All’udienza generale, Papa Francesco ha rivolto un appello contro le vergognose morti nel Mediterraneo, chiedendo di unire le forze.
“Stragi vergognose”: così il Papa definisce nel suo appello le tragiche morti di migranti nel Mediterraneo:
"Preghiamo anche per le persone che in questi giorni hanno perso la vita nel Mare Mediterraneo. Si mettano al primo posto i diritti umani, preghiamo per questo: si mettano al primo posto i diritti umani e si uniscano le forze per prevenire queste stragi vergognose".
Ancora una volta il Papa si appella alle nostre coscienze: questo il commento del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
R. - Questo Papa non fa passare un’occasione senza parlare di questo dramma che purtroppo è sempre più esteso ed è sempre più grave. E dunque il Santo Padre anche oggi ha rivolto un forte appello anzitutto agli Organismi che, a livello locale e nazionale, dovrebbero garantire che ogni persona sia considerata a partire dalla sua dignità, senza distinzione di appartenenza etnica o di status giuridico: sia in condizioni di regolarità
sia in condizioni di irregolarità, è necessario mettere al primo posto i diritti umani. E questo il Papa lo ripete in ogni occasione in cui parla di questi problemi. Posta questa premessa, è urgente la collaborazione a diversi livelli, affinché tutti quelli che sono a contatto con il fenomeno dei flussi migratori uniscano le loro forze “per prevenire queste stragi vergognose”, come ha detto il Papa. Qui tutti hanno un ruolo da giocare: dal punto di vista umanitario, ma anche nell’approntare adeguati itinerari di sostegno, d’integrazione, di formazione culturale e professionale.
D. - Eminenza, lei ha rilevato che tutti hanno un ruolo da giocare in questa importante questione. Però noi sappiamo che già da tempo è molto forte la polemica tra l’Italia, che ritiene di essere stata abbandonata, e l’Unione Europea che reagisce rimandando la questione al mittente…
R. - Leggevo anch’io in questi ultimi giorni, anche stamattina, sulle agenzie di stampa, di questa polemica tra governo italiano e Ue. Naturalmente io non voglio entrare in merito, ma la ragione non sta mai tutta da una parte e comunque rientra in questo quadro di comune assunzione di responsabilità e d’impegno il richiamo a tutti coloro che ne hanno la possibilità, Governi e Comunità internazionale, affinché siano adottate misure concrete, fattibili e lungimiranti per un’azione concertata a tre livelli: anzitutto perché le popolazioni siano aiutate nei Paesi d’origine, questo sarebbe l’ideale, facendo il possibile perché si realizzi il diritto a non emigrare, cioè a restare nel Paese dove vi sono gli affetti familiari, le tradizioni linguistiche e culturali proprie, favorendo lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita di ciascun Paese. Nessuno lascia il proprio Paese, la propria famiglia, i propri amici, perché gli piace questo, lo fanno perché sono costretti. In secondo luogo, sono importanti le convenzioni bilaterali e multilaterali, che offrono sicurezza a coloro che emigrano, volontariamente o involontariamente. Nel caso delle migrazioni forzate, è indispensabile l’apertura di canali umanitari, che però devono avere un carattere tempestivo e provvisorio, in risposta a vere emergenze. Infine, non deve mancare la sinergia di tutte le forze disponibili nei processi di sostegno e di integrazione, dove si favorisce la crescita di società che rispettano le diverse identità nella costruzione dell’unità, tendendo al bene comune.
