Alberto Vianello"Così» ama Dio"

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La festa più teologica di tutte, perché più di tutte si sofferma su Dio (“teologia” significa discorso, ragionamento su Dio) cioè la festa della Trinità, è quella che, nella Parola di Dio di questa domenica, fa meno teologia: parla di misericordia (prima Lettura), di comunione fraterna (seconda Lettura), di dono d’amore del Figlio (Vangelo). E queste realtà non le puoi dire con la teologia, men che meno con la Legge.
Il popolo d’Israele, che ha conosciuto Dio quando è stato liberato
dall’Egitto, non lo ha veramente conosciuto a fondo finché non ha vissuto il suo peccato più contrario a Dio: il vitello d’oro. Allora Dio interviene non per punire ma per perdonare, e rivelare, proprio nella sua misericordia, la sua realtà più vera e più piena: «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Dio percepisce se stesso in rapporto a noi e alla nostra fragilità.
Da notare, in questo racconto, il ruolo più autentico del pastore e del mediatore. Mosè infatti dice: «Tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato». Lui era l’unico che non aveva peccato: ma non prende le distanze, non marca una differenza con tutti gli altri. Più si identifica nel suo ruolo di mediatore fra Dio e l’uomo, più si identifica con la povertà di quel popolo, pur non avendola vissuta. Il vero pastore non afferma mai se stesso rispetto al suo gregge. Se non lo fa quando il gregge si smarrisce, men che meno lo dovrebbe fare nella condizione normale del suo essere pastore!

La seconda Lettura, che conclude la seconda Lettera alla comunità di Corinto, termina con l’augurio che i destinatari siano in Dio Trinità: è il più grande augurio che si possa fare a qualcuno. Questo mare divino in cui perdersi (per ritrovarsi) è la sua «grazia», cioè il suo dono gratuito, è il suo «amore» e la sua «comunione». Non so come in Paradiso vedremo le tre Persone che sono un unico Dio, di certo sperimenteremo pienamente proprio quello che Paolo auspica già qui sulla terra: godere del suo dono gratuito, del suo amore e della sua comunione. E così si vede veramente il Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ma questo augurio vuole soprattutto dire che, anche per una comunità problematica come quella di Corinto, la professione della propria fede non la si ha innanzitutto attraverso la dottrina, ma nella vita fatta di comunione fraterna: nell’umiltà, nella pazienza, nella ricerca autentica dell’altro, perché non ne si può fare senza, come non si può fare senza di Dio Trinità. Non si crede in Dio semplicemente attraverso una corretta professione di fede, ma nella fede nel fratello, che sempre ci indirizza correttamente verso il Signore, come Dio stesso fa nella relazione al suo interno, fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Così è la comunità e i rapporti fraterni che si vivono all’interno ciò che realizza e mostra la fede nel Dio Trinità.

Il brano del Vangelo ha una parolina incredibilmente forte, perché dà concretezza a tutto Dio: «Così Dio amò il mondo». Proprio «così»: cioè lo ha amato privandosi del Figlio e donandocelo nella Croce. «Così»: ce lo mostra, ce lo dice, ce lo fa toccare, ce lo lascia nelle mani della storia, perché mai più l’uomo possa dire che Dio è lontano da lui, che non si prende cura della sua condizione. «Così» lo ha fatto: «così» il Padre ci ha amato, che è l’azione dello Spirito, attraverso la vita del Figlio, offerta e spesa per noi. Quando una persona, parlando, ci dice «così», noi guardiamo quello che fa: la Parola di Dio, dicendo «così», ci fa guardare a ciò che Dio fa, ci dona il Figlio. Solo dopo, quel «così» di Dio diventa nostro: «Così dovete amarvi gli uni gli altri». Si impara dal «così» di Dio nella storia dell’uomo, e non nei libri e nella dottrina, a rispettarsi e a volersi bene, unica vera dimostrazione della fede nel Signore.
Da tale amore concreto, umano, “carnale” (della carne crocifissa di Cristo), da tale dono che più grande non è possibile (perché il figlio unico è tutta la vita di un padre) deriva un «mondo salvato». Non si tratta di una pia illusioni, di una speranza ancora lacerante, di una utopia astratta: è la realtà che si è realizzata e va compiendosi. Sta a noi, alla nostra fede in Dio Trinità, riconoscere i segni di questo mondo cambiato. Per cercarli, penso sia più facile guardare ai piccoli e ai poveri, invece che ai grandi e ai potenti, i quali sono sempre più legati al mondo vecchio, che è il mondo dei loro interessi. I piccoli ci mostrano la speranza invincibile, la vita che vuole rinascere nuova, la fiducia nel Padre buono del Figlio Gesù e nel dono del suo Spirito.

Alberto Vianello

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