Antonio Riboldi "Tommaso, guarda le mie mani"
Un tempo questa domenica, seconda di Pasqua, era chiamata ‘in albis’, ossia, coloro che, per i loro gravi peccati, erano stati invitati dal vescovo ad una Quaresima di conversione e di penitenza, durante la Veglia pasquale partecipavano alla gioia della ritrovata innocenza con la riconciliazione e, quindi, come bambini appena nati, si rivestivano di bianche vesti. Il significato profondo era che, dopo una vita lontani o contro Dio, rinascevano, invitati a non perdere più la ‘veste dell’innocenza’, che era il segno che, dalla comunità, non dovevano più essere considerati ‘morti alla grazia, per il peccato’, ma ‘rinati a vita
nuova’, che è la Pasqua di quanti si convertono ancora oggi, accostandosi al Sacramento della penitenza, in particolare a Pasqua.
Lo stesso facevano quanti, dopo una preparazione quaresimale, e oltre, nella veglia pasquale ricevevano il Battesimo, ‘rinascita a vita nuova’, dono della resurrezione di Cristo.
Forse oggi è venuta a mancare questa ‘festa di vita nuova’, con il grave rischio di non partecipare alla resurrezione.
E Dio solo sa quanto tutti noi abbiamo bisogno di ritrovare la gioia di quella veste bianca, noi, troppe volte ‘fuori strada’, nel buio di una vita senza o contro Dio-Amore, in compagnia del solo egoismo, che è la morte del cuore.
L’uomo ha bisogno di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia.
Il grande Giovanni Paolo II intuì questa urgenza e, nel 2000, diede ufficialità al titolo di ‘Domenica della Divina Misericordia’ per definire questa seconda Domenica di Pasqua. Quanto sono misteriose, ma sempre belle, le vie del Signore! Proprio in questa domenica la Chiesa, insieme con il Papa buono, Giovanni XXIII, proclama Giovanni Paolo II Santo!
La loro vita diventa modello di vita cristiana. Con il loro esempio diventano una testimonianza viva di quanto la Misericordia di Dio può compiere, quando rispondiamo con docilità e dedizione alla chiamata alla santità, che è per tutti, in ogni situazione di vita.
Non ci resta che abbandonarci alla Grazia, perché possiamo avere l’umiltà di affidarci alla Misericordia di Dio, che in Gesù, dalla croce, disse: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. Sì, abbiamo sempre bisogno di essere perdonati, soprattutto quando rischiamo di vivere come se fossimo ‘fermi’, insieme a quanti sotto la croce si prendevano beffe di Gesù, che proprio da quella croce vuole chiamarci alla gioia di una vita nuova. Chiediamo la grazia di non privarci mai
della gioia di liberarci dal male, ridiventando ‘bambini nel cuore e nella vita’: la gioia dei primi nostri fratelli nella fede, descritta dagli Atti degli Apostoli:
“Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.”.
(At. 2, 42-47)
Oggi la Chiesa ci ripropone la profonda gioia degli Apostoli nel rivedere il Maestro, che deve essere anche la nostra. È facile immaginare i loro sentimenti. Incredibile per loro, poveri uomini, ma sicuramente innamorati di Gesù, anche solo pensare che sarebbe davvero risorto.
La povertà della nostra natura umana ha difficoltà, ancora oggi, a pensare che ci sia resurrezione anche per noi. Facile – e per qualcuno ‘comodo’ – pensare che tutto finisce con questa breve e fallace esistenza terrena, ma l’Apostolo Paolo afferma con decisione: ‘Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra stessa vita’.
Se non si è accecati dal benessere o dal male, non può non esserci una giusta incertezza nel profondo del nostro cuore, la stessa che sicuramente era negli Apostoli, ed in particolare in Tommaso: ‘Non può finire tutto così, ci deve essere un ‘dopo’, che non riusciamo a intuire, ma deve esserci!’. E Gesù risorto, apparendo, toglie ogni dubbio, ogni incertezza:
“Tommaso uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri apostoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo’. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani: tendi la tua mano e mettila nel mio fianco, e non essere incredulo, ma credente!’. Gli rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! ”.
(Gv. 20, 19-31)
Davvero Tommaso rappresenta tutti noi, quando, trovandoci di fronte a tanti fallimenti o dubbi, o avversità, pensiamo sia impossibile che tutto possa cambiare e che, con la fede e la pazienza, si possa avverare la speranza. Non riesco a pensare a uomini – per natura uguali a me, uguali ai santi, creature di Dio, votate alla visione del Padre – che riescono a vivere senza futuro, quel futuro che è nella nostra vita eterna, che Dio ci dona nella fede. Deve avere pure un senso questa vita! Un senso che non può essere certamente solo il benessere, il denaro, o quello che vogliamo, tutte cose che non sono la grandezza della vita eterna! Sono beni fugaci e, tante volte, soffocano proprio il meraviglioso dell’eternità.