D. - La questione migrazioni, gli sbarchi, sono ormai divenuti consuetudine, in qualche modo, eppure vengono trattati e definiti ancora come ‘un’emergenza’ …
R. - Purtroppo ha detto bene, ci si domanda se sia una emergenza ciò che avviene da tanti anni. Eh, beh, sì, sempre emergenza è, perché le persone che muoiono per raggiungere un posto dove pensano di vivere meglio e più felici, è sempre un’emergenza, non possiamo farlo passare nelle cose comuni. L’emergenza di cui parliamo dura ormai da troppo tempo: ogni anno, soprattutto con l’arrivo dell’estate, si ripresentano le stesse situazioni che vedono, da una parte, la fuga di migliaia di persone da condizioni di miseria, di sfruttamento e di persecuzione; dall’altra, ci sono le amministrazioni locali, gli Stati e la Comunità internazionale che si interrogano su cosa fare, fanno anche, ma non è mai sufficiente. Credo che non possiamo più parlare di “emergenza”, così come è inopportuna la ricerca di responsabilità quando ci troviamo di fronte a queste “stragi vergognose”, come ha definito il Santo Padre, nell’Udienza generale di questa mattina, l’ennesimo naufragio in cui hanno perso la vita centinaia di persone, e per me sempre un’emergenza è. L’esodo di numerose famiglie, soprattutto dal Corno d’Africa, Etiopia ed Eritrea, e dal Medio Oriente, soprattutto dalla Siria, tocca immediatamente tutti i Paesi del Mediterraneo, che sono come la via d’accesso all’Europa per molti migranti in fuga da guerre e dittature, spesso donne con bambini e anche bambini soli. Ma questo fenomeno riguarda l’intera Comunità dell’Unione Europea, qui sono coinvolti migranti, richiedenti asilo e rifugiati, famiglie amputate da un genitore o da figli, anche minori, che si mettono in viaggio. Il Santo Padre ha richiamato tutti indistintamente a mettere al primo posto i diritti umani. Dunque, non è il momento di fare una graduatoria delle responsabilità: tutti devono, tutti dobbiamo, sentirci interpellati a fare il possibile affinché cessino le fughe dai Paesi martoriati da conflitti, da disparità sociali e da impossibilità di vivere una vita onesta e dignitosa. Allo stesso modo, tutti devono sentirsi impegnati a venire incontro alle necessità di coloro che, molto spesso forzatamente, purtroppo, devono fuggire e affrontare viaggi colmi di sventure che non di rado si trasformano in tragedie.
D. - Tutti siamo interpellati, le nostre coscienze sono interpellate, da queste tragedie, tuttavia è legittimo pensare che forse un po’ tutti gli attori, comprese le istituzioni europee, abbiano dimenticato che al centro di tutto questo c’è e deve continuare ad esserci l’uomo?
R. - Ha detto proprio bene, forse non hanno dimenticato, perché il problema è grave, se è vero quello che si legge negli ultimi giorni, che c’è una massa di persone in Libia, tra le 800mila e il milione, che sarebbe pronta a prendere queste maledette imbarcazioni, per cercare di venire in Europa, è una cosa che fa paura. Per cui, non è che si perda il senso del diritto dell’uomo, ma si ha un po’ paura, è evidente. Comunque, l’Europa vanta a buon diritto una lunga storia di civiltà, di cui ha ragione di essere fiera. Per cui fa fatica accusare l’Europa di avere chiuso le orecchie e gli occhi, anche se alle volte sembra che sia successo proprio questo. L’Europa è la culla dei diritti umani e può giustamente vantare una lunga tradizione di democrazia attenta a promuovere e tutelare i diritti dei singoli e delle comunità comprese le minoranze etniche. Infatti, l’esperienza della migrazione di massa, di cui l’Europa è stata protagonista nel secolo scorso, ha fortemente ispirato le scelte politiche degli Stati membri europei per governare il fenomeno attuale dell’immigrazione. Sono convinto che le scelte politiche europee in materia migratoria potrebbero diventare un modello per altre aree del mondo, facendo leva sulla sua storia di grande esperienza umanitaria e di profonde radici nei valori cristiani, dove la solidarietà e il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana costituiscono un unico punto di riferimento. Ma per non tradire il suo passato e per costruire un futuro migliore, l’Europa ha una sola via da percorrere: quella che tutela, rispetta e promuove la persona umana nella sua integralità, soprattutto con attenzione a garantire le fondamentali libertà, a sostegno di uno sviluppo che tenga conto non solo del bene comune nazionale, ma anche di quello universale.
