fr. Massimo Rossi Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (22/06/2014)

Commento su Giovanni 6,51-58
Vangelo: Gv 6,51-58
Continua la celebrazione del mistero di Dio, ogni settimana presentato sotto un'angolatura diversa: domenica scorsa abbiamo contemplato la Trinità, quella prima, la Pentecoste dello Spirito Santo, prima ancora l'Ascensione del risorto.
Oggi, esaltiamo il Corpo e Sangue del Signore, il Corpus Domini: è una solennità di sapore squisitamente eucaristico, introdotta dalla
Chiesa per valorizzare il sacramento dell'altare, in un tempo in cui l'eresia giansenista aveva provocato un progressivo allontanamento dei fedeli dalla pratica del sacramento, a motivo di un esagerato senso di indegnità a ricevere la Comunione.
Per restituire al sacramento della Comunione il primato che gli spetta nella vita dei fedeli, e ravvivare la devozione eucaristica sono state anche introdotte la benedizione eucaristica e la processione del SS.Sacramento. Sono pratiche lodevoli, raccomandate dalla Chiesa, la quale distingue tuttavia la liturgia eucaristica dall'omonima devozione: l'intento è di educare il popolo di Dio a vivere la Messa festiva come l'appuntamento immancabile con il Cristo, presente tra noi, nei segni della sua Parola e del Pane consacrato.
Non possiamo trascurare che il fine della passione di Cristo è quello di rendersi accessibile a tutti, in ogni luogo e in ogni tempo e, in questo incontro, realizzare la comunione tra l'uomo e Dio, nella persona di Cristo, vero uomo e vero Dio. Non c'è modo migliore, o alternativo, per incontrare il Risorto, se non il segno del pane spezzato, attraverso il quale lo possiamo riconoscere come lo riconobbero i discepoli di Emmaus.
"Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita": è una affermazione radicale, non lascia spazio ad equivoci, né ad accomodamenti benevoli.
Perdonate il linguaggio didascalico; mio malgrado, devo riconoscere che su questi aspetti sostanziali della nostra fede c'è molta ignoranza tra i fedeli, molto fai-da-te, poca convinzione e, meno ancora, comprensione del valore intrinseco del sacramento. Se non cogliamo questo valore intrinseco, noi delegittimiamo il sacrificio della croce, dal quale possiamo attingere la salvezza (presente) dai peccati, nella misura in cui attingiamo al sacramento dell'altare.
Qualcuno rileva che, se il perdono dei peccati celebrato nel sacramento della confessione è efficace a ritornare in Grazia di Dio, l'Eucaristia diventerebbe superflua.
Questa obbiezione, in sé più che legittima, deve farci riflettere; ci sono almeno due motivi fondamentali che non solo depongono a favore del valore non negoziabile della Comunione-sacramento, ma lo relazionano in modo assoluto a quello della Penitenza.
Il primo motivo è di carattere antropologico prima che teologico.
Se io chiedessi: quando due persone fanno la pace, quando un padre sposa il proprio figlio, la propria figlia, quando due capi di stato firmano un trattato di alleanza... qual è il gesto più significativo per celebrare l'avvenuta pacificazione, la gioia nuziale, il sodalizio politico? È il banchetto! Tutti riconoscono nel pasto il segno più pieno ed eloquente della comunione.
C'è di più: non soltanto il banchetto celebra festosamente un fatto, ma ne accresce addirittura la portata; il banchetto conferisce pertanto un valore aggiunto all'evento ivi celebrato.
La valenza della fede si aggiunge a quella antropologica: il pasto religioso, il banchetto eucaristico è l'elemento costitutivo della comunione; non solo la manifesta, ma più propriamente la realizza e la alimenta.
Il banchetto sacro era conosciuto in quasi tutti i culti antichi; quanto al segno, il cristianesimo non introduce dunque particolari novità; del tutto nuovo, originale, e va ben oltre il livello fenomenico del segno, è il fatto del mutamento sostanziale delle sacre specie, la transustaziazione.
Tornando alla relazione tra sacramento del perdono ed Eucaristia, è necessario richiamare con forza il fatto che il primo è direttamente finalizzato al secondo; ma è necessario sottolineare ancora una volta che l'Eucaristia non solo celebra la rinnovata comunione tra l'uomo e Dio: l'Eucaristia aggiunge il dono del Figlio immolato, e costituisce la chiave di accesso alla pienezza della divinità di Cristo. Infine (l'eucaristia) impegna a realizzare fuori dal momento rituale la comunione celebrata sacramentalmente.
Quest'ultimo è forse il punto più fragile del sacramento: intendo dire che la preparazione e la celebrazione (del sacramento) sono in un certo senso guidate e tutelate dall'azione del sacerdote e dalla presenza della comunità - è difficile spiegare -; ma la realizzazione successiva, il cosiddetto proponimento che conclude la confessione-sacramento, così come la missione implicita dell'"ite, Missa est" ("andate in pace"), sono totalmente affidati alla volontà libera del soggetto. Dopo il congedo dalla Messa, tocca alla persona fare memoria e tesoro delle parole ascoltate e pronunciate, dei gesti compiuti, per realizzare nella propria esistenza quotidiana ciò che ha simbolicamente realizzato la domenica in chiesa.
Quello che a noi, cristiani del terzo millennio, sembra un fatto scontato, talmente scontato che ha perduto gran parte della sua forza vincolante - siamo onesti! - per i contemporanei di Gesù non era affatto scontato, anzi provocò notevole scandalo. I discepoli di Gesù dissero: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?"...e si scandalizzavano di Lui. Da allora molti si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Gesù chiese ai Dodici: "Volete andarvene anche voi?". (cfr. Gv 6).
Il Signore si rende conto che gli uomini non sono in grado di comprendere un simile discorso, a cominciare dai suoi amici più intimi. Gesù non costringe nessuno a seguirlo. Al tempo stesso detta le condizioni per camminare dietro a Lui: prendere la croce ogni giorno (cfr. Lc 14,27).
Come, nel gesto di spezzare il pane, il Signore sottoscrisse l'impegno a prendere la sua croce, anche noi che riceviamo questo pane, decidiamo in quel gesto di prendere la nostra croce.
Ora abbiamo tutti gli elementi necessari per decidere di vivere in pienezza questo sacramento. La devozione non basta; la suggestione immediata non basta; le emozioni servono a poco, perché durano poco. Ci vuole onestà, impegno e sincerità: onestà nell'aborrire ogni ipocrisia; sincerità nel convertirci dall'errore; impegno a vivere la liturgia nella sua integralità, e questa integralità comprende anche il ‘dopo'.
In verità, nella liturgia non c'è un prima e un dopo, così come nella passione di Gesù: nella sua vicenda terrena non c'è niente di secondario, ma tutto è contemporaneo, tutto è necessario e importante, allo stesso modo. Occorre mantenere la fede in costante tensione, anche quando i riflettori si spengono... Prima che un atto tra tanti, la fede è uno stato di vita.
...Non si può andare in vacanza dalla fede, perché dalla vita non si va mai in vacanza.

Commenti

Post più popolari