MEDITAZIONE III Domenica di Pasqua Mons. CHARLES

Pochi brani del Vangelo corrispondono così bene alla sensibilità dei
cristiani del nostro tempo come il racconto dei pellegrini di Emmaus.
Camminavano, tutti e due col viso abbattuto, la sera della festa di
Pasqua. Evocavano la figura di Gesù, il crocifisso dell'antivigilia, nel
quale essi avevano riposto tutte le loro speranze. "Speravamo che fosse
lui a liberare Israele". Quand'ecco che uno sconosciuto si incammina con
loro, li ascolta e si informa di ciò che li preoccupa. E mentre egli
interpreta loro le Scritture, la luce irrompe dal fondo della loro
tristezza. La disperazione si dissipa, il coraggio ritorna. E, senza
rendersene conto, trovano presso questo sconosciuto un conforto
stupefacente. "Resta con noi, perché si fa sera". Poi, nel momento in cui
riconoscono Gesù nel gesto dello spezzare il pane, quello scompare
davanti ai loro occhi...
Quante volte ci siamo identificati nei pellegrini di Emmaus! Spesso
l'angoscia ci assale; Dio è lontano, la Chiesa ci pesa, le nostre imprese
falliscono. Abbiamo voglia di sbattere la porta e di prendere un po' di
respiro lontano dalla religione. Certe volte l'angoscia è così profonda
che niente può distrarcene. È allora che accade un avvenimento nella
nostra vita, un incontro, una parola, una lettura, e che a poco a poco
le nubi si dissipano, la gioia ritorna e l'ottimismo trabocca dai nostri
cuori. Ciascuno di noi conserva nella memoria qualcuno di questi momenti
privilegiati, nei quali il Signore è passato furtivamente nella nostra
vita.
E nel momento in cui ne abbiamo preso coscienza, egli è già svanito. Soli
o in gruppo, i cristiani hanno imparato a vivere il mistero pasquale come
una disperazione superata, come il trionfo della generosità sull'egoismo,
della gioia sulla tristezza.
Ma qui sorge un dubbio: Che cos'ha l'esperienza spirituale qui descritta
di specificatamente cristiano? Tutti gli uomini devono superare
l'angoscia, la tristezza, la disfatta. Fanno senza saperlo un'esperienza
del Cristo risorto? O forse illudiamo noi stessi attribuendo questa
esperienza a Dio?
Vi è un'altra ipotesi: il nostro modo di affrontare il brano dei
pellegrini di Emmaus non è forse quello buono. Il brano non è solo
l'espressione dell'immagine della spiritualità cristiana; esso è dato
come racconto di un avvenimento, e di un avvenimento fondamentale che non
può ripetersi. L'evangelista precisa il luogo, la data e il nome di uno
dei due pellegrini. Nulla ci permette di fare astrazioni da questi
indizi. Ma il nostro più grande errore di lettura è stato quello di
considerare il punto di vista del pellegrino, mentre il racconto è
interamente costruito intorno all'intervento di Gesù. I pellegrini non
sono che il punto di passaggio privilegiato, il cui ruolo è unico e
insostituibile; e noi non abbiamo il diritto, neanche nello spirito, di
sostituirci alla prima generazione di cristiani. Un piccolo gruppo
d'uomini ha conosciuto Gesù prima della sua morte e dopo la sua
risurrezione. Su questo piccolo gruppo, la Chiesa si è edificata e
nessuno può entrare nella Chiesa se prima non riconosce la testimonianza
di questo piccolo gruppo guidato dagli apostoli, di cui fanno parte
Cleopa e il suo compagno.
Prima di rileggere la nostra vita alla luce del Vangelo, impariamo ad
ascoltare questa testimonianza vecchia di duemila anni. Poiché non vi è
più alta manifestazione dell'infinità divina che il Cristo morto e
risuscitato. E questa apparizione sul cammino da Gerusalemme ad Emmaus
assume tutta la sua importanza dal fatto che essa è un avvenimento che
si è prodotto una sola volta.
