padre Gian Franco Scarpitta "L'umiltà del Messia"

Domenica delle Palme (Anno A) (13/04/2014)
Vangelo: Mt 26,14-27
Mi ricordo di una frase che mi disse, durante l'anno di Noviziato, il mio Direttore Spirituale: "Gian Franco, ricordati che tu non sarai mai come una banconota da 100.000 lire sulla quale tutti quanti si chinano, poveri o ricchi che siano, grandi o piccoli, colti o illetterati. Ci sarà sempre chi ti cercherà continuamente e chi ti snobberà; coloro ai quali tu servirai tanto e ai quali non servirai per niente; coloro che ti apprezzeranno e coloro che ti malediranno. Taluni ti cercheranno per un breve periodo, altri per tempi prolungati." Sia l'esultanza che l'umiliazione, in un modo o nell'altro, faranno parte sempre della nostra vita ed è nel computo della vita umana accogliere le ricompense e far fronte anche agli ostacoli. A tutti è riservato il bello e il cattivo tempo.
Esultanza e umiliazione sono all'ordine del giorno per tutti, e il Figlio di Dio non è stato esentato ne dall'una né dall'altra, e anzi la il suo itinerario di passione ci induce a considerare l'importanza di ambedue le tappe suddette. Accettare sia di poter esultare sia di dover soccombere sono prerogative che lo stesso Gesù
Cristo, che ha spogliato se stesso per farsi in tutto piccolo e obbediente, ci inculca e ci invita ad adottare come fatto di estrema importanza e il suo stesso cammino verso il centro di Gerusalemme ne è una valida prova educativa. Osserviamolo.
Gesù entra a Gerusalemme cavalcando un asino. Matteo non cita questo mezzo di trasporto, ma Giovanni nel suo Vangelo ne parla per sottolineare l'umiltà estrema della cavalcatura con la quale egli fa ingresso nella città festante.
Al contrario di tutti gli altri uomini illustri che adoperavano il cavallo per il loro ingresso trionfale, egli percorre la via di Gerusalemme cavalcando "un asino figlio di asina", come era stato previsto del profeta Zaccaria (Zc 9, 9). Nella scelta di questa cavalcatura si evince la figura di un Messia umile e dimesso, che predilige la bassezza e l'annientamento ai plausi e alla vanagloria delle ovazioni della folla. La gente comunque lo esalta e man mano che passa, come ad un imperatore o ad un generale che rientra trionfante dopo aver sconfitto un esercito nemico, gli lancia palme e stende di volta in volta i tappeti al suo incedere verso il centro cittadino. Riconosce in Gesù il Signore, il re della gloria nonché il Salvatore che apporta la speranza e la salvezza, che risolleverà le sorti del popolo di Israele e di tutta l'umanità e pertanto non può che essere motivo di gioia e di esultanza il suo ingresso a Gerusalemme.
Già il fatto che cavalchi un asino, umilissima cavalcatura, sottende alla volontà di annientamento del Messia, alla sua ricercata umiltà. Ma anche il fatto che egli si stia recando a Gerusalemme richiama alla sottomissione e all'umiliazione estrema se si pensa alla profezia che egli stesso aveva fatto in precedenza Pietro e agli altri discepoli (Mt, 16), quando aveva annunciato che a Gerusalemme avrebbe subito l'oltraggio e la condanna a morte. Nonostante sappia ciò che l'attende, non esita a percorrerne le strade con la stessa prontezza e determinazione con cui si muoveva in Galilea.
E dopo essere stato esaltato, Gesù viene perseguitato, percosso e umiliato e a tutte queste vessazioni si sottopone senza battere ciglio. Alla pari dell'Agnello mansueto votato al macello (Is 52 - 53) che è deforme dall'aspetto ma che non reagisce alle torture e alle percosse, Gesù non si oppone a coloro che, dopo averlo braccato e perseguitato, adesso lo stanno catturando e poi flagellatolo lo uccideranno. Non oppone resistenza neppure alle false testimonianze che muovono nei suoi confronti, accetta gli insulti, gli scherni, le esecrazioni e affronta deliberatamente e senza riserve un processo ingiusto che lo condurrà a subire la più crudele delle condanne a morte.
E così ciò che aveva avuto l'inizio di una festa, si è trasformato in tragedia. Adesso per Gesù cominciano le aberrazioni, le sconfitte e le umiliazioni che persisteranno perfino quando sarà appeso alla croce, visto che avrà anche la sensazione di essere abbandonato dal Padre.
E tuttavia Gesù aveva previsto che sarebbe stato sottomesso agli insulti e alle umiliazioni e non aveva disdegnato di sottoporvisi risolutamente perché era necessario che egli soffrisse per manifestare quella che sarebbe stata la vera gloria del Messia salvatore anzi proprio la croce doveva essere la tappa irrinunciabile per dare alito alla speranza e fare scaturire la salvezza. Dio doveva salvarci dalla dannazione eterna che avremmo meritato per i nostri peccati, ma se lo avesse fatto imponendoci di rimediare ai nostri errori attraverso privazioni, penitenze o buone azioni queste non sarebbero state affatto sufficienti, perché nell'agire umano, come si sa, per ogni buona azione emergono tanti demeriti e non saremmo mai riusciti a farla finita con il peccato. In parole povere, se Dio avesse preteso che noi guadagnassimo la salvezza e la vita con le nostre sole forze, non avrebbe mai ottenuto risultato alcuno. Doveva necessariamente pagare lui stesso la pena delle nostre colpe e il prezzo del nostro riscatto, addossandosi su di sé tutti i misfatti e le riprovazioni dell'umanità, e questo ha fatto nella croce del suo Figlio e ancor prima nella sua umiliazione. Come scriveva il teologo Jungel, noi non rifletteremo mai abbastanza sul fatto che a morire sulla croce per noi sarà Dio stesso, nella persona del Figlio che comunque non cessa di essere Dio quando muore ed espia i peccati per noi. Dio onnipotente e infinito, creatore e Signore accetta il supplizio, trovando l'unico rimedio possibile ai peccati dell'umanità.
E' Dio che si autoconsegna all'uomo accettando la più crudele delle condizioni della nostra storia, il Creatore e autore della vita che affronta la morte per rinnovare il dono della vita nella forma di vita eterna. A partire da questa Domenica per sette giorni consecutivi, la liturgia lo porrà alla nostra attenzione mentre percorre l'itinerario della via dolorosa che egli stesso ritiene necessario perché l'uomo sia liberato e riscattato dalla miseria più opprimente: il peccato.

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