Enzo Bianchi"Buona notizia per i peccatori"
Giorno severo è il Venerdì santo per i cristiani, ricorrenza percepita come l’”antifesta”, giorno ancora capace di isolare tragicamente la passione e la morte di Gesù rispetto alla sua risurrezione. Quando i cristiani vanno al loro Signore, sempre sono ricondotti all’unico evento della passione-morte-risurrezione, ma oggi è la passione culminata nella morte che è meditata, pensata, celebrata: è la croce che domina con la sua ombra la liturgia e che con il suo imporsi rimanda alla risurrezione solo come speranza, come attesa. Singolarità della fede cristiana l’avere come annuncio centrale il Signore crocifisso e individuare nella crocifissione di Gesù di Nazaret il racconto più epifanico di Dio. Cosa ricordano oggi i cristiani?
Ricordano che il venerdì 7 aprile dell’anno 30 della nostra era a Gerusalemme, città santa e cuore della fede ebraica, Gesù di Nazaret – un rabbi e profeta della Galilea che aveva destato attorno a sé un movimento e che trascinava dietro di sé una piccola comunità itinerante composta di una dozzina di uomini e alcune donne – viene arrestato, condannato e messo a morte mediante il supplizio della crocifissione. Storicamente si può dire che Gesù è stato arrestato su iniziativa di alcuni capi dei sacerdoti, la ierocrazia di Gerusalemme, a motivo di gesti compiuti e parole pronunciate: alcuni tratti messianici del suo agire, l’appassionata cacciata dei venditori dal tempio, la polemica profetica contro gli uomini religiosi, in particolare i sadducei.
Catturato di notte nella valle del Cedron da un pugno di guardie del tempio, fu trascinato presso il Gran Sacerdote alla presenza del quale avvenne un confronto che permise di formulare accuse precise da presentare al governatore romano, l’unico cui spettava il potere di emettere una condanna capitale e di disporne l’esecuzione. Va detto chiaramente che non ci fu un autentico processo formale e che la parte del sinedrio, riunitasi nella notte, quasi certamente non era in grado di deliberare in situazione legale. Gesù viene comunque consegnato a Pilato, il quale, con alcune sedute e procedimenti che paiono un vero e proprio processo, decide di condannarlo con altri malfattori, dopo averlo fatto flagellare. Misura di sicurezza, tentativo di compiacere il gruppo sacerdotale che glielo aveva consegnato, odio verso chiunque tra i giudei apparisse portatore di un messaggio non omogeneo all’ideologia imperiale? Probabilmente tutte queste ragioni insieme portarono Pilato a decidere per la condanna di quel galileo. Certo Gesù muore in croce, subendo quello che per i romani era un “supplizio crudelissimo e orribile” (Cicerone) e per gli ebrei era, come l’impiccagione, segno di scomunica per l’empio, maledizione del bestemmiatore, come recita la Torah: “Maledetto chiunque è appeso al legno” (Deuteronomio 21,23; cf. Gal 3,13).
Gesù muore nell’infamia della sua nudità, appeso a mezz’aria perché né il cielo né la terra lo vogliono, muore nella vergogna di chi è condannato dal magistero ufficiale della sua religione e dall’autorità civile perché nocivo al bene comune della polis! Gesù, a differenza del Battista, non muore come martire, bensì come scomunicato e maledetto, come ama dire Paolo che si vanta di predicare Gesù crocifisso, scandalo per gli uomini religiosi e follia per i saggi del mondo greco
La croce, sì la croce è il segno di questa morte nell’infamia di Gesù – “annoverato tra i malfattori”, si compiacciono di annotare gli evangelisti – è il racconto della sua solidarietà con i peccatori, del suo abbassamento fino alla condizione dello schiavo umiliato, “fino alla morte e alla morte di croce”, come testifica Paolo. La croce non deve tuttavia prevalere sul Crocifisso! Non è la croce, infatti, a far grande chi vi è appeso, ma è proprio Gesù che riscatta e dà senso alla croce, in modo che tutti gli uomini che conoscono questa situazione di sofferenza e di vergogna, di maledizione e di annientamento possano trovare Gesù accanto a loro. Quello di ogni croce è un enigma, che Gesù rende mistero: in un mondo ingiusto, il giusto può soltanto essere rifiutato, osteggiato, condannato. E’ una necessitas humana, e Gesù – proprio perché ha voluto “restare giusto”, solidale con le vittime, gli agnelli – ha dovuto conoscere quest’urto dell’ingiustizia del mondo contro di lui. Ma chi sa leggere così la passione e la morte di Gesù è obbligato a comprenderla come una vicenda di gloria per Gesù: gloria di chi ha speso la sua vita per gli uomini, gloria di chi ha amato fino alla fine, gloria di chi muore condannato per aver cercato di narrare che Dio è misericordia, amore. Se c’è un luogo in cui Gesù ha reso Dio “buona notizia”, se lo ha “evangelizzato”, è proprio la croce: buona notizia per tutti i peccatori!