Ora, ecco che Gesù prende la parola e dice: "Stolti e tardi di cuore nel
credere alla parola dei profeti". L'apparizione è infatti una
manifestazione in più della condiscendenza del Cristo che viene in aiuto
alla mancanza di fede dei suoi discepoli. Questi ultimi l'avevano seguito
e ascoltato durante tre anni e non avevano capito nulla, nulla più degli
altri discepoli lontani. Uno solo aveva percepito il disegno divino:
Giovanni Evangelista, davanti al sepolcro, mentre Simon Pietro restava
inebetito, vede e crede. Il discepolo che Gesù amava, che aveva seguito
Gesù fin sul Calvario, che all'ultima Cena era stato così vicino al cuore
del suo amico, non aveva bisogno di apparizioni per credere: gli bastava
il sepolcro vuoto. Un indizio minimo perfeziona la sua fede e gli fa
percepire, in piena luce, l'immagine totale della rivelazione. A dire il
vero egli non fu il solo a poter fare a meno delle apparizioni. Il
silenzio dei Vangeli su Maria, madre di Gesù, è eloquente. Ella, senza
neppure recarsi al sepolcro, conosceva così bene suo figlio da non
vacillare nella fede nonostante la croce. Maria sapeva già nel fondo del
suo cuore che Gesù, il Figlio di Dio, era già seduto alla destra del
Padre.
Tuttavia, Gesù non è morto per Giovanni e Maria solamente, ma per tutti
gli uomini e soprattutto per i suoi amici Pietro, Cleopa, Tommaso e tutti
gli altri che, nonostante tutto il loro amore, non capivano nulla. Le
colonne della Chiesa, coloro alla cui testimonianza noi ci affidiamo, gli
apostoli, sono stati come noi gente di poca fede. Che cosa si aspetta
Cristo da coloro ai quali appare? Luca ce lo spiega: nessuno può dare la
sua fede a Cristo se non ha un minimo di fede nell'insegnamento di Mosè
e dei profeti. Gi ipocriti, i cuori tortuosi, che conoscono le Scritture,
ma che hanno sostituito i propri significati alla parola di Dio, di che
cosa possono essere capaci, se non di sopprimere coloro che li hanno
generati inchiodandoli su una croce? Abramo aveva avvertito il cattivo
ricco: "Se essi non ascoltano né Mosè né profeti, anche se qualcuno
risuscitasse dai morti, non si lascerebbero convincere".
E nel corso dell'ultima Cena, Gesù dà il criterio definitivo di scelta
dei testimoni. Giuda gli chiede: "Signore, come è accaduto che devi
manifestarti a noi e non al mondo?". Gesù risponde: "Se uno mi ama
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui". Poiché Cleopa e il suo compagno
ascoltavano Mosè e i profeti, poiché amavano Gesù, egli ha deciso di
manifestarsi a loro malgrado la loro mancanza di fede, precisamente per
aumentare la loro fede e per far loro percepire il grande mistero: "Non
bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella
sua gloria?".
E come avrebbe potuto il cuore dei discepoli non ardere a mano a mano che
cadeva il velo che ricopriva le Scritture per le quali essi avevano una
tale venerazione? Come chi ascolta una sinfonia ascolta con delizia
innumerevoli variazioni su uno stesso tema, ecco che i nostri pellegrini
scoprono che la Bibbia non dice che una sola cosa attraverso la
molteplicità dei testi e degli autori; essa dice che "era necessario che
il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria".
Poi, quando la commemorazione della passione è celebrata per mezzo dello
spezzare il pane, la fede dei discepoli si consolida e Gesù sparisce.
Dopo la più meravigliosa lezione di catechismo che nessun uomo abbia mai
ricevuto, i nostri due pellegrini sono divenuti in grado di testimoniare
e di fondare la Chiesa senza altro mezzo che la profonda certezza
ricevuta dalla pura grazia sul cammino di Emmaus.
Ma cosa c'è per noi? Noi non abbiamo il beneficio dell'apparizione di
Cristo risorto, ma quello della testimonianza dei primi discepoli,
testimonianza che dura nella Chiesa da duemila anni.
Se abbiamo la stessa disposizione del cuore e dell'intelligenza che
avevano i primi discepoli, questa testimonianza può illuminare la nostra
vita e suscitare in noi una fede indefettibile. Ciò che ci è chiesto è
un minimo di onestà intellettuale davanti alla parola di Dio e un minimo
di attrattiva per la persona di Gesù.
La testimonianza della Chiesa ci permetterà allora di percepire il
mistero insondabile dell'amore che Dio ci porta nella persona di suo
Figlio crocifisso. E noi daremo la nostra adesione di fede nella misura
in cui capiremo perché "era necessario che Cristo sopportasse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria".
Il testo di san Luca ci invita a progredire nella fede, cioè ad
accontentarci della Scrittura, dell'Eucaristia, della Chiesa, per
incontrare Gesù Cristo. Non abbiamo bisogno d'altro. E se sappiamo
ricordarcene nelle ore buie della nostra vita, non dubitiamone, il nostro
cuore si aprirà all'azione dello Spirito Santo e sarà subito "ardente".
Poiché la fede è sufficiente a farci sperimentare la gioia pasquale. E
questa gioia "nessuno potrà togliercela".
Mons. CHARLES

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