don Alberto Brignoli " Una fede difficile, ma mai solitaria"
II Domenica di Pasqua (Anno A) (27/04/2014)
Vangelo: Gv 20,19-31
Guardiamo a tutte le narrazioni dei cosiddetti "Vangeli delle Apparizioni" che abbiamo letto durante questa settimana dell'Ottava di Pasqua. Quasi tutte hanno una costante, quella di un'iniziale incapacità a riconoscere il Risorto da parte dei suoi discepoli:
• apparendo a Maria Maddalena, Gesù riesce a farsi riconoscere da lei incentrando l'incontro sul particolare legame d'affetto che li lega. È l'amore che ha per lei che fa sì che Gesù si riveli a Maria nel momento in cui la chiama per nome;
• Gesù appare ai discepoli di Emmaus, incapaci di riconoscerlo. Con loro, deve fare "memoria" della sua Passione e Morte attraverso la duplice mensa della Parola e del Pane Eucaristico;
• Gesù appare sulle rive del lago di Tiberiade ai discepoli, tornati illusoriamente al lavoro di pescatori e - pure loro - incapaci di riconoscerlo. La grazia di una pesca abbondante permette loro di riconoscere il Signore attraverso una delle sue prerogative migliori, il miracolo.
Forse questo contesto di dubbi ed incertezze ci aiuta a comprendere meglio la vicenda del "dubbioso" per eccellenza tra gli apostoli, Tommaso, il cui soprannome ("Didimo", "Gemello") sembra quasi essere un'ulteriore ironia sulla sua "doppiezza".
Se c'è gente che all'inizio fa fatica ad associarsi agli Apostoli perché dubita a riguardo della loro dottrina (nonostante essi godano di grande favore tra il popolo), tuttavia anche tra gli Undici, e tra l'altro il giorno stesso della Risurrezione, c'è già chi sceglie di dissociarsi dagli altri. Infatti, Tommaso, quando Gesù appare ai suoi la sera di Pasqua, non era già più con loro...
Io nutro una particolare simpatia per questo discepolo, che dalla tradizione viene preso come l'incredulo, come il simbolo dell'ateo, di colui che vuole mettere alla prova l'esistenza di Dio.
In realtà non è così. Tommaso è un uomo che, come gli altri dieci, non si da pace per la morte del Signore, ma dimostra di avere un carattere forte, e reagisce diversamente dagli altri cercando da subito di tornare alla vita di prima. È un uomo pieno di vita e di coraggio, uno che non si chiude dentro il Cenacolo come gli altri, uno che non chiude - come gli altri - le porte di casa per paura dei Giudei.
Tuttavia, Tommaso scappa dal confronto con il Risorto. Per lui è tutto finito, e non c'è speranza che qualcosa ricominci: è stata troppo cruenta quella morte per sperare che la vita possa riprendere. E allora fa il duro, fa quello che preferisce non credere agli annunci degli altri, quello che pone condizioni alla fede. In fondo il suo problema è la sua chiusura, la sua solitudine che sfocia nella decisione di dissociarsi dagli altri per credere in Gesù "a modo suo" ("se non vedo io i segni della resurrezione...se non metto io il mio dito nel costato...").
Ma il Risorto si incontra e si riconosce solo nella comunità, nella Chiesa (radunata in assemblea "otto giorni dopo", come dice il Vangelo); non puoi avere la pretesa di mettere alla prova Dio da solo. O accetti che la vita di fede è fatta di un cammino comunitario, con tutte le sue angosce e le sue paure, o Dio non lo potrai mai incontrare, nemmeno attraverso le più accurate ricerche e prove scientifiche o le più eloquenti disquisizioni teologiche.
È questione di fede, la Resurrezione: e Gesù Cristo non ha paura di sfidare l'uomo su questo. È lui stesso che, otto giorni dopo, va a "beccare" Tommaso, e lo sfida: "Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. E non essere incredulo, ma credente!".
Il grido di Tommaso è una delle più belle espressioni di fede del Vangelo: "Mio Signore e mio Dio!". Il Risorto è veramente "mio Dio", perché è onnipotente, anche sulla morte, ed è "mio Signore", cioè Colui che regna sulla storia, per sempre.
Non possiamo avere la pretesa di sfidare Dio sulla sua Divinità né sulla sua Signoria nella storia: solo, occorre fare una professione di fede, anche quando dentro di noi vorremmo avere certezze e prove, che Dio ci offre solo se accettiamo un cammino all'interno di una comunità, di una Chiesa. Tommaso voleva un Dio solo per sé, a sua misura, basato sulla sua fede. Gesù vuole invece che Tommaso faccia un cammino di fede nella comunità: al di fuori di essa, il Risorto non si rivela.
La vicenda di Tommaso è uno stimolo e una provocazione per noi come Chiesa: se non stiamo insieme, come facevano i primi discepoli, nel vivere la gioia e la fede nel Cristo Risorto, il Signore non può essere in mezzo a noi.
Dove invece c'è concordia, spirito di preghiera, amore e solidarietà il Signore viene, pure a porte chiuse, e ci consegna i suoi doni più grandi: il perdono e la pace.