Francesca Sabatinelli:
"Preghiamo anche per le persone che in questi giorni hanno perso la vita nel Mare Mediterraneo. Si mettano al primo posto i diritti umani, preghiamo per questo: si mettano al primo posto i diritti umani e si uniscano le forze per prevenire queste stragi vergognose".
Ancora una volta il Papa si appella alle nostre coscienze: questo il commento del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
R. - Questo Papa non fa passare un’occasione senza parlare di questo dramma che purtroppo è sempre più esteso ed è sempre più grave. E dunque il Santo Padre anche oggi ha rivolto un forte appello anzitutto agli Organismi che, a livello locale e nazionale, dovrebbero garantire che ogni persona sia considerata a partire dalla sua dignità, senza distinzione di appartenenza etnica o di status giuridico: sia in condizioni di regolarità
sia in condizioni di irregolarità, è necessario mettere al primo posto i diritti umani. E questo il Papa lo ripete in ogni occasione in cui parla di questi problemi. Posta questa premessa, è urgente la collaborazione a diversi livelli, affinché tutti quelli che sono a contatto con il fenomeno dei flussi migratori uniscano le loro forze “per prevenire queste stragi vergognose”, come ha detto il Papa. Qui tutti hanno un ruolo da giocare: dal punto di vista umanitario, ma anche nell’approntare adeguati itinerari di sostegno, d’integrazione, di formazione culturale e professionale.
D. - Eminenza, lei ha rilevato che tutti hanno un ruolo da giocare in questa importante questione. Però noi sappiamo che già da tempo è molto forte la polemica tra l’Italia, che ritiene di essere stata abbandonata, e l’Unione Europea che reagisce rimandando la questione al mittente…
R. - Leggevo anch’io in questi ultimi giorni, anche stamattina, sulle agenzie di stampa, di questa polemica tra governo italiano e Ue. Naturalmente io non voglio entrare in merito, ma la ragione non sta mai tutta da una parte e comunque rientra in questo quadro di comune assunzione di responsabilità e d’impegno il richiamo a tutti coloro che ne hanno la possibilità, Governi e Comunità internazionale, affinché siano adottate misure concrete, fattibili e lungimiranti per un’azione concertata a tre livelli: anzitutto perché le popolazioni siano aiutate nei Paesi d’origine, questo sarebbe l’ideale, facendo il possibile perché si realizzi il diritto a non emigrare, cioè a restare nel Paese dove vi sono gli affetti familiari, le tradizioni linguistiche e culturali proprie, favorendo lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita di ciascun Paese. Nessuno lascia il proprio Paese, la propria famiglia, i propri amici, perché gli piace questo, lo fanno perché sono costretti. In secondo luogo, sono importanti le convenzioni bilaterali e multilaterali, che offrono sicurezza a coloro che emigrano, volontariamente o involontariamente. Nel caso delle migrazioni forzate, è indispensabile l’apertura di canali umanitari, che però devono avere un carattere tempestivo e provvisorio, in risposta a vere emergenze. Infine, non deve mancare la sinergia di tutte le forze disponibili nei processi di sostegno e di integrazione, dove si favorisce la crescita di società che rispettano le diverse identità nella costruzione dell’unità, tendendo al bene comune.
