Alberto Vianello"La fede di chi non crede"Comunità Marango

Letture: At 2,42-47; 1Pt 1,3-9; Gv 20,19-31

Lo  sentiamo vicino a noi Tommaso, portavoce di certe nostre fatiche nella fede: «Se non vedo… se non metto il mio dito… io non credo». Almeno, lui ha avuto il coraggio e la faccia tosta di esprimere la sua incredulità, che pure gli altri hanno avuto (ma non hanno espresso) anche davanti al Signore risorto, stando al racconto di Matteo (cfr. Mt 28,17).
Ma Tommaso non è stato semplicemente impudico e sfrontato. La sua non è una pretesa arrogante ed incredula. Con la sua richiesta rompe le convenzioni di un certo modo di interpretare la fede come la
capacità acritica di accogliere tutto senza dubbi, domande, esperienze.
Anche noi viviamo in un ambiente che è pervaso da un certo perbenismo religioso: «Non bisogna esigere da Dio segni e dimostrazioni. Bisogna affidarsi a Lui…».
Invece, soprattutto quando facciamo fatica nella fede, bisogna avere la franchezza di chiedere senza temere di essere condannati per questo. Franchezza, immediatezza, il non rivestirsi di falsi pudori, l’essere limpidi e diretti, sono tutti elementi dell’atteggiamento (in greco parresìa) più raccomandato dal Nuovo Testamento nel rapporto con Dio.
È l’atteggiamento di Giobbe, che si ribella a tutte le formule preconfezionate e false che condanno l’uomo nel suo dramma, allo scopo di non mettere in discussione una certa immagine di Dio. Invece è proprio quando non si crede che si deve chiamare in causa Dio. Come fa un padre, davanti a Gesù, dopo che gli ha spiegato la gravità della malattia di suo figlio: «Credo; aiuta la mia incredulità!» (Mc 9,24). Credere comporta la consapevolezza della propria incredulità, per la quale si domanda aiuto a Dio.
Così Tommaso non è semplicemente sincero e coraggioso: è uno che, nella sua incredulità, si fida che il Signore lo posso ascoltare ed esaudire, perché egli possa credere.

L’intero episodio narrato nel Vangelo di questa domenica ci mostra che la fede, se deve essere essenzialmente un atto personale, ha bisogno però della comunità: Tommaso, assente, non crede nel Signore risorto; mentre, otto giorni dopo, si trova insieme agli altri quando Gesù si mostra e lui lo può riconoscere.
Ma è bella la dinamica comunitaria che traspare dal racconto. La reazione degli altri discepoli, entusiasti nell’aver visto il Signore, di fronte all’incredulità di Tommaso è di completo silenzio, non lo censurano o condannano. Accolgono la sua incredulità e se ne fanno carico, in un certo senso. Tanto è vero che, otto giorni dopo, Tommaso è con loro, non escluso né condannato, eppure ne avrebbero avuto i motivi: erano stati inviati dal Risorto, avevano ricevuto il dono dello Spirito Santo… non si poteva perdere tempo con chi si dibatteva tutto nei suoi dubbi…
Allora, insieme agli altri, con le responsabilità che si prendono gli altri, Tommaso può veder ascoltata ed esaudita la sua incredulità.
E dal suo coraggio di chiedere, Gesù risorto proclamerà la beatitudine per tutti: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». È ancora il coraggio di chiedere, e di sapere di essere ascoltati, anche quando non si vede una immediata e diretta corrispondenza. Invocare Dio là dove non lo si riconosce e renderlo presente, con il proprio cuore ferito, è provocarlo a nuove risurrezioni.

Ma anche tutti coloro che ascoltano le parole del Signore, come i discepoli chiusi in casa, sono provocati a nuove risurrezioni: «A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati». Anche da risorto, Gesù non dona poteri ma servizi: perdonare il male. Non è il perdono del giudice, parte non in causa, che, con un atto di clemenza, non applica la legge. E’, invece, il perdono di chi è stato ferito, e recupera il rapporto con il suo carnefice. Perdono esigente, difficile, talvolta “disumano”. Solo Dio lo può dire e lo può fare.
Per questo Gesù dona lo Spirito Santo. Ogni volta che, nel mondo, riconosciamo un’opera umana di perdono, lì c’è la presenza di Dio. Così scopriamo che Dio ha tanti figli (coloro che agiscono come Lui agisce) anche fra quelli che non credono. Mentre, fra quelli che dicono di credere e di esprimere la Chiesa, ma vivono la legge e non il perdono (che è sempre al di là di qualsiasi legge), si vive un’incredibile lontananza di fede.

Alberto Vianello

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