dom Luigi Gioia" Io sono la risurrezione e la vita"

dom Luigi Gioia
V Domenica di Quaresima (Anno A) (06/04/2014)
Vangelo: Gv 11,1-45
Nel mezzo del Vangelo di oggi risuona una frase terribile, una frase che forse più di ogni
altra esprime l'essenza di ogni incredulità, di ogni nostra chiusura del cuore nei confronti del Signore. Una frase che, a pensarci bene, ricalca esattamente quella di satana quando tenta Gesù nel deserto. Irrompe in un momento di grande dolore per Gesù. Il suo amico Lazzaro è morto. Gesù amava Lazzaro e le sue sorelle. Quando vede il dolore delle sorelle di Lazzaro si commuove profondamente, si turba e scoppia in pianto e, in una forma di trasfigurazione più impressionante ancora di quella del Tabor, rivela il suo amore per noi, la sua compassione, la sua vicinanza, la verità della sua amicizia, l'assoluta autenticità della sua umanità. Ma proprio nel cuore di questa teofania, di questa manifestazione della compassione del Signore, spunta fuori questa frase terribile: Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?».

Non sentiamo forse in queste parole terribili l'eco delle parole di satana nel deserto? Se sei il figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane. "Se sei figlio di Dio puoi far sì di non aver bisogno di nessuno per sfamarti, per avere tutto quello che vuoi, per fare tutto quello che vuoi, per risparmiarti ogni sorta di dolore, ogni sorta di sofferenza, ogni sorta di mancanza".
Non percepiamo forse, in questa frase terribile, l'eco degli scherni che pronunceranno coloro i quali assistono all'agonia di Gesù sulla croce? Ha salvato altri, salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio. "Se è lui il Figlio di Dio, se è lui Dio, non può far sì che proprio in questo momento la croce scompaia? Non può egli scendere dalla croce?".
La similarità di queste frasi è inequivocabile. Sono parole terribili, non solo sulla bocca di satana, ma soprattutto su quella di noi uomini.
Anche di fronte a Gesù che viene incontro al nostro dolore, che non lo guarda dal di fuori, ma lo condivide, che si commuove, che è turbato e piange con noi; anche in presenza della rivelazione del vero volto di Dio come di un Dio che piange con noi; anche di fronte a tutto questo non crediamo che faccia sul serio, dubitiamo del suo amore per noi, abbiamo il coraggio di muovergli dei rimproveri. Non vediamo quello che Dio fa con noi in Gesù - vediamo solo quello che non fa o che crediamo non faccia per noi.
Questa frase mostra fino a che punto è compromessa e falsata la nostra concezione di Dio, la nostra concezione dell'amore. E' una concezione dell'amore a basso prezzo. E' una concezione paternalista, quella cioè di un amore che pretende di aiutare senza scomodarsi, che è forse assistenzialismo ma non "com-passione", "patire insieme", "patire con amore". E' qui che tocchiamo con mano con più evidenza ed urgenza il nostro bisogno di conversione. E' qui che scopriamo fino a che punto siamo prigionieri dei sepolcri della nostra incredulità, della nostra durezza di cuore, della nostra incapacità di riconoscere il Signore, di sapere chi è il Signore.
La prima lettura insiste proprio su questo punto: Voi saprete che io sono il Signore. Abbiamo bisogno di sapere che Dio è il Signore. Abbiamo bisogno di imparare cosa vuol dire che Dio è Signore. Come e in cosa è veramente unico. Come e in cosa è veramente grande, veramente onnipotente. Non come lo saremmo noi se fossimo Dio, ma come lo è lui, in questa maniera unica, scandalosa - in questa maniera che ci fa reagire con la durezza di cuore che vediamo espressa in questa frase del Vangelo.
Dio viene ad aprire prima di tutto i sepolcri della nostra durezza di cuore. Ci viene incontro non imponendosi a noi con delle prove di forza, non seducendoci con dei gesti strabilianti di magia o dei miracoli che lo metterebbero al di sopra di noi. Viene a noi come Dio in Gesù forte solo della sua totale condivisione della nostra esperienza della morte. Gesù ha voluto sperimentare tutta la realtà della morte fino al punto da accettare di soffrire per la morte di un amico. Ha voluto condividere le sofferenze, le lacrime e soprattutto il tormentato cammino verso la speranza di Marta e di Maria, proprio nel momento nel quale erano afflitte da un grande dolore. Ha voluto essere esposto al cattivo odore della morte, al disgregamento, all'ineluttabile disfacimento che essa comporta: Signore, non possiamo rotolare via la pietra del sepolcro, perché già la morte ha fatto il suo lavoro. Gesù, coraggiosamente, si espone alla morte in tutte le sue dimensioni, va incontro a essa esponendosi pienamente a tutto il suo orrore. E alla fine abbraccia lui stesso questa morte, muore veramente anche lui, è anche lui rinchiuso in un sepolcro.