Vangelo: Gv 20,19-31
Guardiamo a tutte le narrazioni dei cosiddetti "Vangeli delle Apparizioni" che abbiamo letto durante questa settimana dell'Ottava di Pasqua. Quasi tutte hanno una costante, quella di un'iniziale incapacità a riconoscere il Risorto da parte dei suoi discepoli:
• apparendo a Maria Maddalena, Gesù riesce a farsi riconoscere da lei incentrando l'incontro sul particolare legame d'affetto che li lega. È l'amore che ha per lei che fa sì che Gesù si riveli a Maria nel momento in cui la chiama per nome;
• Gesù appare ai discepoli di Emmaus, incapaci di riconoscerlo. Con loro, deve fare "memoria" della sua Passione e Morte attraverso la duplice mensa della Parola e del Pane Eucaristico;
• Gesù appare sulle rive del lago di Tiberiade ai discepoli, tornati illusoriamente al lavoro di pescatori e - pure loro - incapaci di riconoscerlo. La grazia di una pesca abbondante permette loro di riconoscere il Signore attraverso una delle sue prerogative migliori, il miracolo.
Forse questo contesto di dubbi ed incertezze ci aiuta a comprendere meglio la vicenda del "dubbioso" per eccellenza tra gli apostoli, Tommaso, il cui soprannome ("Didimo", "Gemello") sembra quasi essere un'ulteriore ironia sulla sua "doppiezza".
Se c'è gente che all'inizio fa fatica ad associarsi agli Apostoli perché dubita a riguardo della loro dottrina (nonostante essi godano di grande favore tra il popolo), tuttavia anche tra gli Undici, e tra l'altro il giorno stesso della Risurrezione, c'è già chi sceglie di dissociarsi dagli altri. Infatti, Tommaso, quando Gesù appare ai suoi la sera di Pasqua, non era già più con loro...
Io nutro una particolare simpatia per questo discepolo, che dalla tradizione viene preso come l'incredulo, come il simbolo dell'ateo, di colui che vuole mettere alla prova l'esistenza di Dio.
In realtà non è così. Tommaso è un uomo che, come gli altri dieci, non si da pace per la morte del Signore, ma dimostra di avere un carattere forte, e reagisce diversamente dagli altri cercando da subito di tornare alla vita di prima. È un uomo pieno di vita e di coraggio, uno che non si chiude dentro il Cenacolo come gli altri, uno che non chiude - come gli altri - le porte di casa per paura dei Giudei.
Tuttavia, Tommaso scappa dal confronto con il Risorto. Per lui è tutto finito, e non c'è speranza che qualcosa ricominci: è stata troppo cruenta quella morte per sperare che la vita possa riprendere. E allora fa il duro, fa quello che preferisce non credere agli annunci degli altri, quello che pone condizioni alla fede. In fondo il suo problema è la sua chiusura, la sua solitudine che sfocia nella decisione di dissociarsi dagli altri per credere in Gesù "a modo suo" ("se non vedo io i segni della resurrezione...se non metto io il mio dito nel costato...").
Ma il Risorto si incontra e si riconosce solo nella comunità, nella Chiesa (radunata in assemblea "otto giorni dopo", come dice il Vangelo); non puoi avere la pretesa di mettere alla prova Dio da solo. O accetti che la vita di fede è fatta di un cammino comunitario, con tutte le sue angosce e le sue paure, o Dio non lo potrai mai incontrare, nemmeno attraverso le più accurate ricerche e prove scientifiche o le più eloquenti disquisizioni teologiche.
È questione di fede, la Resurrezione: e Gesù Cristo non ha paura di sfidare l'uomo su questo. È lui stesso che, otto giorni dopo, va a "beccare" Tommaso, e lo sfida: "Tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. E non essere incredulo, ma credente!".
Il grido di Tommaso è una delle più belle espressioni di fede del Vangelo: "Mio Signore e mio Dio!". Il Risorto è veramente "mio Dio", perché è onnipotente, anche sulla morte, ed è "mio Signore", cioè Colui che regna sulla storia, per sempre.
Non possiamo avere la pretesa di sfidare Dio sulla sua Divinità né sulla sua Signoria nella storia: solo, occorre fare una professione di fede, anche quando dentro di noi vorremmo avere certezze e prove, che Dio ci offre solo se accettiamo un cammino all'interno di una comunità, di una Chiesa. Tommaso voleva un Dio solo per sé, a sua misura, basato sulla sua fede. Gesù vuole invece che Tommaso faccia un cammino di fede nella comunità: al di fuori di essa, il Risorto non si rivela.
La vicenda di Tommaso è uno stimolo e una provocazione per noi come Chiesa: se non stiamo insieme, come facevano i primi discepoli, nel vivere la gioia e la fede nel Cristo Risorto, il Signore non può essere in mezzo a noi.
Dove invece c'è concordia, spirito di preghiera, amore e solidarietà il Signore viene, pure a porte chiuse, e ci consegna i suoi doni più grandi: il perdono e la pace.
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