don Alberto Brignoli"A tutto c'è una soluzione"

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/08/2014)
Vangelo: Mt 14,13-21
Tra le poche cose che accumunano tutti gli uomini e tutte le donne di ogni epoca e di ogni luogo, c'è senz'altro la fame, o quantomeno lo stimolo della fame. Chi di noi, anche tra coloro che provano appetito con difficoltà o che non sono "buone forchette", può dire di non aver mai avvertito la fame? Sebbene non ce lo possiamo ricordare, tra i
primi vagiti della nostra infanzia c'è stato pure quello della fame: e da allora, ogni giorno abbiamo avvertito il desiderio di immettere nel nostro stomaco qualcosa che non ci faccia sentire i crampi, che non ci faccia addormentare, che ci permetta di svolgere con normalità e col vigore necessario le nostre attività quotidiane. Tutti quanti, quindi, abbiamo o abbiamo avuto fame: non tutti però - ed è questa la discriminante, quella che fa problema - abbiamo o abbiamo avuto la possibilità di soddisfare questo naturale stimolo, questo desiderio. Ed è proprio questa impossibilità che fa sì che nel mondo tanta, troppa gente (circa 825 milioni di persone, il 12 % della popolazione del pianeta) continui non solo ad avere fame, ma a rimanere affamata perché resa affamata; a rimanere povera perché impoverita. Ogni paese del mondo avrebbe la possibilità di dare da mangiare ai propri abitanti; e se è vero che ci sono alcune zone desertiche dove coltivare per vivere, anzi per sopravvivere, è praticamente impossibile, è però altrettanto vero che ci sono moltissime altre zone del mondo decisamente fertili che non vengono coltivate perché in mano a poche persone - se non a una sola - le quali non le coltivano perché impossibilitate a farlo per la vasta estensione dei loro possedimenti.
C'è sempre qualcosa di "impossibile", nell'umanità: l'impossibilità a sopravvivere per la mancanza di cibo e l'impossibilità a far sopravvivere una fonte di vita...un circolo vizioso per il quale la gente crepa di fame perché carente del minimo necessario, e la fonte che può aiutare a saziare la sua fame crepa a causa dell'eccessiva abbondanza di chi la possiede. Muore l'affamato, e muore la possibilità di saziarlo...questo è l'impossibile vivere dell'umanità, schiacciata da un senso di impotenza che sa più di mancanza di volontà, o di ineluttabile sorte del destino, o ancor peggio di deliberato e diabolico disegno politico di "mantenimento" dello "status quo"...come se essere ed avere degli affamati nel mondo fosse un "male necessario" perché la ruota dell'economia possa girare con criteri favorevoli solo a pochi; come se essere ed avere degli affamati nel mondo fosse una cosa che "c'è sempre stata e sempre ci sarà", magari anche per colpa degli stessi affamati, spesso ritenuti fannulloni, senza idee in testa e senza voglia di dare una svolta alla loro vita. Come se al povero e all'affamato piacesse rimanere così...forse questa cosa piace di più a noi, quando viviamo la carità e la solidarietà come un modo per purificarci la coscienza, donando in maniera indiscriminata, magari anche generosa e onesta, ma senza fare in modo che il povero e l'affamato abbiano in mano la possibilità di fare qualcosa per non esserlo più.
Già, perché se poi anch'essi mangiano tutti i giorni come noi, poi per noi non ce n'è più; se anche loro lavorano onestamente come noi, poi di lavoro non ce n'è più nemmeno per noi; se anche loro hanno un pezzo di terra su cui vivere, poi non ce n'è più per noi... Questi pensieri, noi forse li facciamo solo a tavola, o tra i soliti quattro amici al bar: ma quando questi discorsi li fanno i potenti, quelli che stanno seduti intorno al tavolo delle decisioni nella sala dei bottoni, il passo verso il bottone da pigiare per eliminare la fame eliminando l'affamato, è breve. E le immagini di questi giorni sono sotto gli occhi di tutti! Siccome allora in fondo a noi la guerra non piace e grazie a Dio ci dà fastidio, e siccome tuttavia anche noi continuiamo a pensare che "si aiuta finché si può, finché non manca anche per noi", il sentimento di pietà che esce dai nostri cuori - ripeto, in maniera anche molto onesta - ci porta a dire: "Basta, che ognuno torni a casa sua, dove bene o male riesce ancora a comprarsi qualcosa da mangiare, invece di vivere di espedienti e magari malamente in un altro mondo!".
Quel giorno, in Galilea, il tramonto si stava avvicinando: e non era certo il caso che tutta quella gente continuasse ancora a stare addosso al Maestro, chiedendogli di tutto e di più, e senza nemmeno lasciargli il tempo per riposare. Non si poteva pretendere che il Maestro, potente più di Giovanni il Battista, desse da mangiare a tutti. La soluzione più ovvia, quindi, era la stessa di sempre, pervasa di onesta pietà: "Congeda la folla, perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare". Qui, di pane non ce n'è; di possibilità di averlo, nemmeno. Abbiamo fatto tutto il possibile, guarendo i malati e avendo compassione delle folle: ora basta! Ma a questo modo di fare, il Maestro proprio non ci sta: "Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare". Non è così necessario, rimandarli a casa loro: di certo, non è l'unica soluzione.
Un'altra via è possibile: condividere. Anche solo cinque pani e due pesci, ma da condividere. Anche se è solo miseria, ma è da condividere. Anche se è il nulla, è da condividere. Il nulla condiviso fa meno paura. La miseria condivisa fa soffrire di meno. Il poco condiviso addirittura fa miracoli. Perché allora sul lago di Galilea il miracolo lo fece il Maestro: ma oggi, qui, nella Galilea delle Genti, il miracolo lo fa la carità condivisa, lo fa la povertà condivisa, lo fa la grazia condivisa. La grazia non cade dal cielo come un fulmine: la grazia è come la verità, "germoglia dalla terra perché la giustizia si affaccia dal cielo".
Dal cielo, la giustizia che è Dio si affaccia per dirci: "Tocca a voi". Non è vero che cinque pani e due pesci sono un nulla. Non è vero che non si può più fare nulla, non è vero che le soluzioni sono le guerre, non è vero che la soluzione è dire basta agli sbarchi, non è vero che la soluzione è imparare a dire di no... La soluzione è dire di sì. Che paura dobbiamo avere? Abbiamo forse paura di dire di sì? Ascoltiamo Paolo, e facciamo parlare lui. Il resto delle parole, soprattutto quelle dei potenti che hanno il suono delle bombe, ormai ci hanno nauseato, e ci avanzano: "Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, Signore nostro".

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