Commento al Vangelo di Enzo Bianchi"Ascensione del Signore "

1 giugno 2014
Mt 28,16-20
Nelle celebrazioni dei cinquanta giorni dopo la grande festa di Pasqua siamo giunti alla contemplazione di
un nuovo aspetto del mistero pasquale. L’ascensione di Gesù, cioè il momento in cui la chiesa prende
consapevolezza nella fede che il Signore Gesù, il crocifisso risorto e vivente per sempre, ha ormai un’altra
presenza sulla terra, tra i suoi discepoli, nella storia: non è più nella carne fragile e mortale in cui l’hanno
conosciuto, ascoltato, visto e toccato (cf. 1Gv 1,1), ma è ormai un corpo glorioso, spirituale, in Dio.

È sempre uomo, ma la sua umanità, trasfigurata dalla potenza dello Spirito santo, è in Dio, totalmente
partecipe della vita divina. Ecco perché i discepoli non devono “trattenere” Gesù (cf. Gv 20,17), non
devono più decifrarlo in una “visione”, ma lo devono vedere, contemplare e confessare nel grembo del
Padre, Dio vivente per sempre. La discesa del Figlio sulla terra, della Parola fattasi uomo (cf. Gv 1,14), è
diventata, con la morte, ascensione al cielo, ripresa della condizione divina, come nell’in-principio.
Questo mistero ci appare quasi insostenibile: Dio, il Figlio in Dio, Gesù l’uomo risorto ma trafitto con la sua
umanità pur corruttibile in Dio, il Signore della chiesa nella gloria e sempre veniente per i suoi. Gesù
risorto era stato visto dalle donne recatesi al sepolcro nell’alba del primo giorno della settimana, le quali
avevano da lui ricevuto l’ordine di andare in Galilea, dove tutti i discepoli l’avrebbero visto (cf. Mt 28,7).
Dunque gli Undici, cioè la comunità apostolica privata di Giuda, il traditore, e le donne discepole
adempiono il comando di Gesù e vanno sul monte da lui indicato. La Galilea è la terra di Gesù, è il luogo
nel quale ha messo le radici; con quella terra Gesù ha fatto corpo, quella terra l’ha amata perché non era
solo il teatro del suo agire e parlare ma un vero e proprio partner nella sua opera di salvezza. Per questo
egli chiede alla sua comunità di andare là dove ci sono le tracce umane della sua vita, per comprendere la
nuova forma della sua presenza, nell’accettazione della sua assenza fisica. Il vangelo deve però constatare
che anche quando i discepoli “videro” Gesù, dubitarono.
Qui è appena accennato il mistero della fede: quando il credente in Dio aderisce a lui, mette la fiducia in
lui, egli crede, ma nello stesso tempo è assalito dal dubbio e nelle sue profondità scopre un non credere,
un’incapacità di aderire, di mettere fiducia piena e totale in Dio. È una lotta nella quale segretamente
agisce lo Spirito santo che soffia sui dubbi, sulle domande, non per spegnerle ma per renderle capaci di
“vedere nella fede” ciò che non saremmo capaci di vedere con le nostre sole facoltà. E allora ecco che la
fede può vincere sull’incredulità, la convinzione sulla nientità.
Il travaglio avvenuto nei discepoli di Gesù dopo la sua morte è stato lungo, faticoso, segnato da
indietreggiamenti e regressioni. Il loro non è stato un cammino senza contraddizioni, ma la potenza dello
Spirito santo lasciato in dono da Gesù li ha portati a contemplarlo risorto, a collocarlo nel grembo del
Padre come Signore vivente per sempre. Dio ha aiutato questi poveri uomini e queste povere donne con il
suo Soffio santo che – come ci testimoniano i racconti evangelici della resurrezione – essi hanno sentito in
sé come un angelo, un giovinetto, due uomini, due angeli presso la tomba vuota: tutti interpreti
dell’evento di salvezza con il quale Gesù ha vinto la morte per sempre e il Padre lo ha rialzato dai morti.
Da allora i discepoli, i credenti in Gesù, adorano e dubitano, ma ecco che il Signore risorto viene, si
avvicina e dona loro la sua parola: “Io sono il vostro Signore, sono il capo del corpo che voi siete, la
chiesa, nella pienezza della signoria donatami dal Padre con la resurrezione da morte e l’ascensione alla
sua destra. Perciò la missione ora è vostra, o meglio spetta a voi continuare la mia missione tra tutte le
genti, dove troverete nuovi miei discepoli. Io non vi abbandono, ma sono con voi fino alla fine della
storia”. Così termina il vangelo: all’inizio alla vergine era stato annunciato che avrebbe dato alla luce un
Figlio, il Dio-con-noi, l’Emmanuele (cf. Mt 1,23; Is 7,14); ora, anche se nel seno del Padre, nella gloria
divina, Gesù resta il Dio-con-noi per sempre.
Enzo Bianchi

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