don Luca Garbinetto " Gareggiamo nell'amore con Dio"
VI Domenica di Pasqua (Anno A) (25/05/2014)
Vangelo: Gv 14,15-21
Viviamo in un mondo abituato a parlare di amore e a presentarne ogni giorno il volto sfigurato e banalizzato, nelle miriadi di proposte offerte dalla tecnologia. Viviamo in un mondo capace di mettere in contatto le persone alle estremità dei continenti e assetato profondamente di relazione, ma terrorizzato quando si tratta di stringersi le mani l'un l'altro e di guardarsi negli occhi. Viviamo in un mondo che promuove il culto del corpo e stimola ossessivamente le corde delicate della nostra affettività, ma attraversato da una spaventosa epidemia di solitudine e frammentato in rivoli dolorosi di egoismo.
Viviamo... e dire che viviamo è già un andare controcorrente, una proposta rivoluzionaria. Perché ci si abitua, anche nelle competizioni televisive e nei rapporti ‘usa e getta', a credere di dover sostanzialmente soltanto sopravvivere e difendersi dalla minaccia dell'altro. Invece, noi vogliamo vivere! E vivere felici! Felici proprio in questo mondo, che non si accorge di correre il rischio più grande: quello di non vedere più Gesù, la fonte della vita, e di non poter ricevere ‘lo Spirito della verità', ‘perché non lo vede e non lo conosce'.
Ma noi viviamo: ce l'ha detto Lui, come promessa che si compie oggi. ‘Perché io vivo e voi vivrete'.
Anche questa domenica, la Parola ci suggerisce di non accontentarci, e di essere svegli e vigilanti. Ci viene offerta la opportunità di ricevere in dono e di custodire per sempre la perla più preziosa di tutte, l'acqua zampillante di cui abbiamo sete, la risposta alle nostre più intime angosce: ci viene donato Dio in persona. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che vivono nell'amore e sono l'amore, si offrono a noi per renderci partecipi della loro traboccante relazione d'amore.
Tutto ciò può sembrare così lontano e astratto, se continuiamo a pensare che Dio non abbia niente a che vedere con le vicende quotidiane del mondo e che i nostri problemi e i nostri guai sussistano su una sfera diversa da quella della fede. La fede, invece, è la realtà più concreta dell'esistenza: è ciò su cui si regge l'intero edificio della nostra vita, sono le fondamenta che impediscono alla casa di cadere. Pietro lo scriveva ai membri della comunità di Roma, invitandoli a saper dare ragione della loro speranza (cfr. 1Pt 3,15). E questa speranza - lo aveva capito bene, avendolo vissuto sulla propria pelle - non nasce dalla conoscenza esteriore e razionale di un episodio storico o di qualche norma morale suggerite dal profeta Gesù. Nasce invece dall'adorazione del Signore Gesù ‘nei vostri cuori'. L'evento della morte e risurrezione di Cristo entra a far parte costitutiva della nostra persona, entra in circolo nel sangue che scorre nelle nostre vene, entra nella memoria della nostra personale storia di salvezza. La relazione intima con Gesù sostiene la nostra esistenza, e la rende spazio di senso, luogo di amore, storia di salvezza nella misura in cui ci lasciamo avvolgere e impregnare da essa.
É qualcosa difficile da esprimere in parole, per noi figli dell'immediato e dell'esteriore. Può avere qualcosa a che vedere con le ansie dei disoccupati e degli sfruttati di questo mondo? Può intaccare la presuntuosa autoreferenzialità dei potenti e degli oppressori? Sì. Perché è una buona notizia sconvolgente. Gesù ci invita a divenire partecipi con Lui della stessa relazione che Egli ha con il Padre. Quindi a divenire in Lui figli, figli adottivi per grazia dello Spirito. É come se, mentre prima, guardandoci allo specchio, ci vedevamo vuoti e ci sforzavamo di nascondere tanta povertà aumentando gli strati di trucco e facendo la voce grossa, ora invece possiamo guardarci allo specchio e vedere traboccare dalla luce degli occhi la pienezza di quello che siamo dentro: figli! Se ogni mattino inizia così, ne trova profondo giovamento l'intera giornata e tutti i nostri rapporti!