D. - La questione migrazioni, gli sbarchi, sono ormai divenuti consuetudine, in qualche modo, eppure vengono trattati e definiti ancora come ‘un’emergenza’ …
R. - Purtroppo ha detto bene, ci si domanda se sia una emergenza ciò che avviene da tanti anni. Eh, beh, sì, sempre emergenza è, perché le persone che muoiono per raggiungere un posto dove pensano di vivere meglio e più felici, è sempre un’emergenza, non possiamo farlo passare nelle cose comuni. L’emergenza di cui parliamo dura ormai da troppo tempo: ogni anno, soprattutto con l’arrivo dell’estate, si ripresentano le stesse situazioni che vedono, da una parte, la fuga di migliaia di persone da condizioni di miseria, di sfruttamento e di persecuzione; dall’altra, ci sono le amministrazioni locali, gli Stati e la Comunità internazionale che si interrogano su cosa fare, fanno anche, ma non è mai sufficiente. Credo che non possiamo più parlare di “emergenza”, così come è inopportuna la ricerca di responsabilità quando ci troviamo di fronte a queste “stragi vergognose”, come ha definito il Santo Padre, nell’Udienza generale di questa mattina, l’ennesimo naufragio in cui hanno perso la vita centinaia di persone, e per me sempre un’emergenza è. L’esodo di numerose famiglie, soprattutto dal Corno d’Africa, Etiopia ed Eritrea, e dal Medio Oriente, soprattutto dalla Siria, tocca immediatamente tutti i Paesi del Mediterraneo, che sono come la via d’accesso all’Europa per molti migranti in fuga da guerre e dittature, spesso donne con bambini e anche bambini soli. Ma questo fenomeno riguarda l’intera Comunità dell’Unione Europea, qui sono coinvolti migranti, richiedenti asilo e rifugiati, famiglie amputate da un genitore o da figli, anche minori, che si mettono in viaggio. Il Santo Padre ha richiamato tutti indistintamente a mettere al primo posto i diritti umani. Dunque, non è il momento di fare una graduatoria delle responsabilità: tutti devono, tutti dobbiamo, sentirci interpellati a fare il possibile affinché cessino le fughe dai Paesi martoriati da conflitti, da disparità sociali e da impossibilità di vivere una vita onesta e dignitosa. Allo stesso modo, tutti devono sentirsi impegnati a venire incontro alle necessità di coloro che, molto spesso forzatamente, purtroppo, devono fuggire e affrontare viaggi colmi di sventure che non di rado si trasformano in tragedie.
D. - Tutti siamo interpellati, le nostre coscienze sono interpellate, da queste tragedie, tuttavia è legittimo pensare che forse un po’ tutti gli attori, comprese le istituzioni europee, abbiano dimenticato che al centro di tutto questo c’è e deve continuare ad esserci l’uomo?
R. - Ha detto proprio bene, forse non hanno dimenticato, perché il problema è grave, se è vero quello che si legge negli ultimi giorni, che c’è una massa di persone in Libia, tra le 800mila e il milione, che sarebbe pronta a prendere queste maledette imbarcazioni, per cercare di venire in Europa, è una cosa che fa paura. Per cui, non è che si perda il senso del diritto dell’uomo, ma si ha un po’ paura, è evidente. Comunque, l’Europa vanta a buon diritto una lunga storia di civiltà, di cui ha ragione di essere fiera. Per cui fa fatica accusare l’Europa di avere chiuso le orecchie e gli occhi, anche se alle volte sembra che sia successo proprio questo. L’Europa è la culla dei diritti umani e può giustamente vantare una lunga tradizione di democrazia attenta a promuovere e tutelare i diritti dei singoli e delle comunità comprese le minoranze etniche. Infatti, l’esperienza della migrazione di massa, di cui l’Europa è stata protagonista nel secolo scorso, ha fortemente ispirato le scelte politiche degli Stati membri europei per governare il fenomeno attuale dell’immigrazione. Sono convinto che le scelte politiche europee in materia migratoria potrebbero diventare un modello per altre aree del mondo, facendo leva sulla sua storia di grande esperienza umanitaria e di profonde radici nei valori cristiani, dove la solidarietà e il riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana costituiscono un unico punto di riferimento. Ma per non tradire il suo passato e per costruire un futuro migliore, l’Europa ha una sola via da percorrere: quella che tutela, rispetta e promuove la persona umana nella sua integralità, soprattutto con attenzione a garantire le fondamentali libertà, a sostegno di uno sviluppo che tenga conto non solo del bene comune nazionale, ma anche di quello universale.
Francesca Sabatinelli:
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