don Luca Garbinetto "Il potere di costruire ponti"
Ascensione del Signore (Anno A) (01/06/2014)
Vangelo: Mt 28,16-20
‘Non si va in Cielo salendo scale, ma costruendo ponti'. L'espressione è di don Tonino Bello, testimone credibile del nostro tempo. L'insegnamento è antico come la Chiesa, in cui i suoi ‘pontefici' (dal latino pontifex, cioè ‘costruttori di ponti') sono i primi garanti dell'eredità lasciataci da Gesù in persona.
Non sempre tale insegnamento è stato custodito e vissuto dalla Chiesa stessa con fedeltà radicale al Maestro che ce lo ha affidato. Ed è per questo che anche oggi, come allora, quando gli undici discepoli, piccolo e imperfetto resto di Israele, lo ricevettero come dono prezioso, questo stesso insegnamento deve risuonare costantemente come buona notizia, più che come monito che spaventa, alle orecchie e dalla bocca di ogni cristiano.
Gesù stesso, proprio mentre sale per l'ultima volta sul monte di Galilea, apice dell'esperienza quotidiana e feriale della sua permanenza fra noi, luogo in cui la sua normalissima vita di artigiano ebreo si era manifestata come l'ambito autentico in cui abita il Dio della Vita, luminoso del Sole della trasfigurazione; proprio lì, dove si prepara a salire al Cielo per ricongiungersi con il Padre, dal quale è venuto ed al quale ritorna... lì Gesù rivela che la salita non ha nulla a che vedere con i gradi della superiorità a cui siamo abituati a pensare. E che il potere di Dio, che è stato dato tutto a Gesù, ‘in cielo e sulla terra', ha un nome ben diverso dal potere dell'uomo, con cui abbiamo dolorosa consuetudine. Non è infatti il potere del comando del superiore sull'inferiore, del più ‘alto' sul più ‘basso', del maggiore sul minore; è piuttosto il potere della relazione autentica, della verità che rende liberi.
Ecco i ponti da costruire. Ecco i pilastri su cui ergere le strade che conducono al Cielo e che preparano all'incontro con Dio. Si tratta di instaurare relazioni autentiche e liberanti. Si tratta di spendersi instancabilmente affinché la relazione sia il nome proprio del nostro esistere. É la relazione il potere di Dio dato a Gesù, ed è questo stesso potere che Egli conferisce ai suoi e alla sua Chiesa, lasciando in eredità gli strumenti necessari per praticarlo.
Il tutto va compreso bene. Le scienze umane parlano spesso e molto di relazione, e ci aiutano a comprenderci meglio. Ma la luce che riverbera tutta la sua bellezza viene dalla r-iv-elazione divina e dall'esperienza spirituale di una intima relazione (appunto) con la Trinità.
Dio è Trinità, quindi è relazione. É proprio di ogni autentica relazione la tensione tra i poli dell'individuazione e della dipendenza. In una relazione vi è sempre una ricerca di identità e di autonomia da parte di chi vi si mette in gioco, e allo stesso tempo la necessità di una reciprocità che permetta ai due di riconoscersi bisognosi l'uno dell'altro a vicenda. Più si scopre il tu e se ne accoglie l'esistenza, che incrocia vitalmente la propria, più si diventa io. In questo scambio misterioso e vivificante, sgorga, come nuova realtà unica e irripetibile, non calcolabile in precedenza, il noi dell'amore. Ecco la Trinità: il compimento perfetto di tale gioco di reciprocità, che realizza e riconosce l'unicità di ogni Persona, la quale però non può esistere se non di fronte, volto a volto, all'Altra.
Infinito e indicibile mistero di amore, la Trinità è in se stessa il potere di Dio. Dio, dunque, non ha un potere separato da sé, come quando un Re prende in mano lo scettro o la spada e, simbolicamente o concretamente, mostra il suo potere quale oggetto da manipolare e usare a proprio piacimento.
Il potere di Dio, invece, è Dio stesso. É il suo essere e il suo modo di essere. E dunque non può che essere così: amore. Potere e amore coincidono, nella infrangibile relazione intima della Trinità. Il potere di Dio è il suo stare l'Uno di fronte all'Altro, tendendosi in un abbraccio reciproco che genera la vita.
Questa vita generata siamo noi, e il creato intero. Ma noi in particolare, come figli prediletti di questa comunione feconda d'amore. L'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, è quindi frutto della relazione intima di Dio in se stesso, e allo stesso tempo è se stesso nella misura in cui rimane in relazione con Dio e con gli altri uomini. L'uomo ha ricevuto in sé il potere della relazione. Ma relazione è amore, nella sua verità originaria, ricevuta in dono. Non può, l'uomo, ‘usare' la relazione diversamente, se non per amare; perché significherebbe sfigurarla e camuffare se stesso di menzogna. É l'agire del Maligno che frantuma, frammenta, divide... Rompe, appunto, la relazione.
