Alberto Vianello"La libertà del Vangelo "

Letture: At 12,1-11; 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19
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L’unica celebrazione, che ricorda insieme il loro martirio a Roma, unisce gli apostoli Pietro e Paolo, così diversi nella persona, nella storia e nella
missione. Pietro il semplice pescatore di Galilea chiamato per primo dal Signore, Paolo il dotto e cosmopolita ebreo della diaspora convertito alla fede cristiana; Pietro discepolo della prima ora, ma non dell’ultima (quando ha rinnegato Gesù dopo il suo arresto), Paolo che non ha conosciuto prima Gesù e che ne è stato costretto da ultimo dall’apparizione («come a un aborto», 1Cor 15,8); Pietro apostolo dei circoncisi (coloro che venivano dall’ebraismo), Paolo apostolo dei non circoncisi (tutti quelli che venivano da altri popoli e religioni) e quindi del superamento della Legge. Paolo è esplicito nel dire che loro due erano su ottiche diverse, e che solo l’andare ciascuno per la propria strada ha reso possibile il rispetto reciproco (cfr. Gal 2,7-9).
È quindi proprio una specie di “ironia della sorte” che per tutti i secoli della Chiesa questi due opposti stiano insieme. Per noi sta a dire che, per la nostra fede, abbiamo bisogno di ambedue queste anime del cristianesimo. Ma sta anche a dire che l’unità non la si fa nell’accentuazione del proprio ministero rispetto ad altri, ma la si fa solo intorno all’unico Vangelo, vera ragione di vita di ogni persona, storia e missione.

Così, in tutte e tre le Letture scelte per questa festa, si mostra il Vangelo come fonte di libertà e di missione sia per Pietro che per Paolo.
Nella prima Lettura, Pietro è fisicamente liberato dal carcere con l’intervento miracoloso di un angelo del Signore. È il momento cruciale della Chiesa primitiva: è appena iniziato l’annuncio del Vangelo anche ai non ebrei. Pietro dovrà sancire, con la sua autorità, la bontà di questa missione portata avanti da Barnaba e Paolo. La liberazione dal carcere deve diventare per lui l’esperienza che «la parola di Dio non è incatenata» (2Tm 2,9), e perciò ha bisogno di uomini liberi dalle chiusure, dalle tradizioni e dalla Legge.

Nella seconda Lettura, Paolo si sente alla fine della missione e della vita. Ormai ha colto l’essenziale: «Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato forza». Ormai si è fatto tutt’uno col Vangelo: «Io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero». «Portare a compimento» traduce un termine greco che indica l’avere una fede così convinta che può anche essere che cammini insieme a grande oscurità e prove della fede stessa. Paolo sente di aver compiuto la sua missione di annuncio non perché crede di avere ormai raggiunto tutti, ma perché è giunto a vivere anche il difficile della fede: che il Signore Gesù abbia dato la vita per lui, senza che lui facesse qualche cosa per corrispondere a tale dono con le sue opere o con la sua corretta dottrina.
Vivere il Vangelo e annunciarlo significa esprimere in ogni modo il dono totale, gratuito e preveniente di Dio, che apre la nostra povera vita all’infinito d’amore del Signore (cfr. Ef 3,17-19): Vangelo della libertà di Dio, che rende l’uomo libero.

Nel brano evangelico, il ruolo e la missione che Gesù affida a Pietro sono basate sulla sua confessione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Questo non significa che Pietro abbia appreso bene la lezione di catechismo o di teologia. È significativo, infatti, il contesto dell’episodio. I farisei, che affermano la dottrina, la Legge e la tradizione, non credono in Gesù (cfr. Mt 15,1-20; 16,1-12); una donna straniera, invece, ha piena fiducia in Lui: le bastano le briciole (cfr. Mt 15,21-28); e Gesù moltiplica i pani perché tutti abbiano gratuitamente da mangiare (cfr. Mt 15,32-39). In un Cristo che si prende cura dei bisognosi, Pietro riconosce che Gesù non solo è un grande personaggio come gli antichi profeti, ma è il Figlio di Dio.
Dall’altro lato, Gesù gli fa prendere coscienza che anche tale confessione di fede è una rivelazione e un dono che gli vengono dall’alto, da Dio: «Né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli». Anche oggi, abbiamo sempre più bisogno non di dottrine certe, ma di assiduità alla parola di Dio, attraverso la quale Dio si rivela e si dona all’uomo contemporaneo, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II.
Chi riveste il ministero di Pietro godrà della libertà dal male («Le potenze degli inferi non prevarranno») e della libertà di condizionare il cielo con una fede vissuta sulla terra («Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli»). Ma è la libertà del Vangelo, e dell’obbedienza alla sua Parola per chi lo ascolta, che apre le porte del cielo e della relazione vitale con Dio: «A te darò le chiavi del regno dei cieli». Come Pietro e Paolo, testimoni/martiri della libertà del Vangelo.

Alberto Vianello

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