don Alberto Brignoli" La dolcezza dello Spirito"
Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (08/06/2014)
Vangelo: Gv 20,19-23
"I miei tempi" non sono così remoti...eppure ho vissuto anche io quei momenti dei quali posso dire "ai miei tempi...", parlando dell'ambito ecclesiale e dell'educazione religiosa. Per esempio, ho fatto in tempo a studiare ancora parte del Catechismo di Pio X, con le sue formule domanda-risposta in maniera esatta e inequivocabile. E all'interno di quel
Catechismo, nella parte dedicata ai Sacramenti, c'era anche la spiegazione di un gesto che a noi ragazzi suonava come ammonimento, nel caso ci fossimo fatti trovare impreparati al Sacramento della Cresima, ovvero lo "schiaffo" che il Vescovo dava al cresimato subito dopo averlo unto con il Sacro Crisma. Ignoranti e creduloni come eravamo, pensavamo che l'intensità dello "schiaffo" dato dal Vescovo era determinata dalla maggiore o minore preparazione nostra al Catechismo, rivelata in maniera segreta dal parroco al Vescovo nel momento in cui ci avvicinavamo a lui per ricevere il Sacramento. Quando ricevetti la Cresima, ero già in Seminario, per cui mi ritenevo sufficientemente preparato da poter evitare uno schiaffo forte, rispetto ad altri miei compagni di catechismo che tra l'altro avevano saltato parecchie lezioni preferendo la partita di calcio al sacramento della Cresima... Che delusione quando, pronto a ricevere quello schiaffo che significava che avrei dovuto "essere disposto a soffrire per la Fede ogni affronto e ogni pena", ricevetti dal Vescovo una semplice stretta di mano... Ora, si tratta di un gesto previsto dal rituale, ma allora era visto come una sorta di "test" della preparazione catechistica.
Quindi, di fatto, nessuno di noi seppe mai il grado della propria preparazione, né tantomeno quanto intenso fosse il soffio dello Spirito nei nostri cuori e nella nostra vita, divenuta oramai quella di un "soldato di Cristo" al servizio del Dio degli Eserciti... questo, per dire che l'immagine che sin da bambino è rimasta racchiusa nel mio cuore quando pensavo e pregavo lo Spirito Santo, era quella di un essere dalla forza prorompente con le sembianze di colomba, capace con le proprie ali di creare un vento tempestoso che scoperchia i tetti e getta fuori la gente in piazza; oppure quella di un fuoco che brucia qualunque cosa, prima di posarsi, diviso in fiammelle, sul capo di coloro che Dio ha scelto per essere suoi testimoni. Qualcosa di veramente devastante, insomma...
Di preciso, non so come sia avvenuto questo passaggio: sta di fatto che poco a poco, complice anche la mia passione per la vita all'aria aperta e per le passeggiate in montagna spesso in solitudine, cominciai a scoprire una dimensione dello Spirito molto meno fragorosa e molto più silenziosa, tenue, quasi impercettibile, come quella del vento leggero che sempre accarezza le creste sui sentieri di montagna. Lo stesso, forse, che sperimentò il profeta Elia quando, fuggendo dalla sete di vendetta della regina Gezabele, si ritirò sull'Oreb alla ricerca di un Dio che gli parve troppo profondo da poter essere racchiuso nella violenza di un terremoto o di un fuoco devastante.
No, lo Spirito Santo non può avere le fattezze di uno schiaffo violento, né di un fuoco devastante, né di un uragano, e ancor meno di un terremoto. Quelli violenti, sono episodi di un momento, ma i gesti eterni sono delicati e profondi; perché dove lo Spirito arriva, pervade le profondità dell'anima. E le invade nell'intimo, senza fare violenza, in silenzio, con dolcezza, chiedendo permesso, certo che questo permesso nessuno mai glielo negherà, perché ha una forza di persuasione grande, come quella di una brezza leggera che persuade il pellegrino oppresso dalla calura del giorno ad alzare il capo e a sentirne la freschezza in tutta la sua pienezza; come quella soave del vento leggero e caldo dell'estate che con dolcezza ci persuade a levarci la giacca e rimanere a maniche corte di fronte al suo tepore.