Ecco allora il significato del comandamento che Gesù, tornando al Padre, nel giorno della sua ascensione che è esercizio di comunione, affida ai suoi discepoli: ‘siate voi stessi e vivete la relazione. E immergete ogni uomo in questa stessa relazione originaria, che li vivifica, cioè li rende veramente uomini'. Gesù esercita il suo potere rinnovando l'amore fecondo e generatore di vita nei sacramenti. E lo fa insieme al Padre e allo Spirito: non sono mai separabili, coloro che sono insieme una cosa sola. Ma ci abilita a fare altrettanto, generando vita nuova con Lui nel farci strumento di grazia e di relazione.
Ecco i ponti che si costruiscono, pienamente rispettosi dei ruoli e dei limiti che ogni relazione richiede e sostiene. Come un padre e una madre non possono e non devono scambiarsi di ruolo con un figlio, così l'uomo non può e non deve sostituirsi a Dio. Soprattutto quando esercita il potere. Non può nemmeno cambiare lo stile di Dio, perché sarebbe come sfigurare nuovamente il Suo volto, già crocifisso dal nostro rifiuto della relazione originaria con Lui. In ogni ambito di esistenza, nella Galilea dei rapporti quotidiani, fra le genti e fra la propria gente, ogni discepolo è chiamato a mettere in pratica e a condividere l'insegnamento vitale del Signore, che è una maniera di essere più che un complesso di concetti teorici. Il discepolo, ogni giorno, dovunque, si ingegna per costruire relazioni nuove, relazioni autentiche, relazioni che fanno verità, relazioni che danno vita. E si sforza di mantenerle vive, anche quando vengono messe a rischio dalle intemperie dell'esistenza, dalle ferite della storia, dalle tentazioni del Maligno, dalle cadute della carne debole.
In questo, il discepolo e la Chiesa intera ritornano costantemente alla relazione originaria, ricevuta in dono nel battesimo. Perché solo il Signore vive pienamente la fedeltà della relazione, Egli che è con noi, ‘fino alla fine del mondo'. Nel tempo e nello spazio, solo l'amore di Dio non ha confini. Neanche quando l'amore si chiama perdono, vertice della relazione. E solo questo amore ci rende capaci di gettare ponti verso chiunque, anche quando il peso dell'opera si fa sentire!
Un grande mistero ci è stato affidato: il potere di ascendere con il Signore al Cielo, tanto più sapremo realizzare ponti di amore su questa terra!
Vangelo: Mt 28,16-20
‘Non si va in Cielo salendo scale, ma costruendo ponti'. L'espressione è di don Tonino Bello, testimone credibile del nostro tempo. L'insegnamento è antico come la Chiesa, in cui i suoi ‘pontefici' (dal latino pontifex, cioè ‘costruttori di ponti') sono i primi garanti dell'eredità lasciataci da Gesù in persona.
Non sempre tale insegnamento è stato custodito e vissuto dalla Chiesa stessa con fedeltà radicale al Maestro che ce lo ha affidato. Ed è per questo che anche oggi, come allora, quando gli undici discepoli, piccolo e imperfetto resto di Israele, lo ricevettero come dono prezioso, questo stesso insegnamento deve risuonare costantemente come buona notizia, più che come monito che spaventa, alle orecchie e dalla bocca di ogni cristiano.
Gesù stesso, proprio mentre sale per l'ultima volta sul monte di Galilea, apice dell'esperienza quotidiana e feriale della sua permanenza fra noi, luogo in cui la sua normalissima vita di artigiano ebreo si era manifestata come l'ambito autentico in cui abita il Dio della Vita, luminoso del Sole della trasfigurazione; proprio lì, dove si prepara a salire al Cielo per ricongiungersi con il Padre, dal quale è venuto ed al quale ritorna... lì Gesù rivela che la salita non ha nulla a che vedere con i gradi della superiorità a cui siamo abituati a pensare. E che il potere di Dio, che è stato dato tutto a Gesù, ‘in cielo e sulla terra', ha un nome ben diverso dal potere dell'uomo, con cui abbiamo dolorosa consuetudine. Non è infatti il potere del comando del superiore sull'inferiore, del più ‘alto' sul più ‘basso', del maggiore sul minore; è piuttosto il potere della relazione autentica, della verità che rende liberi.
Ecco i ponti da costruire. Ecco i pilastri su cui ergere le strade che conducono al Cielo e che preparano all'incontro con Dio. Si tratta di instaurare relazioni autentiche e liberanti. Si tratta di spendersi instancabilmente affinché la relazione sia il nome proprio del nostro esistere. É la relazione il potere di Dio dato a Gesù, ed è questo stesso potere che Egli conferisce ai suoi e alla sua Chiesa, lasciando in eredità gli strumenti necessari per praticarlo.
