso, un Dio che ha paura di voi, un Dio che vuole impedirvi di realizzarvi? Un Dio che vuole che dipendiate da lui interamente, non per amore, ma per tenervi in schiavitù, per dominare su di voi?"
La prima lettura insiste sul cambiamento dello sguardo, prima della donna, e poi dell'uomo e della donna insieme. Dopo le parole di Satana, la donna percepì l'albero in modo diverso, non più come un dono di Dio, ma come qualcosa di buono da mangiare, qualcosa di gradevole agli occhi e desiderabile, qualcosa di cui impadronirsi a qualsiasi costo. Laddove il Signore l'aveva prevenuta di un pericolo, la donna percepisce invece qualcosa di stimolante, di euforico, che suscita un desiderio di trasgressione. A questo primo cambio di sguardo ne succede un altro ancora più drammatico: subito dopo la trasgressione, gli occhi dell'uomo e della donna si aprono ed essi conobbero di essere nudi. Sentono per la prima volta il bisogno di ripararsi dallo sguardo l'uno dell'altro perché si rendono conto di essere improvvisamente diventati non più strumento di reciproco amore e di rispetto, ma oggetto di concupiscienza, oggetto di desiderio disordinato e di conquista.
Tutto verte dunque intorno al modo nel quale percepiamo Dio, noi stessi, le altre persone e il mondo che ci circonda. La Scrittura ci insegna che il male, la sofferenza, la morte dipendono dal nostro sguardo, dalla nostra percezione. E ci insegna anche che all'origine eravamo usciti dalle mani di Dio con occhi che in tutto -nel mondo, negli altri, nel nostro corpo- percepivano un segno di amore, una grazia, un dono.
Nulla ci rende più felici del fatto di ricevere un dono, ma ancora di più ci rende felici sapere che una persona ci fa questo dono per amore. Proviamo gioia non prima di tutto, non solo per la bellezza dell'oggetto che riceviamo, ma per il gesto di amore di cui è l'espressione.
Nulla invece ci insospettisce maggiormente, nulla ci richiude maggiormente in noi stessi, nulla giunge addirittura a renderci più cinici del ricevere un regalo da una persona che non conosciamo o da una persona delle cui motivazioni non siamo sicuri. Un tale regalo invece di farci sentire amati ci fa sentire minacciati, in pericolo di diventare ostaggi della gratitudine, del senso di obbligo nei quali qualcuno sta cercando di trarci.
Il segreto della nostra gioia, della serenità nella nostra relazione con il Signore, risiede in questo: nella percezione di tutto quello che abbiamo, di tutto quello che siamo, come dono e come dono di amore. Ma questo, lo sappiamo, non è sempre facile. Nella vita non viviamo solo esperienze positive e a volte è difficile percepire tutto quello che ci succede come dono.
E' probabilmente più facile riconoscere come dono di Dio un certo agio da un punto di vista materiale oppure l'aver ottenuto un lavoro, o ancora una vita familiare serena. Queste cose possono essere percepite come doni del Signore. Ma cosa dire invece delle prove, delle difficoltà, dei momenti di dubbio, delle malattie, dello sconforto, di tutte le prove che necessariamente prima o poi attraversiamo? Come riconoscere anche in esse un dono del Signore? E' qui che il Vangelo interviene per farcelo capire.
Gesù non si trova in un giardino nel quale tutto è bello e buono, nel quale è facile riconoscere in tutto un dono del creatore, un dono di Dio. Gesù si trova in un deserto, può morire di fame e di sete, è in pericolo, è minacciato. Nuovamente, allora, si presenta il serpente, satana, con la sua stessa strategia di sempre: insinuare il dubbio. Sa di aver a che fare con il Figlio del Padre e allora il dubbio cerca di insinuarlo proprio qui, proprio sull'amore del Padre.
"Se Dio fosse veramente tuo Padre, se Dio veramente ti amasse, se si occupasse veramente di te, non ti avrebbe condotto lì dove sei, non ti avrebbe esposto alla fame e alla sete in questo modo, non ti avrebbe lasciato solo".
