don Daniele Muraro "Il pane dei figli"
Vangelo: Gv 6,51-58
Nella sequenza l'Eucaristia è definita "il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli". Abbiamo vissuto la Quaresima e anche il tempo di Pasqua sotto il segno del motto paolino "Comportatevi come figli della luce".
Ora è proprio dei figli sedersi alla tavola comune imbandita dal genitore. Secondo le parole che abbiamo recitato sembra che ci sia qualcuno che ci preceda a questa mensa e sarebbero appunto gli angeli.
La descrizione viene dal libro dei salmi in cui parlando del soggiorno del popolo nel deserto si dice che Dio "fece piovere su di loro la manna per cibo, e diede loro pane del cielo: l'uomo mangiò il pane dei forti; diede loro cibo in abbondanza." Dietro questi "forti" (come riporta la nuova traduzione) dobbiamo intendere gli Spiriti dell'esercito celeste.
Secondo san Tommaso d'Aquino che è l'autore della sequenza anche gli Angeli si nutrono di Cristo in forza della visione immediata che essi hanno di Lui il Quale per loro resta disponibile a sazietà. Anche in un altro inno san Tommaso parla del "pane angelico (che) diventa pane degli uomini... Il servo povero e umile mangia il Signore".
La cosa veramente grande ed emozionante è che Cristo non sia solo pane cioè nutrimento per chi se lo può permettere abitando la sua casa celeste, ma che lo diventi anche per noi che siamo ancora pellegrini e quindi lontani dalla mèta e che pure nel battesimo siamo già elevati alla condizione di figli.
La nostra adozione non sarebbe riuscita se già fin d'ora non pregustassimo il cibo che è privilegio di chi è familiare di Dio per lunga frequentazione, come i vari ordini angelici.
Gli angeli avvertono Cristo presente vedendoLo direttamente, senza mediazioni. Per noi uomini Egli ha stabilito il tramite del Sacramento che richiede la fede. Come dice ancora la sequenza: "Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi".
Questa distinzione ci rende avvertiti sul fatto che la comunione sacramentale quale ci è concessa nell'Eucaristia è un anticipo del banchetto finale del Regno dei cieli, cioè della vera e definitiva comunione con Dio e tra noi fratelli al termine della storia.
Non vi è felicità che possa prescindere da Cristo, perché ogni gioia dipenda da Lui o direttamente o per aspirazione implicita. Il sacramento eucaristico a differenza della persona di Cristo che nel cielo rimane per sempre, qui sulla terra è transitorio(e questo è proprio del cibo), in attesa che la realtà del Signore e la comunione con lui da nascoste divengano manifeste, convertendosi in appagante visione.
Per questo l'inno che contiene il "Panis Angelicus" si conclude con le parole: "Per le Tue vie portaci dove tendiamo, alla luce in cui tu abiti." Si dice che l'appetito vien mangiando e ciò vale ad un livello superiore anche per la comunione eucaristica.
Cristo abita come elemento suo proprio non nel pane e nel vino ma nella luce del Padre. Della sua dimora eterna nel cielo l'Eucaristia sulla terra è presenza reale, non evidente a prima vista, ma che bisogna abituarsi a contemplare.
La Chiesa si preoccupa di rendere evidente questa verità nella forma a raggiera dell'Ostensorio e nei lumi che sempre accompagnano l'esposizione del Santissimo sacramento.
In un modo ulteriore l'Eucaristia è sacramento di luce. Esso come sappiamo è pane non lievitato cotto al fuoco, operazione nella quale soprattutto nell'oriente cristiano si è vista rappresentata l'azione dello Spirito. Per tramite suo le specie eucaristiche sono consacrate e diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
Anche il Vino talora è paragonato al fuoco, che riscalda l'anima, brucia i residui del peccato ed eleva di grado lo spirito dell'uomo.
Comportarsi da figli della luce allora significa fare un bagno di luce nell'Eucaristia e questa luce oggi la porteremo per la piazza del paese. Andando in processione vogliamo che Cristo presente nell'ostia consacrata illumini le nostre strade di tutti i giorni e ci sostenga nel cammino.
Tra l'alimento materiale e quello spirituale c'è questa differenza, che l'alimento materiale viene assimilato nella sostanza di chi lo prende, per cui non può giovare all'uomo per la conservazione della vita se non viene preso realmente.
L'alimento spirituale, al contrario, assimila a sé l'uomo, secondo quelle parole che sant''Agostino dichiara di essersi come sentito dire da Cristo: "Tu non muterai me in te, come il cibo della tua carne, ma tu sarai mutato in me".
Ora, per mutarsi in Cristo e incorporarsi a Lui è importante che il fedele esprima tale desiderio nel suo spirito ed è soprattutto con nell'adorazione privata e tanto più pubblica che tale aspirazione cresce, a prescindere anche dall'effettiva comunione ricevuta.
Nel sacramento dell'eucaristia propriamente non è Cristo che si trasferisce da noi, ma sono il Pane e il Vino che diventano Lui. Infatti Egli non ha detto: "Qui c'è il mio corpo", bensì "Questo è il mio corpo".
Noi però possiamo portare Cristo con noi, realmente nella processione, effettivamente per il desiderio che abbiamo di Lui invocandolo che rimanga con noi in attesa della "tavola del cielo", nella gioia della festa di luce nel banchetto finale.