Il tutto va compreso bene. Le scienze umane parlano spesso e molto di relazione, e ci aiutano a comprenderci meglio. Ma la luce che riverbera tutta la sua bellezza viene dalla r-iv-elazione divina e dall'esperienza spirituale di una intima relazione (appunto) con la Trinità.
Dio è Trinità, quindi è relazione. É proprio di ogni autentica relazione la tensione tra i poli dell'individuazione e della dipendenza. In una relazione vi è sempre una ricerca di identità e di autonomia da parte di chi vi si mette in gioco, e allo stesso tempo la necessità di una reciprocità che permetta ai due di riconoscersi bisognosi l'uno dell'altro a vicenda. Più si scopre il tu e se ne accoglie l'esistenza, che incrocia vitalmente la propria, più si diventa io. In questo scambio misterioso e vivificante, sgorga, come nuova realtà unica e irripetibile, non calcolabile in precedenza, il noi dell'amore. Ecco la Trinità: il compimento perfetto di tale gioco di reciprocità, che realizza e riconosce l'unicità di ogni Persona, la quale però non può esistere se non di fronte, volto a volto, all'Altra.
Infinito e indicibile mistero di amore, la Trinità è in se stessa il potere di Dio. Dio, dunque, non ha un potere separato da sé, come quando un Re prende in mano lo scettro o la spada e, simbolicamente o concretamente, mostra il suo potere quale oggetto da manipolare e usare a proprio piacimento.
Il potere di Dio, invece, è Dio stesso. É il suo essere e il suo modo di essere. E dunque non può che essere così: amore. Potere e amore coincidono, nella infrangibile relazione intima della Trinità. Il potere di Dio è il suo stare l'Uno di fronte all'Altro, tendendosi in un abbraccio reciproco che genera la vita.
Questa vita generata siamo noi, e il creato intero. Ma noi in particolare, come figli prediletti di questa comunione feconda d'amore. L'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, è quindi frutto della relazione intima di Dio in se stesso, e allo stesso tempo è se stesso nella misura in cui rimane in relazione con Dio e con gli altri uomini. L'uomo ha ricevuto in sé il potere della relazione. Ma relazione è amore, nella sua verità originaria, ricevuta in dono. Non può, l'uomo, ‘usare' la relazione diversamente, se non per amare; perché significherebbe sfigurarla e camuffare se stesso di menzogna. É l'agire del Maligno che frantuma, frammenta, divide... Rompe, appunto, la relazione.
Ecco allora il significato del comandamento che Gesù, tornando al Padre, nel giorno della sua ascensione che è esercizio di comunione, affida ai suoi discepoli: ‘siate voi stessi e vivete la relazione. E immergete ogni uomo in questa stessa relazione originaria, che li vivifica, cioè li rende veramente uomini'. Gesù esercita il suo potere rinnovando l'amore fecondo e generatore di vita nei sacramenti. E lo fa insieme al Padre e allo Spirito: non sono mai separabili, coloro che sono insieme una cosa sola. Ma ci abilita a fare altrettanto, generando vita nuova con Lui nel farci strumento di grazia e di relazione.
Ecco i ponti che si costruiscono, pienamente rispettosi dei ruoli e dei limiti che ogni relazione richiede e sostiene. Come un padre e una madre non possono e non devono scambiarsi di ruolo con un figlio, così l'uomo non può e non deve sostituirsi a Dio. Soprattutto quando esercita il potere. Non può nemmeno cambiare lo stile di Dio, perché sarebbe come sfigurare nuovamente il Suo volto, già crocifisso dal nostro rifiuto della relazione originaria con Lui. In ogni ambito di esistenza, nella Galilea dei rapporti quotidiani, fra le genti e fra la propria gente, ogni discepolo è chiamato a mettere in pratica e a condividere l'insegnamento vitale del Signore, che è una maniera di essere più che un complesso di concetti teorici. Il discepolo, ogni giorno, dovunque, si ingegna per costruire relazioni nuove, relazioni autentiche, relazioni che fanno verità, relazioni che danno vita. E si sforza di mantenerle vive, anche quando vengono messe a rischio dalle intemperie dell'esistenza, dalle ferite della storia, dalle tentazioni del Maligno, dalle cadute della carne debole.
In questo, il discepolo e la Chiesa intera ritornano costantemente alla relazione originaria, ricevuta in dono nel battesimo. Perché solo il Signore vive pienamente la fedeltà della relazione, Egli che è con noi, ‘fino alla fine del mondo'. Nel tempo e nello spazio, solo l'amore di Dio non ha confini. Neanche quando l'amore si chiama perdono, vertice della relazione. E solo questo amore ci rende capaci di gettare ponti verso chiunque, anche quando il peso dell'opera si fa sentire!
Un grande mistero ci è stato affidato: il potere di ascendere con il Signore al Cielo, tanto più sapremo realizzare ponti di amore su questa terra!
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