Oggi, Venerdì santo, i cristiani raccolgono nell’immagine del crocifisso, agnello innocente, tutte le vittime della storia, gli agnelli uccisi dai lupi: i cristiani in questo giorno sono chiamati a imparare a sostenere lo scandalo della croce senza rovesciare le colpe sull’altro, sicuri che dalla croce di ogni giusto si evidenzia una ragione per cui vale la pena dare la vita. Perché solo chi ha una ragione per cui vale la pena dare la vita, ha anche una ragione per cui vale la pena vivere.
ENZO BIANCHI
Dare senso al tempo
Ricordano che il venerdì 7 aprile dell’anno 30 della nostra era a Gerusalemme, città santa e cuore della fede ebraica, Gesù di Nazaret – un rabbi e profeta della Galilea che aveva destato attorno a sé un movimento e che trascinava dietro di sé una piccola comunità itinerante composta di una dozzina di uomini e alcune donne – viene arrestato, condannato e messo a morte mediante il supplizio della crocifissione. Storicamente si può dire che Gesù è stato arrestato su iniziativa di alcuni capi dei sacerdoti, la ierocrazia di Gerusalemme, a motivo di gesti compiuti e parole pronunciate: alcuni tratti messianici del suo agire, l’appassionata cacciata dei venditori dal tempio, la polemica profetica contro gli uomini religiosi, in particolare i sadducei.
Catturato di notte nella valle del Cedron da un pugno di guardie del tempio, fu trascinato presso il Gran Sacerdote alla presenza del quale avvenne un confronto che permise di formulare accuse precise da presentare al governatore romano, l’unico cui spettava il potere di emettere una condanna capitale e di disporne l’esecuzione. Va detto chiaramente che non ci fu un autentico processo formale e che la parte del sinedrio, riunitasi nella notte, quasi certamente non era in grado di deliberare in situazione legale. Gesù viene comunque consegnato a Pilato, il quale, con alcune sedute e procedimenti che paiono un vero e proprio processo, decide di condannarlo con altri malfattori, dopo averlo fatto flagellare. Misura di sicurezza, tentativo di compiacere il gruppo sacerdotale che glielo aveva consegnato, odio verso chiunque tra i giudei apparisse portatore di un messaggio non omogeneo all’ideologia imperiale? Probabilmente tutte queste ragioni insieme portarono Pilato a decidere per la condanna di quel galileo. Certo Gesù muore in croce, subendo quello che per i romani era un “supplizio crudelissimo e orribile” (Cicerone) e per gli ebrei era, come l’impiccagione, segno di scomunica per l’empio, maledizione del bestemmiatore, come recita la Torah: “Maledetto chiunque è appeso al legno” (Deuteronomio 21,23; cf. Gal 3,13).
Gesù muore nell’infamia della sua nudità, appeso a mezz’aria perché né il cielo né la terra lo vogliono, muore nella vergogna di chi è condannato dal magistero ufficiale della sua religione e dall’autorità civile perché nocivo al bene comune della polis! Gesù, a differenza del Battista, non muore come martire, bensì come scomunicato e maledetto, come ama dire Paolo che si vanta di predicare Gesù crocifisso, scandalo per gli uomini religiosi e follia per i saggi del mondo greco
La croce, sì la croce è il segno di questa morte nell’infamia di Gesù – “annoverato tra i malfattori”, si compiacciono di annotare gli evangelisti – è il racconto della sua solidarietà con i peccatori, del suo abbassamento fino alla condizione dello schiavo umiliato, “fino alla morte e alla morte di croce”, come testifica Paolo. La croce non deve tuttavia prevalere sul Crocifisso! Non è la croce, infatti, a far grande chi vi è appeso, ma è proprio Gesù che riscatta e dà senso alla croce, in modo che tutti gli uomini che conoscono questa situazione di sofferenza e di vergogna, di maledizione e di annientamento possano trovare Gesù accanto a loro. Quello di ogni croce è un enigma, che Gesù rende mistero: in un mondo ingiusto, il giusto può soltanto essere rifiutato, osteggiato, condannato. E’ una necessitas humana, e Gesù – proprio perché ha voluto “restare giusto”, solidale con le vittime, gli agnelli – ha dovuto conoscere quest’urto dell’ingiustizia del mondo contro di lui. Ma chi sa leggere così la passione e la morte di Gesù è obbligato a comprenderla come una vicenda di gloria per Gesù: gloria di chi ha speso la sua vita per gli uomini, gloria di chi ha amato fino alla fine, gloria di chi muore condannato per aver cercato di narrare che Dio è misericordia, amore. Se c’è un luogo in cui Gesù ha reso Dio “buona notizia”, se lo ha “evangelizzato”, è proprio la croce: buona notizia per tutti i peccatori!
Oggi, Venerdì santo, i cristiani raccolgono nell’immagine del crocifisso, agnello innocente, tutte le vittime della storia, gli agnelli uccisi dai lupi: i cristiani in questo giorno sono chiamati a imparare a sostenere lo scandalo della croce senza rovesciare le colpe sull’altro, sicuri che dalla croce di ogni giusto si evidenzia una ragione per cui vale la pena dare la vita. Perché solo chi ha una ragione per cui vale la pena dare la vita, ha anche una ragione per cui vale la pena vivere.
ENZO BIANCHI
Dare senso al tempo
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