Io, lo Spirito del Signore me lo immagino così, sussurrato da Dio con la forza della dolcezza; quella dolcezza che - ci ha ricordato più volte papa Francesco - annuncia il Vangelo con maggior forza che le bastonate, gli anatemi, le scomuniche e le invettive che spesso lanciamo dai pulpiti.
La dolcezza dello Spirito Santo non è debolezza, ha una forza persuasiva inimmaginabile. Ha la forza della sapienza, di quel sapere che non è saccenteria, ma è sapore dato alle cose che si fanno e che si dicono; ha la forza dell'intelletto, di quell'intelligenza che va in profondità e non si ferma a ciò che appare alla visuale degli occhi, perché guarda col cuore; ha la forza del consiglio, di quella parola mai di troppo, data al momento giusto, capace di orientare nei momenti di dubbio e di sconforto;
ha la forza della scienza, di quel conoscere che non si ferma mai, che non si conforma con quelle due o tre cosette da enciclopedia o da Wikipedia, ma cerca di avere finestre e porte aperte sul mondo, senza pregiudizi di sorta; ha una forza che è ancor di più, è fortezza, forza di volontà più che prestanza fisica, imperturbabilità di fronte alle fluttuanti vicende del mondo, più che integralismo cocciuto;
ha la forza della pietà e del timore di Dio, ossia dell'amore verso l'umanità e dell'amore verso di Dio, venerazione verso l'Assoluto e venerazione verso chi dell'Assoluto ne è solo l'immagine, amore verso il Creatore, il creato e la creatura, amore che, per sua stessa natura, è emblema e simbolo di delicatezza.
Tutto questo è lo Spirito di dolcezza. Uno Spirito che non può essere conosciuto né tantomeno acquisito con la violenza del dominio. Lasciamo che siano le parole di Paolo, a condurci alla comprensione dei misteri dello Spirito:
"Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio". (1 Cor 2,8-10)
Vangelo: Gv 20,19-23
"I miei tempi" non sono così remoti...eppure ho vissuto anche io quei momenti dei quali posso dire "ai miei tempi...", parlando dell'ambito ecclesiale e dell'educazione religiosa. Per esempio, ho fatto in tempo a studiare ancora parte del Catechismo di Pio X, con le sue formule domanda-risposta in maniera esatta e inequivocabile. E all'interno di quel
Catechismo, nella parte dedicata ai Sacramenti, c'era anche la spiegazione di un gesto che a noi ragazzi suonava come ammonimento, nel caso ci fossimo fatti trovare impreparati al Sacramento della Cresima, ovvero lo "schiaffo" che il Vescovo dava al cresimato subito dopo averlo unto con il Sacro Crisma. Ignoranti e creduloni come eravamo, pensavamo che l'intensità dello "schiaffo" dato dal Vescovo era determinata dalla maggiore o minore preparazione nostra al Catechismo, rivelata in maniera segreta dal parroco al Vescovo nel momento in cui ci avvicinavamo a lui per ricevere il Sacramento. Quando ricevetti la Cresima, ero già in Seminario, per cui mi ritenevo sufficientemente preparato da poter evitare uno schiaffo forte, rispetto ad altri miei compagni di catechismo che tra l'altro avevano saltato parecchie lezioni preferendo la partita di calcio al sacramento della Cresima... Che delusione quando, pronto a ricevere quello schiaffo che significava che avrei dovuto "essere disposto a soffrire per la Fede ogni affronto e ogni pena", ricevetti dal Vescovo una semplice stretta di mano... Ora, si tratta di un gesto previsto dal rituale, ma allora era visto come una sorta di "test" della preparazione catechistica.