Si realizza in questo modo la profezia della prima lettura: Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri». Nessuno, nemmeno il profeta Ezechiele, però poteva aspettarsi che il Signore non sarebbe venuto ad aprire i sepolcri dal di fuori, ma dal di dentro. Non sarebbe venuto ad aprirli con una prova di forza, ma con un gesto di condivisione e di compassione. Questo dobbiamo ricordare nel momento del dolore, del lutto, della prova, quando diciamo: "Signore, dove sei?". Il Signore sta piangendo con me, è nel dolore con me, muore con chi amo e soffre con me che resto nel lutto da solo. Attraverso questa sua compassione, il Signore semina in me i germi della fede e della speranza che sono, appunto, la resurrezione e la vita.
Infatti, già la fede e la speranza sono resurrezione e sono vita.
Se leggiamo attentamente il Vangelo della resurrezione di Lazzaro scopriremo che il momento nel quale il sepolcro è aperto, non è quando è tolta la pietra che lo teneva chiuso. La pietra tolta in quel momento infatti si sarebbe richiusa di nuovo sullo stesso Lazzaro e su Marta, su Maria, su tutti i Giudei e su tutte le persone che erano presenti nel giro di pochi anni. Il sepolcro non si è aperto con il rotolamento della pietra - quello era solo un segno, come sono segni tutti i miracoli nel Vangelo di Giovanni - segno, cioè invito a cercare altrove il senso profondo di cosa voglia dire aprire i sepolcri, risorgere dai morti.
Il sepolcro, in realtà, è stato aperto quando Gesù ha condotto Marta a confessare: "Sì, o Signore, io credo. Io credo che tu sei il Cristo. Io credo che tu sei il figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Cosa è la resurrezione? Cosa è la vita? Cosa è l'apertura dei sepolcri? Non sono una cosa, ma una persona: Io sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Vedete come è la fede l'apertura del sepolcro, è la fede il trionfo sulla morte. Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. A noi, come a Marta, Gesù pone questa domanda: Credi questo? A noi in questo momento, di nuovo, per aprire i nostri sepolcri, il Signore pone questa stessa domanda: Credi questo?
"Io sono il Signore, io sono la resurrezione e la vita, da questo saprete che io sono il Signore". Sappiamo che lui è il Signore, che lui è la resurrezione e la vita, quando e perché crediamo e speriamo in lui. Lo sappiamo quando e perché vediamo che il nostro amore per lui è più forte della nostra paura della morte. Si tratta di un processo, cioè di qualcosa che non possiamo conquistare una volta per tutte. Abbiamo infatti bisogno che Gesù ce lo insegni di nuovo ogni giorno, in ogni momento. Ed è per questo che Gesù non opera per mezzo di una parola che cade dall'alto, ma venendo a condividere la nostra paura e il nostro dolore.
Ecco la nostra resurrezione. Ecco l'istante nel quale i sepolcri si spalancano. Ecco l'istante nel quale la vita, lo Spirito discende nei nostri cuori per abitare in noi. E' l'istante nel quale diciamo con il cuore e con la vita: "Credo in te, Signore". Questo atto di fede si erge contro ogni evidenza contraria, non vacilla anche di fronte all'ineluttabilità e alla bruttezza della morte, anche nella prova, anche nel dolore, anche nella confusione. Questo "Credo in te, Signore" vuol dire che ti riconosco con me nel mio dolore, o Signore; che riconosco che mi ami, o Signore, non perché mi risparmi il dolore e la morte, ma perché vieni a portarli con me; che ti riconosco, che credo in te perché vieni a trasformare questo dolore, questa morte in via di ritorno al Padre, vieni a trasformarli in un amore che non muore, in un amore che è più forte della morte.
Ecco dunque la nostra resurrezione: "Credo in te, o Signore".

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