Voglio credere che tutti sentiamo la nostalgia del Padre, solo che ‘vederLo’, richiede – ora – tanta fede, l’abbandono di ogni sicurezza, una fiducia totale in Lui.
“Ma noi, uomini di oggi – affermava Paolo VI, il 20 novembre del 1968 – facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? Un Dio così nascosto? Non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? Non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre difficoltà conoscitive? La scienza? La psicologia? Cioè il mondo e l’uomo?
Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle supreme difficoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: è fatto per Lui; ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, della piena verità che sola dà la beatitudine.
Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La cosiddetta ‘morte di Dio’ si risolve nella morte dell’uomo”.
Ha ragione Pietro, tanto generoso nell’amore a Cristo, di scrivere:
“Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce … Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi Lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederLo, credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime”. (I Pietro 1, 3-9)
Oggi siamo chiamati tutti a farci illuminare dalla gioia e dallo stupore di Tommaso, che, dopo aver visto Gesù Risorto, non sa che balbettare: ‘Mio Signore, mio Dio!’.
Come ancora affermava Paolo VI: “Noi siamo in migliori condizioni degli altri, privi della luce evangelica, per guardare il panorama del mondo e della vita con gioioso stupore e per godere di quanto l’esistenza ci riserva anche nelle prove di cui essa abbonda, con riconoscente e sapiente serenità. Il cristiano è fortunato. Il vero cristiano sa di avere e trovare le ragioni della bontà di Dio in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell’esperienza; ed egli sa che ‘tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio’ (Rom. 8, 28).
Il cristiano deve dare sempre una testimonianza di superiore spiritualità, dalla gioia di Cristo Risorto … Una gioia che nulla ha a che fare con le cosiddette gioie del mondo, che sono illusioni-delusioni che nulla hanno a che vedere con la gioia di Cristo. I cristiani sanno e sono tanti, che la nostra gioia interiore e la propria esteriorità sono di Cristo Risorto”.
E’ il continuo invito che ci fa Papa Francesco: ‘Ricordiamo: ogni incontro con Gesù ci cambia la vita e ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia”. Come è stato per Giovanni XXIII e per il caro Giovanni Paolo II, che Gesù lo hanno incontrato quaggiù ed ora vivono alla Sua Presenza, ma sicuramente senza mai dimenticare coloro che erano stati loro affidati dal Maestro. Oggi sono loro che, dopo aver camminato con noi e tra di noi, intercedono perché possiamo un giorno ricongiungerci con loro e vivere nella pienezza della Vita, che Gesù Risorto ci ha donato per l’eternità. Grazie, Signore Gesù, per tutti i tuoi doni. Non basterà l’eternità per ringraziarti.
Antonio Riboldi – Vescovo
nuova’, che è la Pasqua di quanti si convertono ancora oggi, accostandosi al Sacramento della penitenza, in particolare a Pasqua.
Lo stesso facevano quanti, dopo una preparazione quaresimale, e oltre, nella veglia pasquale ricevevano il Battesimo, ‘rinascita a vita nuova’, dono della resurrezione di Cristo.
Forse oggi è venuta a mancare questa ‘festa di vita nuova’, con il grave rischio di non partecipare alla resurrezione.
E Dio solo sa quanto tutti noi abbiamo bisogno di ritrovare la gioia di quella veste bianca, noi, troppe volte ‘fuori strada’, nel buio di una vita senza o contro Dio-Amore, in compagnia del solo egoismo, che è la morte del cuore.
L’uomo ha bisogno di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia.
Il grande Giovanni Paolo II intuì questa urgenza e, nel 2000, diede ufficialità al titolo di ‘Domenica della Divina Misericordia’ per definire questa seconda Domenica di Pasqua. Quanto sono misteriose, ma sempre belle, le vie del Signore! Proprio in questa domenica la Chiesa, insieme con il Papa buono, Giovanni XXIII, proclama Giovanni Paolo II Santo!
La loro vita diventa modello di vita cristiana. Con il loro esempio diventano una testimonianza viva di quanto la Misericordia di Dio può compiere, quando rispondiamo con docilità e dedizione alla chiamata alla santità, che è per tutti, in ogni situazione di vita.
Non ci resta che abbandonarci alla Grazia, perché possiamo avere l’umiltà di affidarci alla Misericordia di Dio, che in Gesù, dalla croce, disse: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. Sì, abbiamo sempre bisogno di essere perdonati, soprattutto quando rischiamo di vivere come se fossimo ‘fermi’, insieme a quanti sotto la croce si prendevano beffe di Gesù, che proprio da quella croce vuole chiamarci alla gioia di una vita nuova. Chiediamo la grazia di non privarci mai
della gioia di liberarci dal male, ridiventando ‘bambini nel cuore e nella vita’: la gioia dei primi nostri fratelli nella fede, descritta dagli Atti degli Apostoli:
“Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.”.
