Don Luca Garbinetto"Lacrime di risurrezione"

V Domenica di Quaresima (Anno A) (06/04/2014)
Vangelo: Gv 11,1-45
Nel tenerissimo e solenne dialogo tra la vita e la morte che ci presenta oggi la pagina del vangelo di Giovanni, c'è la profondità dell'uomo e la sua ferialità, e c'è la premura infinita di Dio per la sua fragile e preziosa creatura. Davanti all'esperienza drammatica e misteriosa della morte, che aleggia come orizzonte ultimo sullo sfondo di tutte le nostre domande e delle nostre paure, Gesù, ‘la resurrezione e la vita' (v 25), ci prende per mano e ci accompagna, con Marta e Maria, dentro il sepolcro, per venirne fuori, oggi, rinnovati.
Non è Lazzaro che ci attende, nell'oscurità della notte, ma è Dio stesso, che trattiene il respiro, come nei tre giorni della Pasqua, per permettere a ciascuno di ascoltare e percepire la delicatezza della Sua presenza immortale. Dio c'è, anche lì; e c'è per dire l'ultima parola: vivi! Dio vuole che tu, suo figlio e amico, sua creatura prediletta, suo prodigio, viva, e viva per sempre! Dio c'è per questo: perché tu viva!

Marta e Maria, sorelle tanto diverse e tanto uguali, fra loro e con noi, nella loro ansia di vita, nella loro sofferenza amante, gridano a squarciagola ciò che avevano probabilmente tenuto spento nella gola davanti alla freddezza dell'uomo, al facile ragionamento che incita alla rassegnazione, al giudizio che non ammette il rischio del dubbio. Marta e Maria esprimono l'urlo di tutta l'umanità impotente, che non finge di fronte alla malattia, al dolore, alla separazione, all'atrocità: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!' (vv. 21.32). Facilmente si cataloga di sfiducia e di mancanza di fede una tale invocazione, che invece non ha nulla della bestemmia e della recriminazione, e, se anche lo fosse, è in realtà il più autentico e verace grido del credente. Nel momento della sofferenza più lancinante, quando il cuore si rompe tra i gemiti della ferita aperta, è a Dio che il fedele rivolge l'invocazione del cuore. É l'antica invocazione del salmista. Non l'ha rigettata neanche Gesù, nel momento cruciale in cui ha provato l'angoscia di sentirsi rigettato: ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?' (Mt 27,46).
Il racconto della resurrezione di Lazzaro mostra Gesù, acqua che disseta, luce che illumina, penetrare come vita traboccante nella profondità del mistero dell'uomo. É annuncio e anticipo della resurrezione piena e definitiva, è figura della Sua Pasqua e della nostra sorte finale: siamo fatti per la Vita! Gesù c'è, lì dove la fragilità del nostro sguardo vacilla nell'incertezza e non comprende come possa esserci ancora un Dio e una vita dentro l'apparente nulla, oltre la sconfitta e la tragedia della morte. Gesù c'è, e lì con Lui c'è Dio. Perché Gesù è Dio. ‘Credi tu questo?' (v. 26).
La domanda penetra l'anima squarciata di Marta e trova dimora nella sua sete di risposte. La domanda affonda le sue radici e consola il volto piangente; poi torna a galla, perché di nuovo la testa e la ragione, troppo schiave dell'evidenza di un cadavere puzzolente, sembrano non sopportare la maestosità del mistero. ‘Credi tu questo?': credi che non è la materia che possiede tutta la verità (ma solo la nasconde e custodisce imperfetta), che non è l'apparenza la sintesi dell'umanità, che non è abbastanza fermarsi all'esteriorità per comprendere la vita? Credi che questa vita è ricolma di altra Vita, che vuole vivere abbondante nelle pieghe della tua storia, delle tue ferite, dei tuoi lutti e delle tue sconfitte? Credi che proprio il solco scavato è lo spazio prediletto dal seme morente per germogliare a nuova vita?