La cosa da notare nella risposta di Gesù alle tentazioni del diavolo, è che non cerca di discutere, non cerca di spiegare al diavolo perché si trova nel deserto, non cerca di difendere neanche l'azione del Padre. E già in questo riconosciamo un insegnamento fondamentale di Gesù: la inevitabili sofferenze che prima o poi incontriamo nella vita, le prove che attraversiamo, sono un mistero, non le possiamo capire. La sola cosa che sappiamo è che Dio è buono, che ci ama, che mai permetterà un male per noi. Dio non vuole il male, Dio vuole solo il bene per noi. Sappiamo che non è lui ad aver introdotto il male nel mondo, ma nel contempo sappiamo che la storia è nelle sue mani, anche se la sua maniera di gestirla è spesso incomprensibile.
Riconoscendo in queste prove, in queste sofferenze un mistero, non commettiamo l'errore di pensare che la nostra fiducia in Dio consista nella capacità di dare a noi stessi o al tentatore delle spiegazioni. La fiducia nell'amore del Padre, la fiducia in Dio è qualcosa che abbiamo o non abbiamo, che non sappiamo spiegare a noi stessi; non è il risultato di un discorso logico, una conclusione razionale, ma è piuttosto un atteggiamento fondamentale, è uno sguardo sulla realtà, una maniera particolare di percepire tutti gli eventi della nostra vita.
Chiediamoci allora: vogliamo guardare la nostra vita con gli occhi che avevano Adamo ed Eva prima che il dubbio si insinuasse nel loro cuore oppure con lo sguardo che acquisirono dopo che il serpente li condusse a dubitare dell'amore del Padre?
Gesù vuole farci ritrovare questo sguardo originale, libero, fresco, nel quale in tutto riconosciamo un dono. Già adesso, già nel mezzo della prova, possedere questo sguardo diventa sorgente di felicità. Saper riconoscere anche nel deserto, anche nella fame e nella sete un dono del Padre, ci da accesso ad una gioia immediata e paradossale. Non lo abbiamo forse già sperimentato? In cosa, infatti, abbiamo trovato conforto nei momenti di prova se non proprio in questo? Metterci davanti al Signore e ritrovare nel nostro cuore la sicurezza riguardo al suo amore, riguardo al fatto che si occupa di noi, che è con noi.
Questa è la risposta da dare al tentatore, al diavolo - la risposta a tutti i dubbi che possono insinuarsi nel nostro cuore. Questo è ciò che trasformerà profondamente e veramente la nostra vita da deserto in giardino. Questo è ciò che aprirà la nostra vita all'azione del Signore.
Il passaggio del vangelo di oggi si conclude in questo modo: Il diavolo lo lasciò (lasciò Gesù) ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Giungerà sempre il momento nel quale il mistero ci sarà svelato, il momento nel quale capiremo il perché delle prove, delle sofferenze, delle difficoltà che abbiamo incontrato nella nostra vita; giungerà sempre il momento nel quale il dono diventerà apparente, evidente.
Nel frattempo, contiamo sulla nostra fede e sulla nostra speranza. Non cessiamo di ricordarci, di fare memoria, attraverso la parola di Dio, attraverso anche il ricordo delle esperienze della nostra vita - non cessiamo di fare memoria dell'amore di Dio per noi, di tutte le volte che ci ha mostrato quanto siamo importanti per lui, quando siamo preziosi ai suoi occhi, quanto si occupi di noi. In questa fede, in questa speranza, riponiamo tutta la nostra fiducia, già adesso. Questo ci darà la consolante consapevolezza che tutto quello che viviamo è dono. Già adesso, questo schiuderà il nostro cuore alla felicità, alla serenità, all'apertura nei confronti del Padre e già adesso questo ci predisporrà a ricevere il soccorso, l'aiuto del Padre, quando e come lui deciderà.

Commenti

Post più popolari