Nella sequenza l'Eucaristia è definita "il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli". Abbiamo vissuto la Quaresima e anche il tempo di Pasqua sotto il segno del motto paolino "Comportatevi come figli della luce".
Ora è proprio dei figli sedersi alla tavola comune imbandita dal genitore. Secondo le parole che abbiamo recitato sembra che ci sia qualcuno che ci preceda a questa mensa e sarebbero appunto gli angeli.
La descrizione viene dal libro dei salmi in cui parlando del soggiorno del popolo nel deserto si dice che Dio "fece piovere su di loro la manna per cibo, e diede loro pane del cielo: l'uomo mangiò il pane dei forti; diede loro cibo in abbondanza." Dietro questi "forti" (come riporta la nuova traduzione) dobbiamo intendere gli Spiriti dell'esercito celeste.
Secondo san Tommaso d'Aquino che è l'autore della sequenza anche gli Angeli si nutrono di Cristo in forza della visione immediata che essi hanno di Lui il Quale per loro resta disponibile a sazietà. Anche in un altro inno san Tommaso parla del "pane angelico (che) diventa pane degli uomini... Il servo povero e umile mangia il Signore".
La cosa veramente grande ed emozionante è che Cristo non sia solo pane cioè nutrimento per chi se lo può permettere abitando la sua casa celeste, ma che lo diventi anche per noi che siamo ancora pellegrini e quindi lontani dalla mèta e che pure nel battesimo siamo già elevati alla condizione di figli.
La nostra adozione non sarebbe riuscita se già fin d'ora non pregustassimo il cibo che è privilegio di chi è familiare di Dio per lunga frequentazione, come i vari ordini angelici.
Gli angeli avvertono Cristo presente vedendoLo direttamente, senza mediazioni. Per noi uomini Egli ha stabilito il tramite del Sacramento che richiede la fede. Come dice ancora la sequenza: "Tu non vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. È un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi".
Questa distinzione ci rende avvertiti sul fatto che la comunione sacramentale quale ci è concessa nell'Eucaristia è un anticipo del banchetto finale del Regno dei cieli, cioè della vera e definitiva comunione con Dio e tra noi fratelli al termine della storia.
Non vi è felicità che possa prescindere da Cristo, perché ogni gioia dipenda da Lui o direttamente o per aspirazione implicita. Il sacramento eucaristico a differenza della persona di Cristo che nel cielo rimane per sempre, qui sulla terra è transitorio(e questo è proprio del cibo), in attesa che la realtà del Signore e la comunione con lui da nascoste divengano manifeste, convertendosi in appagante visione.
Per questo l'inno che contiene il "Panis Angelicus" si conclude con le parole: "Per le Tue vie portaci dove tendiamo, alla luce in cui tu abiti." Si dice che l'appetito vien mangiando e ciò vale ad un livello superiore anche per la comunione eucaristica.
Cristo abita come elemento suo proprio non nel pane e nel vino ma nella luce del Padre. Della sua dimora eterna nel cielo l'Eucaristia sulla terra è presenza reale, non evidente a prima vista, ma che bisogna abituarsi a contemplare.
La Chiesa si preoccupa di rendere evidente questa verità nella forma a raggiera dell'Ostensorio e nei lumi che sempre accompagnano l'esposizione del Santissimo sacramento.
In un modo ulteriore l'Eucaristia è sacramento di luce. Esso come sappiamo è pane non lievitato cotto al fuoco, operazione nella quale soprattutto nell'oriente cristiano si è vista rappresentata l'azione dello Spirito. Per tramite suo le specie eucaristiche sono consacrate e diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.
Anche il Vino talora è paragonato al fuoco, che riscalda l'anima, brucia i residui del peccato ed eleva di grado lo spirito dell'uomo.
Comportarsi da figli della luce allora significa fare un bagno di luce nell'Eucaristia e questa luce oggi la porteremo per la piazza del paese. Andando in processione vogliamo che Cristo presente nell'ostia consacrata illumini le nostre strade di tutti i giorni e ci sostenga nel cammino.
Tra l'alimento materiale e quello spirituale c'è questa differenza, che l'alimento materiale viene assimilato nella sostanza di chi lo prende, per cui non può giovare all'uomo per la conservazione della vita se non viene preso realmente.
L'alimento spirituale, al contrario, assimila a sé l'uomo, secondo quelle parole che sant''Agostino dichiara di essersi come sentito dire da Cristo: "Tu non muterai me in te, come il cibo della tua carne, ma tu sarai mutato in me".
Ora, per mutarsi in Cristo e incorporarsi a Lui è importante che il fedele esprima tale desiderio nel suo spirito ed è soprattutto con nell'adorazione privata e tanto più pubblica che tale aspirazione cresce, a prescindere anche dall'effettiva comunione ricevuta.
Nel sacramento dell'eucaristia propriamente non è Cristo che si trasferisce da noi, ma sono il Pane e il Vino che diventano Lui. Infatti Egli non ha detto: "Qui c'è il mio corpo", bensì "Questo è il mio corpo".
Noi però possiamo portare Cristo con noi, realmente nella processione, effettivamente per il desiderio che abbiamo di Lui invocandolo che rimanga con noi in attesa della "tavola del cielo", nella gioia della festa di luce nel banchetto finale.
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