padre Gian Franco Scarpitta"Vedenti e capaci di larghe vedute"

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno A) (30/03/2014)
Vangelo: Gv 9,1-41
Anche la luce, come l'acqua, è sinonimo ed elemento di vita. La luminosità è effettivamente fautrice e garanzia di ogni sistema vitale e in un ecosistema nel quale non vi sia energia solare difficilmente la vita prenderebbe forma. la pedagogia di Gesù Figlio di Dio a questo riguardo è ben nota: Egli, come via, verità e vita, è la luce del mondo, il cui riflesso viene emanato da quanti, cioè noi, si fanno latori ad altri di codesta luminosità.
L'intervento di Gesù su questo giovane non vedente che tale è sin dalla nascita assume però un carattere del tutto particolare inerentemente alla connessione luce/vita perché ci introduce negli ambiti di novità che Dio Padre apporta nelle parole e nelle opere di Gesù: il Regno di Dio, del quale ogni uomo è destinatario e di cui beneficiano soprattutto i peccatori e gli emarginati. Come nel caso della Samaritana, anche per il cieco nato
si prospetta la novità di vita e di salvezza e anche in questo caso essa ha valore universale e valica i confini e i pregiudizi umani propriamente detti.
Nell'intervento benefico di Gesù, che appone terra mista a saliva sugli occhi dello sventurato non vedente che è tale fin dalla nascita, si raggiunge un duplice obiettivo, o meglio Gesù dimostra quale debbano essere i veri obiettivi: non solamente guarire fisicamente un infermo da un disturbo fisico faticoso, ma anche superare quelle vetuste e vacue congetture, fino ad allora vigenti, di malattia connessa al peccato: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio". La malattia è una realtà misteriosa che reca smarrimento e sofferenza; è uno dei morbi che la nostra società è tenuta a combattere con tutti i mezzi e non sarà mai abbastanza qualsiasi sforzo per arginarla come pure non basteranno tutti quegli atti necessari di solidarietà e di condivisione verso gli ammalati. Come conciliare il dolore e la malattia con la realtà di un Dio giusto e misericordioso, capace di tutto a vantaggio dell'uomo, proclive anche verso i malati. Noi rispondiamo associando l'infermità al patimento di Cristo sulla croce, che è sempre redentivo e di salvezza, e il dolore fisico di ogni uomo è condivisione con tale sofferenza del Dio crocifisso. Nel proprio dolore, l'ammalato contribuisce alla missione di riscatto dei peccati propri e di quelli dell'umanità e già questo è un rendersi solidali e partecipi con il mondo intero nella configurazione della propria sofferenza con quella di Cristo. Soffrire per soffrire non è mai utile e in certi casi diventa anche deleterio. Ma accettare il dolore e la sofferenza in ragione della croce è contribuire alla redenzione e alla salvezza del mondo. Già in questo si evincono le opere di Dio: nel completare i patimenti di Cristo con la croce del suo Figlio. Del resto, come potrebbe palesarsi la misericordia divina se non esistessero situazioni di grave infermità fisica? Come potrebbe Dio mostrarsi onnipotente e Amore se non vi fossero le occasioni di esternare tale misericordia e solidarietà nel dolore? Come nel caso dell'intero libro di Giobbe, nel quale finalmente si sciolgono dubbi ed enigmi sulla permissione divina del male, anche nel caso di Gesù luce del mondo la malattia non è sinonimo di colpa ma diventa occasione di amore e di misericordia.
E in tal caso essa diventa anche occasione di luce perenne e di vita eterna. In effetti che Gesù conceda la vista materiale a questo malcapitato cieco nato, seppure sarà per lui un dono e un vantaggio per il quale essere grato, non costituisce poi un grande favore: se uno è nato non vedente, al recupero della vista dovrà faticare non poco nella distinzione degli oggetti alla percezione sensoriale dei colori e delle immagini. un conto è guarire una cecità acquisita nel tempo, altro è guarire una cecità innata. Nel primo caso si effettua un vero e proprio miracolo per il quale esultare, nel secondo caso si realizza un prodigio certamente piacevole e di grande utilità, ma esso comporterà anche non poche difficoltà.
La verità è che Gesù realizza questo prodigio per proporre se stesso luce del mondo e perché l'uomo acquisisca e viva sempre nella luce che rischiara le tenebre. La luce che illumina ogni uomo rende anche capaci di vista e anzi di larghe vedute, a condizione che si abbandonino i pregiudizi e i parametri umani di giudizio per accogliere e far propri i criteri di Dio che non guarda alle apparenze bensì al cuore dell'uomo.
C'è chi si ostina a non vedere nonostante la luminosità preferendo continuare a brancolare nel buio del peccato e del pregiudizio, come nel caso di tanti e tali farisei e scribi che negando l'evidenza delle grandi opere di Dio sogliono processare e condannare chi ha ottenuto la luce vera pur di non dischiudere essi stessi i propri occhi, ma Gesù non si stanca di renderci capaci di giudizio sano e di retta visione. Egli ci vuole non soltanto uomini vedenti, ma anche di larghe vedute, capaci di superare barriere personali di presunzione e di falso orgoglio per giungere all'obiettivo della conversione e della comunione con lui per la riedificazione del mondo.

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