Mons. Roberto Brunelli"Parole memorabili cui si lega la speranza"

V Domenica di Quaresima (Anno A) (06/04/2014)
Vangelo: Gv 11,1-45
Domenica prossima cominceranno i riti pasquali, che culmineranno la domenica successiva, con la celebrazione della risurrezione del Signore, la festa della vita. Le scorse domeniche l'hanno preparata, parlando della vita eterna con gli episodi della samaritana al pozzo e del cieco nato; oggi il discorso si fa più esplicito, col racconto (Giovanni 11) di Gesù che richiama in vita il suo amico.
La risurrezione di Lazzaro è una delle pagine più impressionanti del vangelo. Inaspettatamente, imperiosamente, Gesù comanda di aprire il sepolcro di un uomo morto già da quattro giorni e a gran voce gli ordina "Vieni fuori!": gesti e parole che mettono i brividi, ancor prima di vederne l'esito. Egli manifesta qui tutta la potenza della sua divinità, dopo aver espresso tutta la tenerezza della sua umanità: la morte dell'amico l'aveva commosso sino alle lacrime. E quanta naturalezza, quanta umana verità nel quadro in cui egli si muove: una sorella del morto piange, l'altra si lamenta, vicini e parenti si affollano a consolarle (non rinunciando a qualche critica), sino al particolare crudo del morto che dopo quattro giorni "già manda cattivo odore". Parole e gesti da brivido si collocano in un contesto di normalità, quella inquietante normalità di cui tutti abbiamo dovuto fare esperienza.Lazzaro esce dal sepolcro, e vivo al punto che qualche giorno dopo il vangelo lo riprende seduto a banchettare con Gesù. Lo strepitoso miracolo può suscitare però un interrogativo: fortunato, Lazzaro, ad avere un amico come quello, capace di riportarlo ai suoi affetti, alla sua vita; ma Gesù non dimostra qui una inaccettabile parzialità? Se era capace di farlo, perché non ha risuscitato anche gli altri morti? Estendendo il discorso: ha guarito il cieco nato di cui abbiamo sentito la scorsa domenica; e gli altri ciechi, perché no? Perché ha risanato soltanto alcuni dei tanti lebbrosi e paralitici e sordomuti eccetera, presenti allora in Israele, per non dire di tutti gli altri, di ogni tempo e paese? Una risposta si trova in quanto accade appena prima della risurrezione di Lazzaro. A Marta che gli esprime il suo rammarico ("Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!"), Gesù risponde con le memorabili parole cui ogni cristiano lega la propria speranza: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno".
Gesù ha compiuto miracoli nel corso della sua vita terrena, certo per compassione verso i colpiti dalla sventura, ma principalmente per mostrare l'inizio di tempi nuovi (il suo Regno, di cui tanto ha parlato), per esemplificare il ben-essere, la felicità di cui, nel suo Regno compiuto (la vita eterna), godranno quanti credono in lui. In coloro che incontrava egli mirava a suscitare la fede; a questo scopo, tra gli altri, si è esplicitamente dichiarato alla samaritana al pozzo e al cieco nato; allo stesso scopo, anche a Marta chiese se credeva nella sua capacità di dare la vita eterna. E la risposta di Marta è il modello di ogni risposta di fede: "Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".
Risuscitando, Lazzaro è stato richiamato di qua ancora per qualche tempo; non sappiamo quanto, ma certo un tempo limitato, rientrando quindi nella norma che assegna un termine alla vita terrena. Ma Gesù può e vuole fare di più: a lui come a tutti gli uomini, nati per la vita e assetati di vita, egli offre quella senza fine, in cui non c'è più posto per lutto e lamento, in cui non ci tormenterà più l'angoscia di dover morire. "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, non morrà in eterno". E Paolo, nella seconda lettura (Romani 8, 8-11), lo ribadisce, prospettando il futuro di chi vive secondo lo Spirito (cioè chi ha fede): "Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi".

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