padre Antonio Rungi "Mettere le mani nelle piaghe di Cristo e dell'umanità"

II Domenica di Pasqua (Anno A) (27/04/2014)
Vangelo: Gv 20,19-31
La domenica in Albis è la domenica di San Tommaso, l'apostolo scettico e dubbioso sull'effettiva risurrezione di Gesù. E' anche la domenica della divina misericordia, perché dal Cristo Risorto, vincitore della morte e del peccato arriva la tenerezza di Dio Padre, che si commuove e perdona l'umanità, redenta dal sangue prezioso di Gesù. E', quest'anno 2014, la domenica dei due Papi Santi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, che in questa giornata, con la pronuncia solenne di Papa Francesco, verranno annoverati tra i santi della Chiesa cattolica. Una domenica speciale, da vari punti di vista, che tutti riconducono al mistero centrale della nostra fede: Cristo ci ha salvati e redenti con la sua passione, morte e risurrezione. E' questo il messaggio che la chiesa è chiamata ad annunciare, senza paura e indecisioni, anche agli uomini del terzo millennio dell'era cristiana, dopo averlo fatto per 2000 anni. Annunciare la misericordia di Dio, mediante una fede robusta e
coraggiosa e attraverso una testimonianza di vita che ci indica la strada più giusta in quel brano del vangelo di Giovanni, che oggi ascoltiamo, dopo tantissime volte, con la stessa carica emotiva e con altrettanto impegno concreto che da esso ne deriva.
Mettere le mani nelle piaghe del costato di Cristo. E' questa la richiesta di Tommaso, che viene esaudita dal Signore, quando riappare otto giorni dopo, la prima apparizione agli apostoli, durante la quale era assente il discepolo del dubbio e dell'incertezza. Tommaso ha messo in dubbio, ma poi si è ricreduto, ha fatto la sua professione di fede con maggiore coscienza e consapevolezza. Tuttavia, la fede è qualcosa che Gesù stesso evidenzia come totale fiducia in Dio e che non ha bisogno di verifiche. Le uniche verifiche ammissibili sono quelle di salire al livello del Risorto, che porta sul suo corpo le piaghe della passione. Significa passare attraverso l'amore, quell'amore per il quale Cristo si è donato all'umanità. L'amore è la manifestazione della fede, ben sapendo che la fede senza le opere è morta, non dice nulla, esprime solo un concetto e un'idea, ma non rappresenta il vero volto di Dio nella storia di tutti i giorni.
Solo piegandosi con amore sulle sofferenze dei fratelli, comprendiamo così significhi la preghiera iniziale di questa domenica speciale: "Signore Dio nostro, che nella tua grande misericordia ci hai rigenerati a una speranza viva mediante la risurrezione del tuo Figlio, accresci in noi, sulla testimonianza degli apostoli, la fede pasquale, perché aderendo a lui pur senza averlo visto riceviamo il frutto della vita nuova". I frutti della Pasqua sono una vita nuova, una vita al di fuori degli schemi dell'egoismo e dell'interesse personale, una vita che sa leggere la propria ed altrui vita nell'orizzonte del Risorto, ma con i segni della Passione. Ecco perché oggi la Chiesa, nella Domenica della Divina Misericordia, ci invita a fare esperienza di perdono, chiedendolo a Dio, ma anche di fare esperienza di chiedere perdono ai fratelli, molte volte umiliati ed offesi nella loro dignità, nelle loro fragilità fisiche, nelle loro debolezze morali, invece di toccare con mano la sofferenza e il dolore della gente. Mettiamo le mani nelle piaghe di quanti hanno ferite gravi dovute alla cattiveria umana, causate dall'odio, dal risentimento, dall'indifferenza, dalla privazione della libertà, dalla violazione dei diritti fondamentali della persona, a partire dai più piccoli per arrivare ai grandi. Non c'è misericordia di Dio che possa rasserenare le nostre coscienze, se non recuperiamo l'amore fraterno, se non ci facciamo prossimo, a quanti sono nella sofferenza e nel dubbio, a quanti si sono allontanati dalla fede, anche per la mancanza di fede in noi, per le nostre infedeltà al vangelo.
Il nostro stile di vita, sia lo stesso di quello che fu della prima comunità cristiana di Gerusalemme, di cui ci narrano gli Atti degli Apostoli e che oggi ascoltiamo nel testo della prima lettura della liturgia della parola. I primi cristiani erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione. Noi quale tipologia di perseveranza coltiviamo come cristiani. Siamo costanti nella partecipazione all'eucaristia, nella preghiera, nell'ascolto della parola di vita? Sentiamo il bisogno di stare insieme agli altri e di condividere con loro ciò che possediamo? Siamo gioiosi, semplici, parsimoniosi e generosi. Vogliamo più ricevere, piuttosto che dare? Sono alcune delle domande fondamentali che noi possiamo dedurre dal brano degli Atti degli apostoli, considerato la magna charta della comunione e della koinonia ecclesiale.
E a conferma di quanto abbiamo ascoltato, viene in nostro aiuto anche il brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla prima lettera di san Pietro apostolo, in cui il responsabile del collegio apostolico, ringrazia Dio per quanto ha ricevuto ed abbiamo ricevuto. Un testo di grande apertura alla gioia, alla speranza, alla vera vita, quella che non tramonta mai, e nella quale ci attende Colui che è Risorto. L'atteggiamento del cristiano è quello della speranza, della gioia, del superamento di ogni paura ed angoscia dell'esistenza umana. D'altra parte, tutto passa e Dio solo resta nella nostra vita. I due Santi che oggi la Chiesa porta agli onori degli altari, e che molti di noi hanno conosciuto personalmente, ci siamo di esempio di come coniugare la fede, la speranza, la carità, il coraggio, la gioia, la sofferenza e tutto quello che Papa Giovanni XXIII e Papa Giovanni Paolo II ci hanno insegnato nel corso della loro vita e con la loro testimonianza di vita.
"Perciò - ci ricorda San Pietro- siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove". La fede è passare attraverso le piaghe gloriose di Cristo e toccare con mano le piaghe dolorosissime di questa afflitta e stanca umanità.

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