(At. 2, 42-47)
Oggi la Chiesa ci ripropone la profonda gioia degli Apostoli nel rivedere il Maestro, che deve essere anche la nostra. È facile immaginare i loro sentimenti. Incredibile per loro, poveri uomini, ma sicuramente innamorati di Gesù, anche solo pensare che sarebbe davvero risorto.
La povertà della nostra natura umana ha difficoltà, ancora oggi, a pensare che ci sia resurrezione anche per noi. Facile – e per qualcuno ‘comodo’ – pensare che tutto finisce con questa breve e fallace esistenza terrena, ma l’Apostolo Paolo afferma con decisione: ‘Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra stessa vita’.
Se non si è accecati dal benessere o dal male, non può non esserci una giusta incertezza nel profondo del nostro cuore, la stessa che sicuramente era negli Apostoli, ed in particolare in Tommaso: ‘Non può finire tutto così, ci deve essere un ‘dopo’, che non riusciamo a intuire, ma deve esserci!’. E Gesù risorto, apparendo, toglie ogni dubbio, ogni incertezza:
“Tommaso uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri apostoli: ‘Abbiamo visto il Signore!’. Ma egli disse loro: ‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo’. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!’. Poi disse a Tommaso: ‘Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani: tendi la tua mano e mettila nel mio fianco, e non essere incredulo, ma credente!’. Gli rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!’. Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! ”.
(Gv. 20, 19-31)
Davvero Tommaso rappresenta tutti noi, quando, trovandoci di fronte a tanti fallimenti o dubbi, o avversità, pensiamo sia impossibile che tutto possa cambiare e che, con la fede e la pazienza, si possa avverare la speranza. Non riesco a pensare a uomini – per natura uguali a me, uguali ai santi, creature di Dio, votate alla visione del Padre – che riescono a vivere senza futuro, quel futuro che è nella nostra vita eterna, che Dio ci dona nella fede. Deve avere pure un senso questa vita! Un senso che non può essere certamente solo il benessere, il denaro, o quello che vogliamo, tutte cose che non sono la grandezza della vita eterna! Sono beni fugaci e, tante volte, soffocano proprio il meraviglioso dell’eternità.
Voglio credere che tutti sentiamo la nostalgia del Padre, solo che ‘vederLo’, richiede – ora – tanta fede, l’abbandono di ogni sicurezza, una fiducia totale in Lui.
“Ma noi, uomini di oggi – affermava Paolo VI, il 20 novembre del 1968 – facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? Un Dio così nascosto? Non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? Non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre difficoltà conoscitive? La scienza? La psicologia? Cioè il mondo e l’uomo?
Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle supreme difficoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: è fatto per Lui; ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, della piena verità che sola dà la beatitudine.
Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La cosiddetta ‘morte di Dio’ si risolve nella morte dell’uomo”.
Ha ragione Pietro, tanto generoso nell’amore a Cristo, di scrivere:
“Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce … Perciò siate ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco – torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi Lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederLo, credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime”. (I Pietro 1, 3-9)
Oggi siamo chiamati tutti a farci illuminare dalla gioia e dallo stupore di Tommaso, che, dopo aver visto Gesù Risorto, non sa che balbettare: ‘Mio Signore, mio Dio!’.
Come ancora affermava Paolo VI: “Noi siamo in migliori condizioni degli altri, privi della luce evangelica, per guardare il panorama del mondo e della vita con gioioso stupore e per godere di quanto l’esistenza ci riserva anche nelle prove di cui essa abbonda, con riconoscente e sapiente serenità. Il cristiano è fortunato. Il vero cristiano sa di avere e trovare le ragioni della bontà di Dio in ogni avvenimento, in ogni quadro della storia e dell’esperienza; ed egli sa che ‘tutte le cose si risolvono in bene per coloro che vivono della benevolenza di Dio’ (Rom. 8, 28).
Il cristiano deve dare sempre una testimonianza di superiore spiritualità, dalla gioia di Cristo Risorto … Una gioia che nulla ha a che fare con le cosiddette gioie del mondo, che sono illusioni-delusioni che nulla hanno a che vedere con la gioia di Cristo. I cristiani sanno e sono tanti, che la nostra gioia interiore e la propria esteriorità sono di Cristo Risorto”.
E’ il continuo invito che ci fa Papa Francesco: ‘Ricordiamo: ogni incontro con Gesù ci cambia la vita e ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia”. Come è stato per Giovanni XXIII e per il caro Giovanni Paolo II, che Gesù lo hanno incontrato quaggiù ed ora vivono alla Sua Presenza, ma sicuramente senza mai dimenticare coloro che erano stati loro affidati dal Maestro. Oggi sono loro che, dopo aver camminato con noi e tra di noi, intercedono perché possiamo un giorno ricongiungerci con loro e vivere nella pienezza della Vita, che Gesù Risorto ci ha donato per l’eternità. Grazie, Signore Gesù, per tutti i tuoi doni. Non basterà l’eternità per ringraziarti.
Antonio Riboldi – Vescovo
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