dom Luigi Gioia" Pregherò il Padre e vi darà un altro Paràclito"
VI Domenica di Pasqua (Anno A) (25/05/2014)
Vangelo: Gv 14,15-21
Due volte nel vangelo di oggi Gesù si riferisce ai suoi comandamenti: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti e Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama.
Nel Vangelo di Giovanni la parola ‘comandamenti' si riconduce ad un atteggiamento fondamentale che è quello dell'amore. Se cerchiamo il vero senso della parola ‘comandamento' o ‘comandamenti' nel Vangelo di Giovanni la troviamo in queste due frasi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri e più avanti Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati.
Possiamo chiederci perché Gesù chiami l'amore un comandamento. L'amore, come la fede non si comandano. Imporsi di amare è un controsenso: si ama o non si ama. Se c'è bisogno di imporselo allora vuol dire che siamo ancora in una logica diversa da quella dell'amore.
In realtà il termine ‘comandamento' richiama il decalogo, cioè l'alleanza, la relazione del Signore con il suo
popolo. Nell'Antico Testamento i dieci comandamenti erano una serie di regole da osservare: non rubare, non uccidere, non mentire, ecc. Tutte cose che restano valide, ma che come regole, cioè appunto come comandamenti, restano troppo esteriori a noi per poter realmente cambiare il nostro cuore. Quali che siano le regole che cerchiamo di osservare, il nostro cuore resta lo stesso. Per questo c'era bisogno di un comandamento nuovo - come dice Gesù: Vi do un comandamento nuovo. Nuovo non perché si aggiunge agli altri, ma perché è diverso dagli altri, perché porta con sé una novità radicale. Non è scritto - come dice il profeta Ezechiele - sulle tavole di pietra, ma nel cuore. Prima di essere un comandamento è un dono. Anzi, può essere un comando, proprio perché è prima di tutto un dono.
Per questo, nel Vangelo di Giovanni Gesù ripete così spesso Rimanete nel mio amore, cioè "Non perdete il contatto con il dono che vi faccio di me stesso, della vita, della forza, della possibilità di rinnovarvi ogni giorno, ogni momento". Prima di essere un'ingiunzione ad amare, il "comando" di amare è un invito pressante a rimanere nell'amore di Gesù. Il solo modo per poter amare è di rimanere nell'amore di Cristo, è di farci amare da lui e scoprire sempre di più - come dice Paolo - l'altezza, la profondità, l'ampiezza dell'amore di Cristo per noi.
La qualità della nostra vita di fede dipende da questo fondamento. La fede resterà sempre esteriore, resterà un dovere, sarà incapace di cambiare veramente la nostra vita, fino a che non avremo davvero scoperto l'amore di Dio per noi. A questo amore dobbiamo costantemente ritornare per rigenerare la nostra vita di fede, per trovare soprattutto le ragioni autentiche per continuare a sperare. Questo è quanto ci invita a fare la seconda lettura, tratta dalla prima lettera di san Pietro apostolo, quando dice: Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
C'è una prontezza che deve caratterizzare il cristiano: deve essere sempre pronto a rendere ragione della speranza che è in lui. Come vivere questa prontezza? Adorando il Signore, Cristo, nei vostri cuori, dice Pietro.
Adorare il Signore, Cristo, nei nostri cuori, esprime la stessa verità che in Giovanni è formulata con le parole: Rimanete nel mio amore.
Adoriamo il Signore, Cristo, nei nostri cuori, se rimaniamo nel suo amore, se ci rinnoviamo costantemente nell'esperienza di questo amore di Cristo. Solo esso ci darà questa speranza che è il fondamento della nostra libertà. Libertà, prima di tutto, dalla tentazione di imporre la nostra fede. Pietro aggiunge: tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto. Solo chi ha fatto l'esperienza che non è stata la forza, non è stata la paura, non è stato il timore, ma l'esperienza dell'amore di Cristo che ha cambiato la sua vita, solo questa persona può non volerla imporre agli altri. Solo questa persona capirà profondamente che il modo più profondo di rendere ragione della speranza che è in noi sono proprio questa dolcezza e questo rispetto.
A questo riguardo, uno degli esempi più lampanti che ho incontrato è stato quello di alcune suore in Cina che esercitano il loro ministero in un contesto che non permette loro di testimoniare apertamente della loro fede: non possono evangelizzare, né fare catechesi, né portare l'abito religioso. Non possono in nessun modo essere esplicite sulle ragioni della loro speranza. Una di queste suore mi spiegò il senso del loro ministero in questo contesto molto difficile, semplicemente con queste parole: "Siamo qui per amare e basta". Questo lo fanno attraverso il servizio a persone affette dalla lebbra e a persone anziane. E hanno saputo farlo in un modo che ha conquistato la fiducia anche di persone estremamente ostili al cristianesimo e ad ogni forma di proselitismo. Questo è il potere che ha l'amore. Questo è il potere che ha la speranza che è in noi. Questa è forse una delle espressioni più chiare, più belle, di quello che Pietro dice, quando chiede che questa testimonianza sia fatta con dolcezza e con rispetto.
Cerchiamo di ritornare costantemente a questa esperienza dell'amore di Cristo per noi. Solo essa rinnoverà le nostre ragioni di sperare. Solo essa ci porterà a quella consolazione che da una qualità, una tonalità diversa alle nostre vite. Solo essa ci permetterà di trovare il tono, il modo giusto di testimoniare della nostra fede con dolcezza e con rispetto prima di tutto attraverso l'amore che dispenseremo intorno a noi.