Dio, infatti, vince il dramma dell'orfanità. Dio sconfigge la tragedia dell'abbandono. Dio scava dentro e fa sgorgare la novità della vita dalla relazione vitale e vivificante con Lui. Lo Spirito Santo, leggero come una brezza, e profumato di tutti gli aromi della creazione e della storia, opera questo prodigio e ci restituisce la nostra identità più bella. Ritorniamo capaci di amare, perché ci lasciamo amare.
Questa è la nostra verità, ricevuta in dono, ma anche progetto da compiere. Questo è il significato dei comandamenti che Gesù ci lascia in eredità, che rappresentano piuttosto la necessaria e naturale conseguenza del motivo del nostro esistere. Se scopro che sono amore, non posso non amare. Proprio come il Padre. Se scopro che sono ricolmo di amore, non posso trattenere l'amore ricevuto gratuitamente in dono. Proprio come il Figlio. Se scopro che attorno a me tanti ancora si sentono orfani - e quanti sono resi orfani dall'egoismo del mondo! -, non posso che condividere la scoperta affascinante di essere ovunque e con chiunque una comunità di fratelli, perché figli. Proprio come lo Spirito, che fa la Chiesa.
Si genera così l'unica incredibile gara che ha senso di correre in questa vita. É una specie di competizione, tra noi, ma persino con Dio stesso, a vedere chi ama di più! Si può competere nell'amore con la Trinità? Sappiamo già di essere perdenti... Ma non ci interessa la classifica, il premio è già nell'amare, o meglio nell'essere amato. E chi guarda alla classifica, ha già smarrito il senso dell'amore, che è dono gratuito. Ci interessa lasciar esplodere l'amore ricevuto.
E d'altro canto, al guardare il Figlio Crocifisso, primogenito di tanti figli, non scopriamo con trepidazione che è proprio perdendo che vinciamo nell'amore? Amare Gesù è amare la Croce, autentica dimora dell'amore. Perché sulla Croce, che ci visita ogni giorno se impariamo ad offrirci per amore, si manifesta la sconfitta che vince il mondo: abbandonati i muri dell'egoismo e dell'autorealizzazione, consegnate le armi della superbia e della sensualità, spalanchiamo le braccia alla relazione che riempie la nostra esistenza. In questa intima unione con la Trinità crocifissa anche i dolori del mondo e la crisi dell'uomo divengono opportunità per manifestare la densità dell'amore.
Vangelo: Gv 14,15-21
Viviamo in un mondo abituato a parlare di amore e a presentarne ogni giorno il volto sfigurato e banalizzato, nelle miriadi di proposte offerte dalla tecnologia. Viviamo in un mondo capace di mettere in contatto le persone alle estremità dei continenti e assetato profondamente di relazione, ma terrorizzato quando si tratta di stringersi le mani l'un l'altro e di guardarsi negli occhi. Viviamo in un mondo che promuove il culto del corpo e stimola ossessivamente le corde delicate della nostra affettività, ma attraversato da una spaventosa epidemia di solitudine e frammentato in rivoli dolorosi di egoismo.
Viviamo... e dire che viviamo è già un andare controcorrente, una proposta rivoluzionaria. Perché ci si abitua, anche nelle competizioni televisive e nei rapporti ‘usa e getta', a credere di dover sostanzialmente soltanto sopravvivere e difendersi dalla minaccia dell'altro. Invece, noi vogliamo vivere! E vivere felici! Felici proprio in questo mondo, che non si accorge di correre il rischio più grande: quello di non vedere più Gesù, la fonte della vita, e di non poter ricevere ‘lo Spirito della verità', ‘perché non lo vede e non lo conosce'.
Ma noi viviamo: ce l'ha detto Lui, come promessa che si compie oggi. ‘Perché io vivo e voi vivrete'.
Anche questa domenica, la Parola ci suggerisce di non accontentarci, e di essere svegli e vigilanti. Ci viene offerta la opportunità di ricevere in dono e di custodire per sempre la perla più preziosa di tutte, l'acqua zampillante di cui abbiamo sete, la risposta alle nostre più intime angosce: ci viene donato Dio in persona. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che vivono nell'amore e sono l'amore, si offrono a noi per renderci partecipi della loro traboccante relazione d'amore.
