don Alberto Brignoli"Una vita passando dalla porta"

IV Domenica di Pasqua (Anno A) (11/05/2014)
Vangelo: Gv 10,1-10
Una cosa è comune a tutto il genere letterario delle parabole, così spesso e in maniera così efficace utilizzato dagli evangelisti, da farci pensare a ragion veduta che Gesù fosse particolarmente affezionato a questa modalità discorsiva, quando parlava alle folle o ai discepoli: ed è il fatto che tutte le parabole narrano fatti, utilizzano situazioni, descrivono momenti e addirittura menzionano oggetti e cose della vita quotidiana, per farci capire che proprio nella quotidianità - e non nella straordinarietà delle forme - Dio si rivela come colui che si fa vicino all'uomo, che si fa uomo per salvarci. Al punto che possiamo senza timore dire che Gesù stesso è la più grande parabola di Dio sull'umanità. E Gesù ne è talmente consapevole, che nel brano di Vangelo che abbiamo ascoltato oggi e che fa parte di un capitolo ricco di affascinanti similitudini, definisce se stesso "una porta", ossia uno degli
oggetti più comuni e più utilizzati nell'ordinarietà della vita di ogni giorno.
Pensiamo anche solo alle volte in cui, durante l'arco di una giornata, passiamo attraverso una porta o un cancello, aperti o chiusi che siano, privi o no d'infissi. Anche se viviamo in un monolocale, già dalle prime ore della giornata passiamo da uno spazio all'altro della casa attraversando almeno una porta o un varco; e comunque, quando usciamo, la porta di casa ci attende chiusa, per essere aperta e poi nuovamente richiusa. E poi siamo sulla strada, aprendo un'altra porta che dà sulla via, e anche il mezzo motorizzato che utilizziamo per spostarci ha quasi sempre una porta; così come la scuola, l'ufficio, il laboratorio, il negozio, l'ospedale, il palazzo, la chiesa, la casa di amici che frequentiamo...non sono mai privi di porte. E in molti casi, addirittura quegli "open space" a cielo aperto che sono le città nelle quali viviamo, pur senza che ce ne accorgiamo, hanno delle porte, che in moltissimi casi conservano addirittura la struttura (o anche solo il nome) delle antiche porte della città, cinte da mura difensive (un po' di sano campanilismo mi fa pensare alle quattro, storiche porte, della mia Bergamo Alta...). Porte che, erette in tempi in cui era necessario difendersi, ben poco hanno in comune con quella porta che è Gesù stesso, il quale non si ferma alla similitudine della porta in sé, ma si definisce addirittura "la porta delle pecore".
Perché - dovendo utilizzare la similitudine di questo spazio di vita quotidiana - Gesù non utilizza qualcosa di più nobile per definirsi, come potrebbe essere "la porta del palazzo", o "il portone della reggia", o il "portale della cattedrale", che certamente richiamano molto di più le caratteristiche di una soglia da cui si ha la consapevolezza di entrare e uscire?
Proviamo a pensare che cos'è, e a che cosa serve, una porta. Ci pare abbastanza evidente: è uno spazio che separa due luoghi, a volte interni, ma è più efficace se pensiamo allo spazio che separa l'interno dall'esterno, il luogo in cui ci si sente al sicuro dal luogo in cui si è gettati allo sbaraglio. Ma pure il passaggio dal luogo in cui si rimane rinchiusi a quello in cui ci si sente liberi; la porta è proprio un luogo di passaggio, un'apertura verso qualcosa di altro, lasciare una cosa per entrare in un'altra. Uno spazio simbolico, quindi, perché sta ad indicare anche diverse fasi della nostra vita, in cui apriamo e chiudiamo simbolicamente delle porte; la porta dell'età (quando ad esempio si passa dalla fanciullezza all'adolescenza, o dalla maturità alla vecchiaia), la porta della professione (dallo studio al lavoro), la porta delle scelte di vita (dalla solitudine alla vita di coppia), la porta di un trasloco, la porta di un viaggio, la porta di un affetto o di una relazione, e, alla fine, la porta della vita, da cui tutti passiamo, e non senza timore e preoccupazione. La Pasqua stessa, il "passaggio", è una porta... forse tutta la vita è un aprire e chiudersi di porte che ci fanno provare la bellezza e l'entusiasmo di qualcosa che inizia, e la drammaticità e il timore di fronte a qualcosa che si chiude e quindi termina, per poi - forse - ricominciare da capo. Entrare e uscire sono l'immagine più frequente che contraddistingue la vita dell'uomo, e la porta ne è il luogo intermedio, simbolico, il punto di riferimento, ciò che ci fa capire da che parte dobbiamo passare e per dove dobbiamo indirizzare i nostri passi.
Gesù è la porta, quindi, ed è la porta "delle pecore": certamente, l'immagine ci rimanda al recinto, come lui stesso ci fa intuire, quando ci dice che la porta è il luogo in cui entrano le pecore con il pastore, a differenza di come fa il ladro, che scavalca il recinto per mettere a segno il suo colpo. Ma l'immagine rimanda molto di più alle pecore; a quell'animale così umile, così familiare e così utile con tutto se stesso alla vita dell'uomo (lo si utilizza proprio tutto!), eppure così poco leggiadro, se non quando è un agnellino, perché di certo ben poco profumato e piacevole da accostare... Gesù ne è la porta, Gesù ne è il punto di riferimento, Gesù ne è il passaggio, Gesù - per dirla con un immagine utilizzata da papa Francesco - porta con sé "l'odore delle pecore". E questo (ce lo dice il prosieguo del capitolo 10 di Giovanni) non solo perché ne è la porta, ma perché è il pastore impregnato di odore delle pecore.
Questa parabola viene principalmente a noi pastori - e non a caso la quarta domenica di Pasqua, quella del Buon Pastore, è anche quella in cui si celebra la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni: a tutti noi fa piacere essere dei punti di riferimento, essere delle guide, essere delle porte che fanno simbolicamente da punto di passaggio, e delle quali spesso e volentieri ci consideriamo serrature che aprono e chiudono o cardini intorno ai quali gira tutto il discorso di fede. Gesù ci chiede di essere "porte", ma di esserlo come lui: porte delle pecore, impregnate del loro odore, capaci di condividere con le pecore l'uscita ai pascoli e l'entrata al recinto, l'uscita della missione che fa respirare e dona vita, e il rientro al porto sicuro della misericordia che accoglie, l'uscita verso chi è lontano, e l'entrata per chi lontano non può e non si deve mai più sentire.
O siamo porte, o siamo ladri: alternative, non ce ne sono. Ma il ladro viene solo per rubare e uccidere. Non sarà nobile, essere definiti "la porta di un recinto di pecore"; ma se questo serve a dare vita, e vita in abbondanza... ben venga anche la porta delle pecore!

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