Alberto Vianello" Chi è il nostro vescovo? "


La seconda Lettura, tratta dalla prima Lettera di Pietro, è un bellissimo inno a Cristo. Vi è presentato come esempio e modello del comportamento radicale del cristiano: quando è maltrattato non reagisce, e lascia così a Dio e al suo amore di provvedere. Del resto, tutti vivevamo nell’ingiustizia e nel dominio del peccato; e siamo stati liberati proprio grazie alla sofferenza innocente e sostitutiva di Cristo.
Perciò, da pecore smarrite quali eravamo, siamo «stati convertiti» (letteralmente) a colui che è chiamato «pastore e il vescovo delle vostre anime». Forse non lo si dice molto; ma questo testo della Parola di Dio è molto esplicito: il nostro vero vescovo è il Signore Gesù Cristo. Attraverso questa sua funzione, si rende straordinariamente attuale e vivo il suo ministero di guida nell’effettività della nostra vita.
E il brano del Vangelo, nel quale Gesù si rivela come pastore e porta delle pecore, ci descrive la figura dell’autentico vescovo del cui gregge noi tutti facciamo parte.



La prima caratteristica è l’immediatezza e la connaturalità della sua figura. Solo Lui, come «pastore delle pecore», può entrare per la porta del recinto, perché il guardiano lo riconosce. Solo la sua voce ascoltano le pecore, perché qualsiasi altra voce e realtà risulta loro estranea. Perciò è una figura fondamentalmente pacificante e rassicurante. Un pastore che crea allarmismi, o sfiducia, o distanza, o estraneità, o non indirizzo per le sue pecore non è vero vescovo.
La seconda caratteristica è la relazione viva e autentica che solo il pastore può avere con le sue pecore: «Le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori… e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce». C’è trasmissione di vita, per questo c’è relazione. C’è ruolo e funzione nella misura in cui non si prendono le distanze o le distinzioni: si cerca invece la comunione di vita. Perché il pastore provvede alle pecore, ma le pecore sono l’unica ricchezza del pastore.
La terza caratteristica è data dall’azione del pastore – vescovo di «spingere fuori» dal recinto le sue pecore. Le incoraggia, quasi le costringe, ad un cammino di uscita, e quindi ad un’esperienza di libertà. Talvolta i vescovi si fanno eccessivamente garanti dell’istituzione. Ma se le pecore rimangono sempre chiuse dentro il recinto muoiono per sfinimento. Anche le cose di per sé buone come la Legge religiosa e la morale finiscono per essere controproducenti se obbligano, invece di liberare. Se, da mezzi quali sono, diventano fini. Bisogna rischiare la libertà delle pecore, solo così potranno crescere e fortificarsi, diventare coraggiose testimoni di vita nel Signore, e non paurose rifugiate in fuga dalle sfide del mondo.

Un’altra caratteristica è data dalla seconda immagine che Gesù usa nel racconto evangelico di questa domenica: «Io sono la porta delle pecore: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo». Non uno steccato insuperabile, né un uscio sbarrato. Invece, una porta sempre aperta per chi deve passarvi, perché ha bisogno vitale di stare dentro (per essere custodito) e di stare fuori (per trovare pascolo). La porta risulta sempre chiusa, all’opposto, per chi non è gregge né pastore, e può essere solo «ladro e brigante». Chi non passa attraverso Gesù, Parola fatta carne, non può che produrre male per le pecore. Per questo è Lui il vero pastore – vescovo: solo Lui è la vera apertura dell’uomo a Dio. Anche un imponente apparato religioso nuoce alle pecore, invece di farle vivere, se non sa rinviare in tutto e per tutto al Signore Gesù e, attraverso di Lui, al Padre e alla salvezza: tale porta è la Parola di Dio stessa.

«Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati». Qui c’è un’altra caratteristica del pastore – vescovo. «Prima di me» non ha valenza temporale: sono quelli che vogliono sostituirsi a Cristo («Sono proprio io…»). Ovvero non si fanno trasparenza di Lui, e in qualche modo rinviano a se stessi e al loro ruolo. Porre eccessivo accento sul proprio potere, la propria funzione, la propria dignità porta le pecore a smarrire la porta che è Cristo. «Ma le pecore non li hanno ascoltati»: è l’istinto della fede del Popolo di Dio che papa Francesco evidenzia, istinto che «lo rende infallibile “in credendo”». E’ la verifica del vero pastore – vescovo: se sa farsi ascoltare dalle sue pecore, perché, attraverso di lui, ascoltino la voce del Signore, la sua Parola.

Alberto Vianello

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