Solo chi si lascia penetrare da questa domanda, che lacera come ‘spada a doppio taglio' (Eb 4,12), può accogliere la gioia della resurrezione. La Parola è la domanda. E Gesù è la Parola, il Verbo fatto carne. Nella sua carne cogliamo gli elementi di questo percorso di resurrezione, che ci avvolge e sommerge a partire dall'acqua del nostro battesimo. Nella sua carne, Gesù rivela la potenza dell'amore che risuscita.
In particolare nel suo sguardo, nei suoi occhi. Il brano di Giovanni, oltre che un dialogo di parole e orecchi, è un dialogo di sguardi e di vedere. Vedere, per Giovanni, è il verbo della fede. Gesù insegna a guardare con occhi di fede. E sono occhi purificati dalle lacrime.
Lo sguardo di Gesù incrocia quello dei suoi discepoli, davanti alla notizia della malattia dell'amico. E invita già da subito tutti i discepoli di ogni tempo, noi compresi, ad aprire gli occhi, a lasciarci abbagliare dalla Luce: ‘Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo' (v. 9). C'è da cambiare la prospettiva: Gesù annuncia la rivelazione del bagliore della Vita, ma lo vedrà solo chi accetta di togliersi la benda della superbia e di riconoscersi cieco senza di Lui.
Gesù incontra poi gli occhi delle sorelle di Lazzaro. Marta corre da Lui spontaneamente, con la stessa foga di Pietro e Giovanni verso il sepolcro che sentiranno annunciare ormai vuoto (cfr. Gv 20,3-4). Maria, invece, ha bisogno che la voce e lo sguardo del Maestro la cerchi, come sposa ferita e seduta nella tristezza della morte: Maria è la prima ad alzarsi, a risorgere, per il richiamo dell'Amato. Tanto che chi sta intorno la vedono alzarsi, e non capiscono il senso della sua risurrezione. Perché ‘se non credono a Mosè e ai profeti, nemmeno se uno risorgerà dai morti crederanno' (Lc 16,31).
E tra l'incredulità dei giudei, dei tanti scettici che ci circondano nel mondo anche oggi, Gesù vede le lacrime di chi ama. Tutte le sofferenze dei cuori sono racchiuse nel pianto a dirotto di Maria, donna amata e perdonata. Anche Gesù, a questo punto, entra nell'intima solidarietà con lo strazio della nostra condizione ferita. E i suoi occhi si lavano di lacrime battesimali. Lo stesso flusso di Vita che uscirà dal Suo costato aperto, oggi bagna gli occhi spalancati ad accogliere lo smarrimento del mondo.
É a questo punto, quando lo sguardo di Marta ancora non riesce ad uscire totalmente dalla nebbia dell'incertezza e della razionalità, che il vangelo ci regala lo sguardo decisivo di Gesù, l'attimo che spalanca alla storia la definitiva vittoria della vita sulla morte. Egli infatti ‘alzò gli occhi' (v. 41) e incrociò gli occhi del Padre. Lo sguardo di Gesù sale al Cielo, ricolmo di tenerissima fiducia, marcato dall'incrollabile certezza che Dio c'è e che mai abbandona la propria creatura. Tra Cielo e terra si spalanca una porta che resterà definitivamente aperta dopo la resurrezione di Gesù. Una scala d'amore unisce Dio all'uomo, e mentre gli angeli la percorrono salendo e scendendo, l'unione tra divino e umano si consolida per sempre. É lo sguardo di misericordia del Padre, che ha ascoltato la preghiera del Figlio, a liberare i suoi figli di adozione dalle catene della morte. Lo stesso sguardo che liberò Israele dall'Egitto ora toglie un uomo alla puzza del peccato, figura dello sguardo che scioglie le bende del male dai cuori dei penitenti.
Stupore e gioia: la gloria di Dio si vede, e la gloria di Dio è che l'uomo viva, che il povero viva. Invece di morire, chi vede Dio ora vive... e se muore, muore di amore! Oggi Gesù ci confida il segreto per camminare nella luce della vita ogni giorno, in ogni condizione, anche nell'apparente assurdità della morte. Il segreto sono gli occhi: che siano purificati da lacrime di commozione e solidarietà, e che siano elevati fiduciosi verso il Cielo, in un figliale e consapevole abbandono alla cura del Padre.
Dio c'è, e non si lascia vincere nell'amore.

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