Vangelo: Gv 14,15-21
Due volte nel vangelo di oggi Gesù si riferisce ai suoi comandamenti: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti e Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama.
Nel Vangelo di Giovanni la parola ‘comandamenti' si riconduce ad un atteggiamento fondamentale che è quello dell'amore. Se cerchiamo il vero senso della parola ‘comandamento' o ‘comandamenti' nel Vangelo di Giovanni la troviamo in queste due frasi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri e più avanti Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati.
Possiamo chiederci perché Gesù chiami l'amore un comandamento. L'amore, come la fede non si comandano. Imporsi di amare è un controsenso: si ama o non si ama. Se c'è bisogno di imporselo allora vuol dire che siamo ancora in una logica diversa da quella dell'amore.
In realtà il termine ‘comandamento' richiama il decalogo, cioè l'alleanza, la relazione del Signore con il suo
popolo. Nell'Antico Testamento i dieci comandamenti erano una serie di regole da osservare: non rubare, non uccidere, non mentire, ecc. Tutte cose che restano valide, ma che come regole, cioè appunto come comandamenti, restano troppo esteriori a noi per poter realmente cambiare il nostro cuore. Quali che siano le regole che cerchiamo di osservare, il nostro cuore resta lo stesso. Per questo c'era bisogno di un comandamento nuovo - come dice Gesù: Vi do un comandamento nuovo. Nuovo non perché si aggiunge agli altri, ma perché è diverso dagli altri, perché porta con sé una novità radicale. Non è scritto - come dice il profeta Ezechiele - sulle tavole di pietra, ma nel cuore. Prima di essere un comandamento è un dono. Anzi, può essere un comando, proprio perché è prima di tutto un dono.
Per questo, nel Vangelo di Giovanni Gesù ripete così spesso Rimanete nel mio amore, cioè "Non perdete il contatto con il dono che vi faccio di me stesso, della vita, della forza, della possibilità di rinnovarvi ogni giorno, ogni momento". Prima di essere un'ingiunzione ad amare, il "comando" di amare è un invito pressante a rimanere nell'amore di Gesù. Il solo modo per poter amare è di rimanere nell'amore di Cristo, è di farci amare da lui e scoprire sempre di più - come dice Paolo - l'altezza, la profondità, l'ampiezza dell'amore di Cristo per noi.
La qualità della nostra vita di fede dipende da questo fondamento. La fede resterà sempre esteriore, resterà un dovere, sarà incapace di cambiare veramente la nostra vita, fino a che non avremo davvero scoperto l'amore di Dio per noi. A questo amore dobbiamo costantemente ritornare per rigenerare la nostra vita di fede, per trovare soprattutto le ragioni autentiche per continuare a sperare. Questo è quanto ci invita a fare la seconda lettura, tratta dalla prima lettera di san Pietro apostolo, quando dice: Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
C'è una prontezza che deve caratterizzare il cristiano: deve essere sempre pronto a rendere ragione della speranza che è in lui. Come vivere questa prontezza? Adorando il Signore, Cristo, nei vostri cuori, dice Pietro.
Adorare il Signore, Cristo, nei nostri cuori, esprime la stessa verità che in Giovanni è formulata con le parole: Rimanete nel mio amore.
Adoriamo il Signore, Cristo, nei nostri cuori, se rimaniamo nel suo amore, se ci rinnoviamo costantemente nell'esperienza di questo amore di Cristo. Solo esso ci darà questa speranza che è il fondamento della nostra libertà. Libertà, prima di tutto, dalla tentazione di imporre la nostra fede. Pietro aggiunge: tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto. Solo chi ha fatto l'esperienza che non è stata la forza, non è stata la paura, non è stato il timore, ma l'esperienza dell'amore di Cristo che ha cambiato la sua vita, solo questa persona può non volerla imporre agli altri. Solo questa persona capirà profondamente che il modo più profondo di rendere ragione della speranza che è in noi sono proprio questa dolcezza e questo rispetto.
A questo riguardo, uno degli esempi più lampanti che ho incontrato è stato quello di alcune suore in Cina che esercitano il loro ministero in un contesto che non permette loro di testimoniare apertamente della loro fede: non possono evangelizzare, né fare catechesi, né portare l'abito religioso. Non possono in nessun modo essere esplicite sulle ragioni della loro speranza. Una di queste suore mi spiegò il senso del loro ministero in questo contesto molto difficile, semplicemente con queste parole: "Siamo qui per amare e basta". Questo lo fanno attraverso il servizio a persone affette dalla lebbra e a persone anziane. E hanno saputo farlo in un modo che ha conquistato la fiducia anche di persone estremamente ostili al cristianesimo e ad ogni forma di proselitismo. Questo è il potere che ha l'amore. Questo è il potere che ha la speranza che è in noi. Questa è forse una delle espressioni più chiare, più belle, di quello che Pietro dice, quando chiede che questa testimonianza sia fatta con dolcezza e con rispetto.
Cerchiamo di ritornare costantemente a questa esperienza dell'amore di Cristo per noi. Solo essa rinnoverà le nostre ragioni di sperare. Solo essa ci porterà a quella consolazione che da una qualità, una tonalità diversa alle nostre vite. Solo essa ci permetterà di trovare il tono, il modo giusto di testimoniare della nostra fede con dolcezza e con rispetto prima di tutto attraverso l'amore che dispenseremo intorno a noi.
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