Tutto ciò può sembrare così lontano e astratto, se continuiamo a pensare che Dio non abbia niente a che vedere con le vicende quotidiane del mondo e che i nostri problemi e i nostri guai sussistano su una sfera diversa da quella della fede. La fede, invece, è la realtà più concreta dell'esistenza: è ciò su cui si regge l'intero edificio della nostra vita, sono le fondamenta che impediscono alla casa di cadere. Pietro lo scriveva ai membri della comunità di Roma, invitandoli a saper dare ragione della loro speranza (cfr. 1Pt 3,15). E questa speranza - lo aveva capito bene, avendolo vissuto sulla propria pelle - non nasce dalla conoscenza esteriore e razionale di un episodio storico o di qualche norma morale suggerite dal profeta Gesù. Nasce invece dall'adorazione del Signore Gesù ‘nei vostri cuori'. L'evento della morte e risurrezione di Cristo entra a far parte costitutiva della nostra persona, entra in circolo nel sangue che scorre nelle nostre vene, entra nella memoria della nostra personale storia di salvezza. La relazione intima con Gesù sostiene la nostra esistenza, e la rende spazio di senso, luogo di amore, storia di salvezza nella misura in cui ci lasciamo avvolgere e impregnare da essa.
É qualcosa difficile da esprimere in parole, per noi figli dell'immediato e dell'esteriore. Può avere qualcosa a che vedere con le ansie dei disoccupati e degli sfruttati di questo mondo? Può intaccare la presuntuosa autoreferenzialità dei potenti e degli oppressori? Sì. Perché è una buona notizia sconvolgente. Gesù ci invita a divenire partecipi con Lui della stessa relazione che Egli ha con il Padre. Quindi a divenire in Lui figli, figli adottivi per grazia dello Spirito. É come se, mentre prima, guardandoci allo specchio, ci vedevamo vuoti e ci sforzavamo di nascondere tanta povertà aumentando gli strati di trucco e facendo la voce grossa, ora invece possiamo guardarci allo specchio e vedere traboccare dalla luce degli occhi la pienezza di quello che siamo dentro: figli! Se ogni mattino inizia così, ne trova profondo giovamento l'intera giornata e tutti i nostri rapporti!
Dio, infatti, vince il dramma dell'orfanità. Dio sconfigge la tragedia dell'abbandono. Dio scava dentro e fa sgorgare la novità della vita dalla relazione vitale e vivificante con Lui. Lo Spirito Santo, leggero come una brezza, e profumato di tutti gli aromi della creazione e della storia, opera questo prodigio e ci restituisce la nostra identità più bella. Ritorniamo capaci di amare, perché ci lasciamo amare.
Questa è la nostra verità, ricevuta in dono, ma anche progetto da compiere. Questo è il significato dei comandamenti che Gesù ci lascia in eredità, che rappresentano piuttosto la necessaria e naturale conseguenza del motivo del nostro esistere. Se scopro che sono amore, non posso non amare. Proprio come il Padre. Se scopro che sono ricolmo di amore, non posso trattenere l'amore ricevuto gratuitamente in dono. Proprio come il Figlio. Se scopro che attorno a me tanti ancora si sentono orfani - e quanti sono resi orfani dall'egoismo del mondo! -, non posso che condividere la scoperta affascinante di essere ovunque e con chiunque una comunità di fratelli, perché figli. Proprio come lo Spirito, che fa la Chiesa.
Si genera così l'unica incredibile gara che ha senso di correre in questa vita. É una specie di competizione, tra noi, ma persino con Dio stesso, a vedere chi ama di più! Si può competere nell'amore con la Trinità? Sappiamo già di essere perdenti... Ma non ci interessa la classifica, il premio è già nell'amare, o meglio nell'essere amato. E chi guarda alla classifica, ha già smarrito il senso dell'amore, che è dono gratuito. Ci interessa lasciar esplodere l'amore ricevuto.
E d'altro canto, al guardare il Figlio Crocifisso, primogenito di tanti figli, non scopriamo con trepidazione che è proprio perdendo che vinciamo nell'amore? Amare Gesù è amare la Croce, autentica dimora dell'amore. Perché sulla Croce, che ci visita ogni giorno se impariamo ad offrirci per amore, si manifesta la sconfitta che vince il mondo: abbandonati i muri dell'egoismo e dell'autorealizzazione, consegnate le armi della superbia e della sensualità, spalanchiamo le braccia alla relazione che riempie la nostra esistenza. In questa intima unione con la Trinità crocifissa anche i dolori del mondo e la crisi dell'uomo divengono opportunità per manifestare la densità dell'amore.
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