Commento a cura delle Clarisse di Via Vitellia Ascensione del Signore (Anno A) (01/06/2014)

Vangelo: Mt 28,16-20
COMMENTO ALLE LETTURE
"Ecco, è ormai chiaro che per la grazia di Dio la più degna tra le creature, l'anima dell'uomo fedele, è più grande del cielo, poiché i cieli con tutte le altre creature non possono contenere il Creatore, mentre la sola anima fedele è sua dimora e sede, e ciò soltanto grazie alla carità di cui gli empi sono privi, come
afferma la Verità stessa: Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò, e verremo a lui e faremo dimora presso di lui (3LAg 21-23)". Così Chiara d'Assisi scrive nel lontano XIII secolo alla consorella S. Agnese di Praga, già regina di Boemia. E nel contemplare oggi il mistero di Gesù che ascende nei cieli queste sue parole ci possono aiutare.
"Cielo" infatti non è uno spazio fisico circoscrivibile, tanto è vero che una nube sottrae il Signore agli occhi attoniti degli apostoli, che non riescono a seguirne l'ascensione se non nei primi istanti. E subito due angeli li richiamano: "Perché fissate il cielo?".
Certo, tradizionalmente "cielo" è il luogo di Dio, che a Natale appunto "scende dalle stelle" e oggi, nel concludere la sua vicenda umana, risale là da dove è venuto; "cielo" è lo spazio d'aria che sta sopra di noi, sopra non si sa fin dove, infinitamente sopra, misteriosamente sopra. Ed è una tradizione che ci aiuta, perché ci incoraggia a cercare Dio sollevando lo sguardo, del cuore e della mente prima ancora che degli occhi, verso le cose di lassù (cf. Col 3,1-2). Le vicende umane infatti - tutte, dalle più banali e quotidiane alle più insolite e straordinarie - hanno un impatto diverso sulla nostra vita a seconda della prospettiva da cui le si contempla: se la prospettiva è orizzontale, meramente terrena, daremo una lettura altrettanto orizzontale, dunque superficiale, riduttiva; se la prospettiva è verticale, celeste, sarà anche divina, cioè sarà quella da cui Dio stesso guarda e legge quell'evento. E questo cambia tutto.
Tornando a Chiara d'Assisi e al suo carteggio con l'amata consorella boema, per Chiara "cielo" è "l'anima dell'uomo fedele", dell'uomo che ha fede, e che per questo diventa "sede e dimora di Dio". Ecco dunque il cielo in cui Gesù oggi ascende: la nostra anima! Il latino ci viene in aiuto: l'"altus" latino infatti dice non solo e non tanto di un'altezza, ma di una profondità, di uno spessore che si estende sì in senso verticale, ma in entrambe le direzioni. Ed è in questa profondità interiore che Gesù ascende, che chiede di essere accolto. La Chiesa nella sua sapienza ci dona un tempo per prepararci alla sua venuta dentro di noi, attraverso la novena allo Spirito Santo che stiamo celebrando in questi giorni, in attesa della sua... "discesa", appunto, perché lo Spirito discende dal Padre e dal Figlio, che sono in cielo. E tutti e tre, Padre, Figlio e Spirito, bussano alla porta dell'anima per essere accolti, come Chiara rileva sapientemente, forte della Parola stessa di Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23b).
"Se uno mi ama", dice Gesù; e Chiara fa eco: "... ciò soltanto grazie alla carità". Perché questo discorso non sembri astratto, aereo, poco utile a noi che ci confrontiamo quotidianamente con l'affanno e i problemi della vita, Gesù - e Chiara dopo di Lui e con Lui - ci dice la via per preparare l'anima ad accoglierlo, che è la via maestra dell'amore. La fede quando è autentica si traduce spontaneamente in opere di carità: "Mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede", direbbe S. Giacomo (cf. Gc 2,14ss.). Opere di carità, dunque gesti concreti, verificabili, leggibili, sia verso Dio sia verso i fratelli; tempo dedicato al Signore nella preghiera e tempo dedicato ai fratelli nell'attenzione del cuore e della mente: questo fa di un uomo un "fedele", questo dilata il suo mondo interiore a quella profondità che lo rende capace di Dio.
Ecco allora la speranza alla quale siamo chiamati, il tesoro di gloria che racchiude l'eredità di Gesù tra i santi, la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che appunto crediamo (cf. Ef 1,17-19). Ecco in che modo Gesù rimane con noi "tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20b), come promette agli undici sul monte di Galilea: rimane in ragione della fede, quella fede che si declina nell'amore.
È allora comprensibile la gioia che rallegra il cuore degli apostoli in questo nuovo distacco da Gesù (cf. Lc 24,52); e sono quegli stessi apostoli che solo poco tempo prima si erano rattristati nel momento in cui Gesù aveva parlato della sua prossima partenza (cf. Gv 16,5-7). Ora è diverso, è cambiato tutto, perché gli apostoli hanno visto l'efficacia della forza e del vigore del Padre della gloria, manifestati nella risurrezione di Cristo (cf. Ef 1,19b-20): dopo il mattino di Pasqua nulla è più come prima, nulla può esserlo!
A Gesù è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra, e questo potere Egli lo comunica ai discepoli, a coloro che credono. Così ci assicura Gesù stesso: "Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno" (Mc 16,17-18). E ancora: "In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò" (Gv 14,12-14). E questo è reso possibile perché Gesù si sottrae oggi agli occhi del corpo per venire ad abitare nel cielo della nostra anima, e fare così di noi le sue membra visibili sulla terra, fino alla fine dei secoli.
Gioia piena, dunque, perché può finalmente risplendere la nostra immagine e somiglianza di Dio, in Gesù risorto e vivo!

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