Quindi, di fatto, nessuno di noi seppe mai il grado della propria preparazione, né tantomeno quanto intenso fosse il soffio dello Spirito nei nostri cuori e nella nostra vita, divenuta oramai quella di un "soldato di Cristo" al servizio del Dio degli Eserciti... questo, per dire che l'immagine che sin da bambino è rimasta racchiusa nel mio cuore quando pensavo e pregavo lo Spirito Santo, era quella di un essere dalla forza prorompente con le sembianze di colomba, capace con le proprie ali di creare un vento tempestoso che scoperchia i tetti e getta fuori la gente in piazza; oppure quella di un fuoco che brucia qualunque cosa, prima di posarsi, diviso in fiammelle, sul capo di coloro che Dio ha scelto per essere suoi testimoni. Qualcosa di veramente devastante, insomma...
Di preciso, non so come sia avvenuto questo passaggio: sta di fatto che poco a poco, complice anche la mia passione per la vita all'aria aperta e per le passeggiate in montagna spesso in solitudine, cominciai a scoprire una dimensione dello Spirito molto meno fragorosa e molto più silenziosa, tenue, quasi impercettibile, come quella del vento leggero che sempre accarezza le creste sui sentieri di montagna. Lo stesso, forse, che sperimentò il profeta Elia quando, fuggendo dalla sete di vendetta della regina Gezabele, si ritirò sull'Oreb alla ricerca di un Dio che gli parve troppo profondo da poter essere racchiuso nella violenza di un terremoto o di un fuoco devastante.
No, lo Spirito Santo non può avere le fattezze di uno schiaffo violento, né di un fuoco devastante, né di un uragano, e ancor meno di un terremoto. Quelli violenti, sono episodi di un momento, ma i gesti eterni sono delicati e profondi; perché dove lo Spirito arriva, pervade le profondità dell'anima. E le invade nell'intimo, senza fare violenza, in silenzio, con dolcezza, chiedendo permesso, certo che questo permesso nessuno mai glielo negherà, perché ha una forza di persuasione grande, come quella di una brezza leggera che persuade il pellegrino oppresso dalla calura del giorno ad alzare il capo e a sentirne la freschezza in tutta la sua pienezza; come quella soave del vento leggero e caldo dell'estate che con dolcezza ci persuade a levarci la giacca e rimanere a maniche corte di fronte al suo tepore.
Io, lo Spirito del Signore me lo immagino così, sussurrato da Dio con la forza della dolcezza; quella dolcezza che - ci ha ricordato più volte papa Francesco - annuncia il Vangelo con maggior forza che le bastonate, gli anatemi, le scomuniche e le invettive che spesso lanciamo dai pulpiti.
La dolcezza dello Spirito Santo non è debolezza, ha una forza persuasiva inimmaginabile. Ha la forza della sapienza, di quel sapere che non è saccenteria, ma è sapore dato alle cose che si fanno e che si dicono; ha la forza dell'intelletto, di quell'intelligenza che va in profondità e non si ferma a ciò che appare alla visuale degli occhi, perché guarda col cuore; ha la forza del consiglio, di quella parola mai di troppo, data al momento giusto, capace di orientare nei momenti di dubbio e di sconforto;
ha la forza della scienza, di quel conoscere che non si ferma mai, che non si conforma con quelle due o tre cosette da enciclopedia o da Wikipedia, ma cerca di avere finestre e porte aperte sul mondo, senza pregiudizi di sorta; ha una forza che è ancor di più, è fortezza, forza di volontà più che prestanza fisica, imperturbabilità di fronte alle fluttuanti vicende del mondo, più che integralismo cocciuto;
ha la forza della pietà e del timore di Dio, ossia dell'amore verso l'umanità e dell'amore verso di Dio, venerazione verso l'Assoluto e venerazione verso chi dell'Assoluto ne è solo l'immagine, amore verso il Creatore, il creato e la creatura, amore che, per sua stessa natura, è emblema e simbolo di delicatezza.
Tutto questo è lo Spirito di dolcezza. Uno Spirito che non può essere conosciuto né tantomeno acquisito con la violenza del dominio. Lasciamo che siano le parole di Paolo, a condurci alla comprensione dei misteri dello Spirito:
"Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio". (1 Cor 2,8-10)
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